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lunedì 23 maggio 2022

Cronache dagli anni senza Carnevale/806. Come se non fossimo dotati dell’orecchio assoluto per il silenzio

 

 


Dato che il lunedì è sempre lunedì, mi abbevero alla fontana dell’amarezza indolente di noi fortunati abitanti occidentali e vado a pescare tra le poesie di Adam Zagajewski e ne scelgo una tratta da Prova a cantare il mondo storpiato (Interlinea, 2019), a cura di V. Parisi:

 

 

In prima persona plurale

 

A Julian Kornhauser

 

Indossiamo parole usate, enfasi e disperazione

corrose dalle labbra altrui,

camminiamo sulle botole dell’altrui spavento,

in un’enciclopedia scopriamo la vecchiaia,

di sera fingiamo che sia scoppiata la guerra,

conversiamo con Baczyński,

facciamo in fretta i bagagli,

ci ricordiamo dei poeti d’un tempo,

andiamo in stazione, condanniamo il fascismo,

e poi trionfalmente,

in uno scompartimento di prima classe,

in prima persona plurale,

diamo voce a tutta la nostra perspicacia,

come se non fossimo dotati

dell’orecchio assoluto per il silenzio.

 

 

 

Questa poesia mi ravviva il senso di impotenza e frustrazione per la guerra che non solo non finisce, ma si è come fermata in un tempo sospeso segnato dal battito moribondo dei siti d’informazione che hanno raffreddato l’enfasi guerresca di questi primi tre mesi di guerra. Così, forse è davvero meglio esercitare l’orecchio assoluto per il silenzio che ai poeti non può certo mancare. Oggi è lunedì 23 maggio del terzo anno senza Carnevale e del primo anno di guerra e questa Cronaca 806 si tace con me per andare a dormire. 

domenica 17 aprile 2022

Cronache dagli anni senza Carnevale/770. Come una preghiera, una meditazione e una pratica

 

 


 

Oggi è Pasqua, e la Cronaca sarà questa poesia che ho scritto per gli amici e le amiche di Philo. Una poesia che ho iniziato a scrivere domenica scorsa e che mi è passata tra le dita come un rosario, che ho sussurrato prima a me stessa come una preghiera, che ho accarezzato come una meditazione. Che ho scritto in bilico sul mio tavolo come una pratica intrecciata alla filosofia.

 

Trittico degli alberi e della pace

 

Milano 9-16 aprile 2022


Primo movimento

 

Gli alberi hanno un amico:

il vento che soffia gentile e

porta le voci tra i rami e

scompiglia ogni foglia che

nasce e accompagna ogni

foglia che cade. È una danza

la caduta, un movimento

gentile che apre alla trasformazione.

La foglia sarà terra, la pioggia

sarà linfa, la luce sarà colore.

 

Gli alberi hanno un nemico:

il vento che soffia impietoso

e strappa i nidi e i rami,

divelle le radici, scortica

la corteccia e cieco continua

la corsa da lupo inferocito.

Dopo la furia resta il silenzio,

gli alberi coricati sul fianco,

la grande quercia rossa piegata

nel cuore della città vecchia.

Il vento è tempo che reclama

il prezzo della vita.

 

Secondo movimento


Ogni albero è figlio del

caso, ogni albero è figlio

dell’intenzione. Chi ha

piantato il seme, chi

innestato la talea? Non

crescono frutti dove

l’esperienza non è intervenuta

a insegnare il gesto appropriato.

Le generazioni consegnano alle

generazioni la sapienza dei

semi e delle mani, noi impariamo.

 

Ogni albero è padre della

tempesta, ogni albero è

madre della notte. I rami

sono il setaccio del desiderio,

ci insegnano a scrivere nel

cielo, ci insegnano a

disimparare ogni regola

conosciuta. Perché l’alfabeto

dei cieli è nelle nuvole e

va appreso a ogni cambio

di vento e di luce.

 

Terzo movimento


Abbiamo camminato in

una città spoglia e

addormentata, abbiamo

cercato la giusta andatura,

i passi per dire pace, il silenzio

per dare vita alla pace,

una pace occidentale fatta

di intenzioni e pochi gesti.

