lunedì 31 marzo 2014

La poesia sta nell'alfabeto della vita

Il posto della poesia


Non sta la poesia
nelle oscurità del linguaggio
ma in quelle della vita.
Non sta nelle perfezioni del suo corpo
ma nelle emorragie della sua ferita.
Non sta dove credevamo che fosse
né è un’immagine unica e fissa.
Sta dove fugge quanto amiamo:
sta nel suo commiato.
È dire addio a noi stessi
nel girare ogni volta lo stesso angolo.
È la pagina che muove solo il tempo
col suo inchiostro uguale ma diverso.
Non sta la poesia nel linguaggio
bensì nell'alfabeto della vita.

Jaime Siles

Traduzione di Emilio Coco
da Poeti spagnoli contemporanei, Edizioni dell’Orso, 2008

domenica 30 marzo 2014

Anch'io sono scrittura



Mi chiedo da sempre: perché diamine scrivo quando sarebbe molto più comodo fare altre cose? La letteratura non è una professione piacevole: è un’attività noiosa e sedentaria e, come se non bastasse, comporta sofferenze e sacrifici. Lavoro un po' tutti i giorni e in più leggo. Leggere è una delle cose che mi piacciono di più. Leggere e conversare. Quel che mi piace di meno è scrivere. In generale non ho un’idea chiara di quello che farò. Spesso avverto un vuoto, sono senza idee, ma d’improvviso compare la prima frase. 
Valéry diceva che il primo verso è un dono. È vero: scriviamo la prima riga sotto dettatura. Chi ce la dona? Non lo so. Ma sta di fatto che compare una riga e che su quella riga si regge tutta la poesia. La poesia è il suo sviluppo: a volte si scrive per contraddire quella prima riga; altre volte la si segue;altre ancora, quando la poesia è stata scritta,quella prima riga scompare. In definitiva, so-no io che scrivo la prima riga, ma la scrive anche un altro che non sono io. E il dialogo tra chiha scritto la prima riga e quell’altro che scrive il resto continua. C’è uno sdoppiamento, una pluralità di poeti.

frammento dell'autobiografia inedita di Octavio Paz anticipata su Repubblica di sabato 29 marzo 2014.

Octavio Paz 
Anch'io sono scrittura
a cura di Julio Hubard
Edizioni Sur 2014

sabato 29 marzo 2014

La parola scritta è la mia finestra sulla libertà


Ho imparato a leggere a tre  anni. La nostra casa londinese era piena di libri, 
ammucchiati ovunque.  Alcune colonne erano più  alte di me. Iniziare a sfogliarli è stato naturale.  Mia madre mi ha insegnato a capirli, era una  professoressa d’inglese. Da allora la parola  scritta è diventata la mia finestra sulla libertà. 
Lo strumento che mi ha avvicinato al teatro,  che mi ha consentito di abbandonare il mio  corpo e i miei complessi, che mi ha permesso di  vivere e raccontare altre vite. 

incipit dell'intervista di Arianna Finos all'attrice Emily Watson su
Repubblica di oggi

venerdì 28 marzo 2014

L'attesa insopportabile e l’inesprimibile silenzio


Credo che presto sarò guarito.
Qualcosa si romperà in me o in qualche parte dello spazio.
Partirò verso altezze sconosciute. Sulla terra non c’è
che la mietitura, l’attesa insopportabile
e l’inesprimibile silenzio.