Così ho imparato che

la via misteriosa che mi

porta nel luogo della condivisione,

nasconde una via parallela, di

affacci e cortili su una campagna

che conosce la pace dei decenni.

Ho guardato gli alberi e ho compreso

che la pace è loro amica, che

nella pace gli alberi sfidano

il cielo e i suoi significati.


Siamo ritornati dalla

quiete della campagna nascosta

dopo avere chiuso un cerchio.

I nostri pensieri erano grappoli

rimasti appesi negli alberi

pacificati della domenica mattina.

Non conoscono questi alberi

il clamore dei razzi e delle

bombe, non conoscono

i tronchi anneriti, le foglie

bruciate, i nidi sconvolti

e il silenzio dove nessun

uccello tornerà a cantare.

La guerra è nemica anche

degli alberi, di ogni ombra

e della sua luce. Ma restano

i pensieri buoni, le intenzioni

e quel salto verso l’infinito

altrove che cerchiamo sempre

insieme, ancora, insieme. 

 

 

Oggi è domenica 17 aprile del terzo anno senza Carnevale e del primo anno di guerra e questa Cronaca 770 è più silenziosa e più poetica del solito.

mercoledì 13 aprile 2022

Cronache dagli anni senza Carnevale/766. Una lettera scritta nell’aria silenziosa

 


 

Arrivo dieci minuti prima dell’ora precisa, le quattordici e cinque minuti. Butto i fiori vecchi, verso diversi innaffiatoi d’acqua e poi pulisco il marmo. Il cipresseto che avevamo scelto per farti compagnia è seccato da tempo, ma la rosa continua a crescere stagione dopo stagione. Mentre sono intenta con queste faccende ecco che l’ora esatta arriva e così sono quindici anni da quando sei morto papà. Ho pregato, ho parlato con te, anche oggi c’è il sole, proprio come quel giorno anche se allora l’aria era più luminosa e anche più calda. Mi sei mancato in tutti questi anni, mi sei mancato in tutti i modi in cui un padre può mancare a una figlia. Ancora mi capita di ascoltare o leggere una notizia e avere l’impulso di telefonarti per commentarla con te. Ogni tanto ti sogno, in certi periodi di frequente. Quasi sempre sei insieme alla mamma, siete giovani e belli come quando ero bambina, parliamo molto nei sogni anche se la luce del giorno cela le parole e quasi mai so cosa ci siamo detti. Sfoglio i tuoi codici tutti annotati, i libri pieni di foglietti, ricordo la tua ansia di sapere. Continuo a lucidare il marmo rosso della tua lapide, sorrido alla tua fotografia, mi sorrido. Perché abbiamo la stessa bocca, le stesse orecchie e la stessa attaccatura del naso. Ti sorrido perché mi ricordo tante cose di te, della nostra vita insieme. Fino a che ci saranno i ricordi saremo insieme qui, poi saremo insieme per sempre. Il giorno del tuo funerale ho sentito forte che mentre la tua vita terrena era conclusa, una vita nuova e diversa iniziava per te. È stata un’esperienza di trascendenza fortissima, perché mentre tu scomparivi sotto la terra scura, io venivo trascinata dall’azzurro luminoso nel luogo dove ci ritroveremo.

 

Il colore dell’alfabeto necessario

 

È azzurro l’altrove che ci

aspetta, un salto lo precede

sempre. Un salto lo seguirà

per il ritorno e allora, solo

allora, capiremo di avere

appreso l’alfabeto necessario

per scrivere una lettera nell’aria

silenziosa. È azzurro l’altrove,

è azzurro tutto questo silenzio.