Agota Kristof
Ieri
Einaudi 1997
traduzione di Marco Lodoli


questi versi sono una forzatura delle ultime righe del racconto di Agota Kristof e che a me sono sempre sembrate poesia.

giovedì 27 marzo 2014

Diventando assolutamente niente si può diventare uno scrittore


- ... è diventando assolutamente niente che si può diventare uno scrittore. D’altronde le cose si sono presentate così e non in un altro modo.
- Lo dici sul serio, Sandor? Che bisogna diventare assolutamente niente per essere scrittore?
- Credo di sì.
- Io credo che per diventare uno scrittore bisogna avere una grandissima cultura. Inoltre bisgona avere letto molto e scritto molto. Non si diventa scrittore dall’oggi al domani.
Dico:
- Io non ho una grandissima cultura, ma ho letto molto e scritto molto. Per diventare uno scrittore bisogna assolutamente scrivere. Certo, capita che non si abbia niente da dire. E a volte, anche quando si ha qualcosa da dire, non si sa come dirlo.
- E alla fine che cosa ti resta di ciò che hai scritto?
- Alla fine niente o quasi niente. Un foglio o due con  un testo e il mio nome scritto in basso. Raramente, perché brucio quasi tutto quello che scrivo.

Agota Kristof
Ieri
traduzione di Marco Lodoli
Einaudi 1997

mercoledì 26 marzo 2014

Un nome e tutto quel che implica coincidono


I. Conversazione

Il tumulto del cuore
insiste a far domande.
Poi smette e si accinge a rispondere
nello stesso tono di voce.
Nessuno coglierà la differenza.

Conversazioni prive d’innocenza
al loro avvio, coinvolgono poi i sensi,
nelle intenzioni almeno.
E poi non c’è più scelta
e poi non c’è più senso;

finché un nome
e tutto quel che implica coincidono.

Elizabeth Bishop
Miracolo a colazione
Traduzione di Damiano Abeni, Riccardo Duranti e Ottavio Fatica
Adelphi 2005

martedì 25 marzo 2014

Il silenzio è certo. Per questo scrivo

XI
Al nero sole del silenzio le parole si doravano.

XII
Ma il silenzio è certo. Per questo scrivo. Sono sola e scrivo. Non, non sono sola.
Qui c'è qualcuno che trema.


Alejandra Pizarnik
frammenti di Vie dello specchio in 
La figlia dell'insonnia
a cura di Claudio Cinti
Crocetti editore 2004

lunedì 24 marzo 2014

Dopo un giorno passato a capo chino, sanguinando poesie

LA PASSEGGIATA

Dopo violenta pioggia le grondaie sgranano il loro rosario,
quegli alberi esalano il tuo dubbio come ceri ammantati,
goccia su goccia, come il pallottoliere di un bambino
grani di sudore freddo sfilano da cavi ad alta tensione,
prega per noi, prega per questa casa, prendi in prestito la fede
del vicino, prega per questo cervello che si stanca
e perde la sua fede nei gran libri che legge;
dopo un giorno passato a capo chino, sanguinando poesie,
ogni frase estratta dalla carne avvolta in bende,
alzati, va’ a passeggio sotto un cielo
fradicio come bucato in cucina,
mentre i gatti sbadigliano dietro le loro finestre,
leoni in gabbie che hanno scelto loro,
e non oltre, però, il cancello dell’ultimo vicino,
decorato di perla. Com'è atroce questa tua
fedeltà, o cuore, o rosa di ferro!
Quando mai il tuo lavoro fu più simile a un romanzo per serve,
a una intrisa soap opera che si avvicina
più di te alla vita? Solo il dolore,
il dolore è vero. Ecco la fine della tua vita,
una macchia di bambù il cui pugno
chiuso allenta i suoi fiori, una pista
che sibila attraverso il boschetto intriso
di pioggia: abbandona ogni cosa, il lavoro,
la pesa di una vita breve. Sgomento, ti avvii;
la tua casa, un leone che si alza, ti riafferra.

Derek Walcott
Mappa del Nuovo Mondo

Traduzione di Barbara Bianchi, Gilberto Forti, Roberto Mussapi
Adelphi 1992

domenica 23 marzo 2014

Una mappa bianca da colmare

Andiamo

Aspettami. Un istante.
Appena il tempo di correre all’emporio
prima che chiuda
all’angolo di fronte.
Fuma leggi bevi
nel frattempo.
Una corda fiammiferi coltello
molti cibi in conserva
pistola con cartucce relative
coperte per i climi inospitali
cloro compresse
da sciogliere nell’acque perigliose
pillole per il cuore
una pila una bussola una mappa
bianca da colmare.
E talismani. Auguri per il cuore
per la noce del collo
l’anima la vita.
Sull’alto sgabello appollaiata
chiuse il giornale
strinse un po’ i ginocchi
che aveva divaricati
sorrise con la bocca
non con gli occhi.
Ti ho aspettato disse
Andiamo.


Bartolo Cattafi
L'osso, l'anima

sabato 22 marzo 2014

Hai soltanto parole per dire il mondo

LE PAROLE


Hai soltanto parole ed è con esse
che devi dire il mondo, l’infinita
varietà delle cose.
                                  È necessario
il caso al tuo destino, e queste stelle
all’amore per compiersi.

                                               Nelle ore
più belle, piene, nel magico incontro
quando su un foglio fa cadere il cielo
i suoi segni, i lamenti della voce
sfumano nel silenzio.

                                         Un calmo mare
porta a riva la musica ascoltata,
o l’eco viva. Sulla spiaggia le onde
si rallegrano, l’essere si mostra
e nel tuo verso il fuggitivo istante
brilla per sempre.

Eloy Sánchez Rosillo, 
Las cosas como fueron
Tusquets Editores, 2004
Traduzione di Francesco Dalessandro 
dal blog Poesie senza pari

venerdì 21 marzo 2014

Gli scrittori hanno una strana capacità di entrare nella vita degli altri

Quando è venuta (in Italia) l’ultima volta?
«Un paio di anni fa. Adesso non posso più affrontare viaggi lunghi. Ma ho visto il mondo, e le persone. E si può viaggiare anche leggendo, sia nello spazio che nel tempo. È questa la meraviglia della lettura: consente un’esperienza del mondo e di molte, molte vite. Ci informa: i romanzi e la poesia ci fanno conoscere lo spirito umano».

La meraviglia di cui parla ha bisogno di essere vissuta da chi scrive? O è sempre possibile, come a Jane Austen, descrivere perfettamente l’animo altrui pur con una conoscenza relativamente limitata del mondo?
«Certo, una qualche esperienza ci deve essere. Ma poi noi scrittori abbiamo
una strana capacità di entrare nella vita degli altri. Una capacità empatica.
È una dote che abbiamo in maggior misura di altri, di chi non è scrittore.
Qualcosa che non so spiegare. Sappiamo avventurarci in terreni sconosciuti.
Come nel mio ultimo romanzo, Ora o mai più, pubblicato due anni fa — un
titolo che voleva significare che ogni tempo è unico — , cerchiamo di fare
uso della nostra capacità di penetrare la distanza. Di raggiungere universi
che stanno oltre il mondo di cui disponiamo. Attraverso la lettura riusciamo a sapere di più, a trovare il senso da dare alla nostra vita».

frammenti dell'intervista pubblicata su Repubblica il 20 marzo 2014 di Pietro Veronese a Nadine Gordimer in occasione dell'uscita della raccolta 

Racconti di una vita
traduzione di Grazia Gatti
Feltrinelli 2014

giovedì 20 marzo 2014

il vento è un'aspra voce che ammonisce

Uccelli 

il vento è un'aspra voce che ammonisce
per noi stuolo che a volte trova pace
e asilo sopra questi rami secchi.
E la schiera ripiglia il triste volo,
migra nel cuore dei monti, viola
scavato nel viola inesauribile,
miniera senza fondo dello spazio.
Il volo è lento, penetra a fatica
nell'azzurro che s'apre oltre l'azzurro,
nel tempo ch'è di là dal tempo; alcuni
mandano grida acute che precipitano
e nessuna parete ripercuote.
Che ci somiglia è il moto delle cime
nell'ora - quasi non si può pensare
né dire - quando su steli invisibili
tutt'intorno una primavera strana
fiorisce in nuvole rade che il vento
pasce in un cielo o umido o bruciato
e la sorte della giornata è varia,
la grandine, la pioggia, la schiarita. 