 

Mentre al mattino mi sono preparata al momento preciso del tuo trapasso, dopo essere stata diverse ore nel tuo piccolo cimitero, il resto del giorno se n’è andato e non so come è arrivata sera, è arrivata l’ora di scrivere queste mie poche parole quotidiane. Oggi è mercoledì 13 aprile del terzo anno senza Carnevale e del primo anno guerra. E questa Cronaca 766 gioisce con me che tu e la mamma non abbiate dovute vivere prima la pandemia e ora la guerra.

lunedì 11 aprile 2022

Cronache dagli anni senza Carnevale/764. Questo silenzio è in attesa delle nuove parole

 


Quando il mondo intorno geme e si dispera e io pure, mi chiudo nel mio giardino e cerco un contatto con la realtà che non sia doloroso. Metto le mani con i palmi aperti sulla parete di mattoni rossi, è tiepida perché il sole non è ancora abbastanza alto. Vado a sedermi sulla mia panchina preferita, proprio in fondo in fondo, dove gli alberi sono più fitti e diventano un fresco rifugio durante l’estate. Oggi i raggi solari passano attraverso i rami dove le foglioline sono appena sbocciate e la panchina è per metà in ombra. La tocco su questo lato ed è fredda, sul lato soleggiato appena tiepida. Mi siedo al sole e chiudo gli occhi, le rondini sfrecciano dai nidi sotto il tetto sino nel cielo. Mi rassicura il loro volo, mi rallegra il loro canto. Lascio che il tempo passi, non mi oppongo. Respiro e respiro, in silenzio. Tutto il giardino è attraversato dal canto degli uccellini, vorrei essere più precisa sul nome di questi piccoli cantori, ma non ho voglia di aprire gli occhi. Così mi accontento di essere un piccolo setaccio per questo giorno che passa, che mi passa attraverso e lascia solo piccoli segni, nessuna cicatrice. Mentre il mondo intorno è remoto quanto un sogno, mi limito a esistere, a percepire le variazioni della luce, del vento e dei suoni.

 

Ogni vuoto attrarrà il suo pieno


Sono come un vaso aperto

e vuoto. Ho lasciato che

il tempo trascinasse con

sé l’obolo della vita, i sensi

hanno accompagnato questa

perdita. Sono cieca e sorda,

non so più parlare. Non

riconosco gli odori e la mia

pelle è una gelida corazza.

Aspetto, aspetto perché so

che ogni vuoto attrarrà

il suo pieno. E questo vuoto

è scuro, questa terra è

ferita, questo silenzio è

in attesa delle nuove parole.

Bisogna avere la pazienza del

serpente, sentire la pelle nuova

che cresce e piano scivolare

fuori da quella vecchia.

La luce mi acceca, i rumori mi

feriscono le orecchie. Sono

rinata e metto in fila i perché

che mi accompagnano.

 

 

Oggi è lunedì 11 aprile del terzo anno senza Carnevale e del primo anno di guerra e questa Cronaca 764 risplende nella sua pelle nuova.

mercoledì 6 aprile 2022

Cronache dagli anni senza Carnevale/759. Una rosa perché piova. Al termine d’innumerevoli anni è il tuo augurio

 



Ha piovuto per un paio di giorni, un sollievo temporaneo per la città e la terra, per i nostri sfibrati polmoni. Ma non è bastato sentire il ristoro delle gocce per avere la certezza di una riprese, di aria pulita e alberi vigorosi. Potrei offrire al cielo una rosa, ma ho come il sospetto che il cielo non sappia cosa farsene della mia rosa, perché le rose gli appartengono già tutte. Dall’alto le scruta, le accarezza, delega al vento ogni tenerezza e alle nuvole il privilegio di rosseggiare grazie al colore delle rose, un suggerimento che diventa visibile verso il tramonto, quando il tramonta gareggia con le rose che fioriranno a maggio. Ma il cielo è ancora più ansioso di noi e si porta avanti. Tinge a memoria la bellezza di ogni rosa e non sa che così, prepara il colore delle future rose. Anche la pioggia si prepara all’incontro, cerca una coerenza tra tutte le sfumature del bianco e la trasparenza delle gocce. Perché quando diciamo pioggia stiamo abbracciando ogni singola goccia, così come quando diciamo rosa stiamo abbracciando ogni singolo petalo e ogni sfumatura di colore e ogni sfumatura impalpabile del profumo.

 

Quando la poesia è una rosa non ancora sbocciata

 

Come la pioggia è

acqua trasparente, così

la rosa è profumo prima

ancora che bellezza. Ma

cosa accade quando una

rosa incontra la pioggia?

Tutto sfolgora nell’istante,

la luce ci rapisce e ci

conduce in quell’altrove

dove dimora la poesia,

una rosa non ancora

sbocciata, un verso solo

pensato, un silenzio chiuso

nella sua stessa origine,

e la sillaba rossa e intensa

dell’ultima parola.