Mario Luzi

mercoledì 19 marzo 2014

Scrivere è usare le parole per cambiare il mondo

Cominciamo dall'inizio. Perché scriviamo libri e raccontiamo storie?
"È come chiedersi perché l'uccello vola. Lo fa per spostarsi? O perché camminando sulla terra sarebbe stato divorato da un predatore? Sono due ipotesi legittime. Ma la verità è che gli uccelli volano perché è nella loro natura. Lo stesso vale per gli umani; raccontiamo storie perché narrare è nella nostra natura".

Chi scrive romanzi immagina un'altra vita. Lei pensa di ricreare il mondo? O almeno di cambiarlo?
"Qualche volta, per me, scrivere è una semplice attività professionale, come fare il carpentiere. Altre volte ho l'impressione di partecipare alla creazione di un mondo. Ma attenzione: l'idea che la parola sia in grado di creare il mondo è molta ebraica. Tra le prime parole della Genesi c'è la frase "Sia luce e luce fu". Un desiderio, se articolato a voce alta, diventa realtà. Scrivere un romanzo è un processo analogo. I pensieri e i desideri dello scrittore diventano verità. Detto questo, scrivo per essere conosciuto: prima di tutto a me stesso. Scrivere è un cammino, a volte verso la condivisione della conoscenza, altre volte verso la scoperta di un ricordo, o di un sentimento. Aggiungo: la parola può cambiare il mondo e senz'altro è in grado di cambiare la vita e l'esperienza del lettore, a patto che si usi un linguaggio onesto e che si abbia il coraggio di toccare le emozioni, le più recondite del lettore. Uno scrittore è chi sa farlo; altrimenti tutti scriverebbero romanzi".


frammenti dell'intervista di Wlodek Goldkorn allo scrittore Jonathan Safran Foer
Repubblica 18 marzo 2014. L'intervista completa è disponibile sul sito

martedì 18 marzo 2014

Uno scrittore è un eterno osservatore

I poeti non vanno in vacanza

Quest’anno ho deciso di fare come tutti: mi prenderò delle vacanze. Ho chiuso il mio quaderno d’appunti, deposto la penna, spento il computer, sistemandolo in un angolo dello studio. Ho rimesso al loro posto anche i dizionari e i classici che utilizzo come fonti. È ora di vacanze, di tempo libero, di un po’ di pigrizia e di una siesta sotto un bell'albero della Toscana o della Normandia. Sono pronto. Le vacanze devono solo iniziare. Le accoglierò a braccia aperte. Sono qui e aspetto. Respiro profondamente. Guardo il cielo. È azzurro. Non fa né caldo né freddo. Temperatura ideale. La mia famiglia è contenta.  
(...)
Sarebbe bello, ma ecco, non ci riesco. 
(...) 
sento che il personaggio principale del romanzo che stavo scrivendo mi aspetta, mi chiama e mi chiede di tornare al mio tavolo di lavoro. La notte mi perseguita. Penso a lui e agli altri personaggi. Sono tutti lì a tirarmi per la manica della mia camicia bianca. L’estate per loro non esiste, tanto più che la storia si svolge fra le nevi di un paese immaginario. La mia mente è preoccupata. Guardo il mio studio. Vedo il quaderno su cui prendo i miei appunti muoversi come fosse animato da uno dei suoi personaggi; anche la mia bella penna nera si muove. Bisogna che torni a lavorare. 
(...)
No, uno scrittore non può prendersi delle vacanze. Impossibile, perché uno scrittore è un eterno osservatore, uno scrutatore, un ricercatore, una persona che, come dice Balzac, scava nella società. Non può smettere di scavare, di decifrare, di raccontare, di denunciare e di arrabbiarsi. 
(...)