 

 

Ecco che questo mercoledì 6 aprile del terzo anno senza Carnevale e del primo anno di guerra si chiude con questi miei versi inediti e con la Cronaca 759 che respira il profumo della nostra, rapito dalla sua bellezza. Il titolo proviene da altri versi di René Char.

lunedì 4 aprile 2022

Cronache dagli anni senza Carnevale/757. Sotto gli alberi riprende a mormorare la sorgente

 


In questi anni di crisi e di disastri prolungati, di persone che scompaiono dalle nostre vite per molteplici motivi, di accadimenti epocali, diventa sempre più difficile dare un senso al nostro essere nel mondo, non solo al nostro stare al mondo. Se la vita è una tessitura continua, un accumulo di eventi e relazioni, accade all’improvviso che un filo sfugga alla trama, che il senso diventi debole se non addirittura assente. La vita, gli eventi, ci sottraggono quello che ci avevano offerto. A volte sono perdite senza conseguenza, perché le persone perdute non erano più poi così importanti per noi. A volte sono perdite così enormi, inguaribili se non col tempo. Il dolore cresce in noi, ci divora dall’interno sino a quando non ha creato lo spazio adeguato a farne una tana. Perché ci sono dolori che diventano parte di noi, come se andassero a sostituire oggetti interni, se non addirittura pezzi d’anima. Un grande silenzio, un silenzio primordiale accompagna queste perdite. Diventiamo sordi e ciechi, il nostro sguardo si fa impotente. Il contatto con la natura può essere un balsamo che ci aiuta a riprendere i contatti con il mondo e con i nostri sensi. Anche oggi è René Char che me ne fornisce una dimostrazione:

 

 

Talvolta il profilo di un puledro,

di un bambino in lontananza,

s’avvicina a esplorare il mio sguardo,

scavalca il muro del mio timore.

È allora che, sotto gli alberi,

riprende a mormorare

la sorgente.

 

 

Lo sguardo è in grado di rimettere a fuoco il mondo, l’udito si risveglia, il silenzio diventa sottile e si ritira nella sua tana di fili di ragnatela. Siamo vivi e nel dolore del mondo, viviamo e respiriamo, perché il pur nel dolore la bellezza da qualche parte resiste, sempre.

Oggi è lunedì 4 aprile del terzo anno senza Carnevale e del primo anno di guerra e questa Cronaca 757 si è immersa nella sorgente e ascolta il canto dell’acqua.

lunedì 28 marzo 2022

Cronache dagli anni senza Carnevale/750. La lampada che tiene sveglio il coraggio e il silenzio

 


Inizia una nuova settimana, ma non finiscono né la pandemia, né tantomeno la guerra. Com’è diventato ancora più fragile il nostro già fragile equilibrio in questi tempi che ci hanno trovati totalmente impreparati. Mentre faccio fronte ai miei impegni quotidiani con il cuore pesante, la sera cerco distrazioni e ricomincio a guardare la serie Netflix Bridgerton, divertente, ben sceneggiata, magnificamente interpretata, una storia alla Jane Austen dove gli attori non solo bianchi caucasici, scelta che trovo risibile, falsificare la storia, anche se per la giusta causa dell’inclusività non credo giovi ad alcuno. Quel che mi colpisce sempre, quando guardo film e serie tv incentrate sulle storie d’amore, quel che mi colpisce soprattutto che passione erotica e amore siano perfettamente interscambiabili e le incomprensioni tra innamorati nascono e crescono su equivoci dovuti al fatto che i protagonisti non si parlano, non si confrontano, ma elucubrano sui silenzi dell’amato bene e a partire dalle elucubrazioni giungono a conclusioni sempre sbagliate. Forse è meglio che io interrompa di nuovo di seguire questa serie e me ne vada a guardare un film dell’Era Glaciale, forse i cartoni animati distraggono ancora di più. O forse smetto di cercare distrazioni e apro il mio quaderno delle poesie preferite e ne trascrivo una per questa Cronaca 750 di lunedì 28 marzo del terzo anno senza Carnevale e del primo anno di guerra. Scelgo René Char per l’occasione e con questi pochi versi prendo commiato dal mondo e da questa giornata troppo breve.