Un poeta non può smettere di avere uno sguardo da poeta. La poesia non è un mestiere che si esercita a orari fissi. Se no, non è più poesia. È burocrazia. 

Un artista non chiude i suoi occhi sul mondo. È continuamente chiamato dalla luce, dai colori della vita. Lo stesso vale per un filosofo. Pensa sempre. Il giorno in cui smettesse, avrebbe preso l’Alzheimer. 
(...) 
La poesia non aspetta. È un’urgenza. Al ritorno, in aereo, ero accanto a lui, si è addormentato. Mi sono detto: non è il poeta che riposa, è il corpo del poeta che non ne può più di essere vigile. 
I poeti non dormono mai. Il loro corpo gli sfugge e si lascia irretire dal sonno. Ma anche mentre dormono, forse il loro inconscio continua a lavorare, ad accumulare immagini e a preparare la poesia successiva. 

Niente vacanze. Tanto meglio. Vuol dire che sono ancora vivo. 

Tahar Ben Jelloun

l'articolo completo, pubblicato il 10 marzo, è disponibile sul sito della Stampa
(traduzione di Anna Maria Lorusso) 

lunedì 17 marzo 2014

Il sonno è un inverno russo

Persa

Il sonno è un inverno russo, dove sei
di nuovo ragazza – persa, così sembra,
come ogni cosa, e tramutata in pietra.
Solo il tuo cuore trovatello si agita ancora.

Meglio forse essere nata albero,
rivivere estate dopo estate,
con rami e foglie in movimento
come capelli di bambina al vento.

La meraviglia è il mondo al risveglio
è così simile al sogno. Tutto è pallido
vuoto silenzio, benché oltre la distesa
di neve tu senta quasi il loro invito:

Sorprendici, sembrano dire,
sorprendici di nuovo oggi.

Jane Draycott
Questa poesia è uscita sulla rivista britannica The Rialto. 
Traduzione di Francesca Spinelli
Internazionale 1025 - 8 novembre 2013

domenica 16 marzo 2014

La vita del poeta

Faticosa è la vita del poeta: si alza la mattina

e i brandelli del sonno tendono a fondersi per lui
in vivide immagini diurne. Camminando verso l’ufficio,
galleggia su queste nuvole argentee tra i raggi obliqui del sole
finché si siede alla scrivania. Poi la meccanica delle consuetudini
(le frasi note, le carte) lo prende e lo porta a sera.

Alessandro Peregalli

da La cronaca. Poema 1939-1982
Il Saggiatore 2003

sabato 15 marzo 2014

Variazione barocca su un tema di Lucrezio

I

In una notte diventiamo vecchi
e, svegliandoci al mondo, la mattina
nella luce del vetro scaraventa
su di noi, come insulti, i suoi riflessi.

I nostri occhi nell'acqua sono specchi
della memoria piena di semenza
grigia, ed ormai cadente la parola
ci consegna i suoi accenti circonflessi.

Nel lavandino delle ore lavo
la ruggine dei giorni. Sopra il corpo
le settimane spalmano la calce;
china l’ombra degli anni; sconosciuta
l’intelligenza delle cose vane:
il lavabo, il sapone, il rubinetto.

II
Il lavabo, il sapone, il rubinetto
anticipano la suprema scienza
del vivere: guardare alla finestra,
vedere quante cose al giorno lavo.

Un fulgore di linee, rossi laghi,
un bicchierino, un libro, una mattina
di un altro volto che vede affacciarsi
lo stesso grigio del suo aspetto vago

mi dicono che accenti circonflessi,
grigie aurore dei giorni, ombre carminio
gli specchi immobilizzano; che siamo
solamente il rumore dei riflessi
delle ore, di giorni e settimane
e che una notte diventiamo vecchi.


Jaime Siles

Poeti spagnoli contemporanei
Traduzione di Emilio Coco
Edizioni dell’Orso 2008



venerdì 14 marzo 2014

Ho imparato a soffrire in accurati giambi

Preludio


Io, con le gambe incrociate alla luce del giorno, guardo
I pugni variegati di nuvole che si raccolgono sopra
GIi sgraziati lineamenti di questa mia isola prona.

Intanto i piroscafi che dividono orizzonti dichiarano
Noi perduti;
Trovati solo
In opuscoli turistici, dietro ardenti binocoli;
Trovati nel riflesso blu di occhi
Che hanno conosciuto metropoli e ci credono felici, qui.

Il tempo striscia sui pazienti che da troppo sono pazienti,
Così io, che ho fatto una scelta,
Scopro che la mia fanciullezza se n’è andata.

E la mia vita, troppo. presto, certo, per la profonda sigaretta,
La maniglia girata, il coltello che rigira
Nelle viscere delle ore, non deve essere resa pubblica
Finché non ho imparato a soffrire
In accurati giambi.

Vado, certo, attraverso tutti gli atti isolati,
Faccio di situazioni una vacanza,
Mi aggiusto la cravatta e fisso mascelle importanti,
E noto le vive immagini
Di carne che passeggiano per l’occhio.

Finché da tutto mi allontano per pensare come,
Nel mezzo del cammin della mia vita,
Oh come giunsi a incontrare te, mio
Riluttante leopardo dai lenti occhi.

(1948)

Derek Walcott

Mappa del Nuovo Mondo
Traduzione di Barbara Bianchi
Adelphi 1992

giovedì 13 marzo 2014

Le pietre chiudono lo spazio

Le pietre chiudono lo spazio,

lo imprigionano:

attraverso facciate sventrate
il cielo cerca la sua via d'uscita.

Risuonano passi: i miei, instancabili.

Ombra di guardia
in questo giorno senz'ombra,
veglio.

La luce è triste,
assetata dei suoi sogni.
E i sogni sopravvivono all'immobilità.

I miei passi suonano a morto,
battono il tempo della memoria
per farne sprigionare il sangue.


Jean-Claude Izzo
Loin de tous rivages
Les Editions du Ricochet 1997
Traduzione inedita di Annalisa Comes

grazie al blog Poesie senza pari

mercoledì 12 marzo 2014

L'esilio è in questo essere intero mai

Lettera da Tinizong
Niente d'eroico in questo esilio
casuale. Il marinaio ricorda
lo stacco della nave dal Pontile,
le musiche d’addio, gli ultimi spari
del cannone di terra? Io no,
io non so dove, quando la partenza
(se partenza c’è stata); da qualche parte
s'intuisce ci dev'essere un errore
– mio o d’altri non importa – un'imprevista
smagliatura, un sasso fuori posto.
Né basta dire che adesso (quando?) qui (dove?)
si aprono inconsuete visuali, angoli acuti – 
di realtà (e intanto sfugge il resto del cerchio).
La disfunzione è altra, è nei vapori
che velano le cose, confondono le case
le chiese le chiuse; e chi sa più se l’inaudito
tumefarsi dei volti, e l’appiattirsi
e l’inarcarsi dei monti, e il beccheggiare
dei ponti siano segnali veri, tracce forse
di un mondo altro, sottostante,
che irrompe a tratti violento,
o fantasmi neppure ipotizzabili?
L'esilio comunque è in questo non essere
intero mai, non esistente del tutto
nell'istante, e sempre distante
dal vero.

Fabio Pusterla

Concessione all’inverno
Casagrande 1985-2012

martedì 11 marzo 2014

Le parole le ha mangiate il vento

L’eternità

Scarpe da tennis allacciate
l’ultima mattina. Ma ultima
e fine sono due vocaboli che
la vita non contiene, che solo
la morte fa brillare nella stella
dell’eternità. Un passo, un pensiero,
un’immagine nell'occhio, qualsiasi,
niente di speciale. Chi vorrebbe
la morte su un treno tra volti sconosciuti
e lingue ancora impastate di sonno?
C’è un viso tumefatto nascosto tra
le rovine, sanguina da un orecchio,
non ha più parole da dire, le parole
le ha mangiate il vento, il respiro
lo ha strappato il treno.
Cosa dire alle rotaie divelte?
Tra dieci giorni sarà primavera.