 

 

“Non apparteniamo a nessuno, se non al lampo di quella lampada ignota, inaccessibile, che tiene svegli il coraggio e il silenzio”.

giovedì 24 marzo 2022

Cronache dagli anni senza Carnevale/746. Chiara voce dell’alba, prologo di ogni mattino

 

 


Quando la notte prende il sopravvento e ci tiene tra le sue braccia, ecco che una nuova possibilità si apre. Mentre l’oscurità sfuma nell’argento dell’alba, noi possiamo anche udirne la voce, che è la voce degli uccellini sopravvissuti all’inverno. Ancora i suoni dell’umanità non si manifestano e si può restare ad aspettarli, perché cresceranno con l’avanzare della luce. L’alba è il primo evento di ogni giorno, ogni giorno è la speranza che ogni cosa vada bene, che ogni cosa vada meglio del giorno che l’ha preceduta. È cristallina la voce dell’alba, è alta e chiara e invita il sole a mostrarsi nei suoi drappi rossi e argentati.

Guardo fuori dalla finestra aperta, non importa se fa ancora freddo. Sdraiata sul divano, avvolta in un plaid di lana, guardo il colore degli alberi che trasmuta dal nero della notte che li confondeva con sé, al timido marrone appena scheggiato dalle gemme nuove. Di notte gli alberi sono come parole ancora immerse nell’inchiostro. È solo la luce che riesce a scrivere nel cielo e a rendere la natura partecipe del progetto misterioso di ogni giorno che inizia.

 

 

Prima che la parola sia stata pronunciata

 

Chiedo alla luce questa

prima parola, la chiedo

perché la luce conosce

la differenza tra un silenzio

che precede la parola e

il silenzio che la segue.

Così avviene ogni giorno

questo miracolo: sentire

l’eco di ogni intenzione

prima ancora che la parola

sia stata pronunciata.

 

 

Così è trascorso questo giovedì 24 marzo del terzo anno senza Carnevale e del primo anno di guerra e questa Cronaca 746 si esercita ancora al silenzio, lei che vorrebbe solo trillare con gli uccellini che hanno cantato tutto il giorno in fondo al giardino.

mercoledì 23 marzo 2022

Cronache dagli anni senza Carnevale/745. A che punto è la notte…

 

 


Non è proprio una domanda, è più un tentativo di capire quanto durerà ancora questa privazione della luce, questa attesa che consuma e sfinisce, questa mancanza d’aria. Se lo chiedono gli insonni soprattutto, quelli per cui la notte è un tormento un’interruzione della vita che non porta sollievo ma solo ulteriori pene. Gli insonni non riescono a sfuggire al minimo rumore notturno, sono assediati dalle sirene in lontananza, dalle rare auto che passano sui grandi viali che portano in periferia. Anche il loro stesso respiro è fonte di fastidio e noia, la notte è un’immensa voragine che toglie piacere e senso alla vita diurna. Ma ci sono anche altri tipi di insonni, non quelli che stentano ad addormentarsi, ma quelli che si svegliano proprio nel cuore del buio perché i rumori umani intorno sono cessati. Che sollievo diventa quel silenzio! Quanta bellezza si offre allora a quelli che non sanno più dormire. È possibile scegliere tra film e serie televisive, ma ancora meglio è mettersi a leggere, perché quel silenzio chiama le parole, perché così può risuonare ancora più alto e chiaro e le parole stesse ne traggono beneficio. Dunque, a che punto è la notte? Quando mi capita di svegliarmi all’improvviso, mentre sto sognando, l’oscurità e il silenzio mi accolgono con un canto di benvenuto e lo stupore di quel silenzio sconosciuto alle ore del giorno mi invade lo spirito e sono grata alla notte di avermi chiamato, di darmi la possibilità di ascoltare quel che non c’è, di prendere in mano un libro e la matita e ricominciare a leggere senza l’assedio delle ore diurne che si inseguono e rincorrono e non conoscono tregua.

 

Una voce che si leva prima ancora che sia alba

 

A che punto è la notte

non lo sappiamo dire.

Solo quando il silenzio ci

chiama, solo allora lasciamo

che i rami del sonno

fioriscano e si pieghino

sotto il peso dei sogni che

ricordiamo. E non c’è più

separazione tra luce e

buio, tra ricordo e

immaginazione. Solo

allora capiamo che ogni

notte orliamo di sogni

il giorno, è questo

il segreto, questa

la benedizione. Un silenzio,

la fonte che zampilla,

una voce che si leva prima

ancora che sia alba, che

sia ripetizione.

 

 

Torno a leggere dopo avere scritto queste poche parole per la Cronaca 745 di mercoledì 23 marzo del terzo anno senza Carnevale e del primo anno di guerra.

lunedì 28 febbraio 2022

Cronache dagli anni senza Carnevale/722. Dal luogo illune del tuo silenzio mi riscuote ogni giorno l’urlo del mattino


Tutto il giorno non ho fatto altro che pensare a quei poveri bambini che sono morti sotto i bombardamenti russi. La morte dei bambini, di tutti i bambini, è insopportabile. E più invecchio, più diventa difficile. Oggi ho perso le parole, io che ne scrivo centinaia ogni giorno. Vado a rileggere una poesia di Elsa Morante, una poesia che è una preghiera laica.

 

 

Addio

I

 

Dal luogo illune del tuo silenzio

mi riscuote ogni giorno l’urlo del mattino.

O notte celeste senza resurrezione

perdonami se torno ancora a queste voci.

 

Io premo l’orecchio sulla terra

a un’eco assurda dei battiti sepolti.

Dietro la belva in fuga irraggiungibile

mi butto sulla traccia del sangue.

 

Voglio salvarti dalla strage che ti ruba

e riportarti nel tuo lettuccio a dormire.

Ma tu vergognoso delle tue ferite

mascheri i cammini della tua tana.

 

Io fingo e rido in un ballo disperato

per distrarti dall’orrenda mestizia

ma i tuoi occhi scolorati di sotto le palpebre

non ammiccano più ai miei trucchi d’amore.

 

Alla ricerca dei tuoi colori del tuo sorriso

io corro le città lungo una pista confusa.

Ogni ragazzo che passa è una morgana.

Io credo di riconoscerti, per un momento.

 

E mendicando rincorro lo sventolio di un ciuffetto

o una maglietta rossa che scantona…

Ma tu rintanato nel tuo freddo nascondiglio

disprezzi la mia commedia miserabile.

 

Buffone inutile io deliro per le vie

dove ogni fiato vivente ti rinnega.

Poi, la sera, rovescio sulla soglia deserta

un carniere di piume insanguinate.

 

E chiedo una tenerezza al buio della stanza,

almeno una decadenza della memoria,

la senilità, l’equivoco del tempo volgare

che medica ogni dolore...

 

Ma la tua morte cresce ogni giorno.

E in questa piena che monta io cado e mi riavvento

in corsa dirotta, per un segno,

un punto nella tua direzione.

 

O nido irraggiungibile e caro,

non c’è passo terrestre che mi porti a te.

Forse fuori dai giorni e dai luoghi?

La tua morte è una voce di sirena.

 

Forse attraverso una perdizione? o una grazia?

o in quale veleno? in quale droga?

forse nella ragione? forse nel sonno?

La tua morte è una voce di sirena.

 

Voglia di un sonno che pare una tua dolcezza

ma è stata già l’impostura dove ti ho perso!

La tua morte è una voce di sirena

che vorrebbe sviarmi da te nelle sue fosse.

 

Forse, io devo accettare tutte le norme del campo:

ogni degradazione, ogni pazienza.

Non posso scavalcare questa rete spinata

mentre al tuo grido innocente non c’è risposta.

 

La tua morte è una luce accecante nella notte

è una risata oscena nel cielo del mattino.

Io sono condannata al tempo e ai luoghi

finché lo scandalo si consumi su di me.

 

Io devo, qui, trescare e patteggiare con la belva

per rubarle il segreto del mio tesoro.

O pudore d’una infanzia uccisa,

perdonami questa indecenza di sopravvivere.

 

 

 

Oggi è lunedì 28 febbraio del primo anno di guerra e del terzo anno senza Carnevale, nessuno parla più di Covid, travolti come siamo dalle immagini della guerra in Ucraina. Ci sarà riposo sulla terra? Ci sarà mai una pace duratura? Mi chiede questa Cronaca 722 e io sfoglio i libri di poesie e non trovo risposte.

martedì 15 febbraio 2022

Cronache dagli anni senza Carnevale/709. Redimere in silenzio un mondo buio

 


 

 

Una giornata gelida di pioggia, niente passeggiate, molto lavoro e nessuna poesia che bussa alla mia porta. Sono inutili i tentativi della Cronaca di irretirmi, me ne sto bene al calduccio anche senza il calore delle mie stesse poesie. Preferisco leggerne questa sera e recupero diversi testi di Gottfried Benn, tutti molto belli, sul blog Poesia in rete e decido di prenderne uno per la mia scrittura quotidiana.

 

 

Brina

 

Qualcosa si è dissolto

dalle arie nebulose e di notte

è cresciuto come un’ombra bianca

lungo l’abete, l’albero, il bosso.

 

E risplendeva come il morbido

bianco che cade dalle nubi,

e redimeva in silenzio un mondo buio

tramutandolo in pallida bellezza.

 

 

 

Mi piace sempre quando la poesia arriva come risposta a domande che non ho fatto, che ancora non ho fatto. Così continua a leggere Benn, vado a prendere i suoi libri e mi metto comoda, con questa Cronaca 709 acciambellata come un gatto davanti al fuoco. Forse cadrà la neve, forse qualcuno si sveglierà nel cuore della notte e aprirà a caso un libro o questo blog e le stesse risposte lo raggiungeranno e le domande si materializzeranno come il nostro fiato nelle albe invernali e il gelo inciderà nuove sillabe sulla finestra che protegge il mondo dal nostro sguardo. Oggi è martedì 15 febbraio 2022, il terzo anno senza Carnevale.

la poesia di Gottfried Benn, tradotta da Paola Quadrelli è stata pubblicata dalla rivista “Poesia”, Anno XV, Gennaio 2002, N. 157, Crocetti Editore.

lunedì 7 febbraio 2022

Cronache dagli anni senza Carnevale/701. Il manto della prima neve le foglie degli alberi, così ci appare la carta

 


 

Riprendo il filo del discorso di ieri sulla carta, gli alberi e la luce. Lo riprendo perché ho iniziato a rileggere un piccolo libro prezioso di Junichiro Tanizaki, il Libro d’ombra:

“La carta, dicono, è invenzione cinese. Io posso dire soltanto che la carta occidentale altro non mi trasmette che l’impulso a usarla; se, invece, mi chino a osservare una carta cinese, o giapponese, a poco a poco mi sento invaso dalla quiete e dal tepore. La bianchezza stessa è diversa. Se la carta occidentale sembra respingere la luce, quella cinese, o giapponese, la beve lentamente, e la sua morbida superficie è simile al manto della prima neve. È una carta cedevole al tatto, e che si lascia piegare senza rumore. È placida, delicata, leggermente umida. Somiglia alle foglie degli alberi”.

Mi piace molto questo approccio sensoriale alla carta. Alla sua bianchezza, alla sua capacità di offrirsi alla luce, al suo silenzio.

 

Dal mondo dell’immaginazione a quello della carta

 

Tace la carta, tace quasi

sempre, tace se noi non

la stropicciamo tra le dita,

tace quando la lasciamo

intonsa, senza figure e

senza parole. Tace la carta

ma ci ascolta nel suo

silenzio millenario e nelle

molte forme in cui l’abbiamo

plasmata ci attrae a compiere

quel gesto della mano, a

impugnare una penna o

una matita e a consegnarle

immagini e versi che smettono

di essere solo nostri, che

smettono di esistere nel

mondo invisibile della

nostra immaginazione.

 

 

Dopo avere scritto questa breve poesia mi soffermo ad accarezzare il libro di Tanizaki, il quaderno su cui sto prendendo appunti e poi annuso i fogli, anche gli odori sono molto diversi. Questa Cronaca 701 di lunedì 7 febbraio del terzo anno senza Carnevale ne è incantata e ancora non ha deciso quale preferisce