in memoria delle vittime di Atocha, 11 marzo 2004

Elena Petrassi
Sillabario della Luce
Moretti&Vitali 2007

lunedì 10 marzo 2014

Scrivere è aprire ogni giorno la porta della stessa cella

Se è davvero così arduo dire qualcosa di interessante sull'amicizia allora
è possibile arrivare a un’intuizione ulteriore: che, diversamente dall'amore e dalla politica che non sono mai quello che sembrano essere, l’amicizia è quello che sembra. L’amicizia è trasparente.

John M. Coetzee
(...)
Per cominciare, mi limiterò all'amicizia maschile, l’amicizia fra uomini, l’amicizia fra ragazzi.
1) Sì, esistono amicizie trasparenti e dirette (per usare le tue parole), ma nella mia esperienza non sono molte. Questo può dipendere da un altro dei termini che usi tu: taciturno. Hai ragione a dire che gli amici maschi (almeno in Occidente) tendono a «non parlare dei loro sentimenti reciproci». Farei anche un passo in più, aggiungendo: gli uomini tendono a non parlare di quello che sentono, stop. E se ignori come si sente il tuo amico, o quello che sente, o perché lo sente, puoi dire onestamente di conoscerlo?
Paul Auster
(...)

A cementare la loro intesa c’è però un profondo legame: 
«Sento una certa tenerezza fraterna per te…- scrive Coetzee - Mi dico, il mondo è ai suoi piedi, eppure eccolo lì, ogni mattina alle otto e mezzo, che apre la porta della sua cella, e si presenta per scontare un’altra giornata della sua punizione». 
Insomma, a unirli c’è anche una magnifica prigione.

frammenti delle lettere e della recensione di Mirella Serri all'epistolario di 
Paul Auster e John Maxwell Coetzee
Ora e qui. Lettere 2008-2011
Einaudi 2014

domenica 9 marzo 2014

Scrivere è non usare mai una parola in più del dovuto

È nella natura di molti uomini sfuggire le responsabilità. Lo cantava anche lei: uomini sempre poco allineati, li puoi chiamare ai numeri di ieri se nella notte non li avranno cambiati.
«In effetti il libro assomiglia molto a quella canzone. Sono scappato per anni anch'io».

Da che cosa?
«Da tutto: sentimenti, responsabilità, amore».

Il lavoro, qualsiasi lavoro, può essere un alibi perfetto.
«Lo è. Ma solo fino a quando pensi di non avere abbastanza tempo per occuparti di entrambe le cose».

E lei lo pensava?
«L'ho pensato per vent'anni, poi ho iniziato a capire che abbiamo tempo, c'è tempo per tutto. Ma bisogna capirlo prima di diventare degli assenti perenni».

Assenti per chi?
«Per gli altri. Che cosa puoi raccontare agli altri se ti sei chiuso in un mondo in cui la vita vera non entra mai? Un mondo solo di ego e di gente che parla di se stessa? Ripeto, mi annoierebbe a morte parlare di me, il libro non parla di me».

La letteratura dovrebbe parlare in modo universale raccontando nel modo migliore possibile una questione evidente per tutti. È d'accordo?
«Sono più che d'accordo. Prendiamo il maestro della sintesi: Simenon. L'ho letto quasi tutto. Non c'è mai una parola in più del dovuto, eppure si ha l'impressione dopo aver letto 100 pagine di averne lette 300. È un condensato, è l'uomo più meravigliosamente sintetico e completo che io conosca».

Racchiudere un'idea in poche parole è una questione che lei dovrebbe conoscere bene.
«Ci ho combattuto una vita limando le strofe delle canzoni. Meno parole possibili per dire una cosa il più esattamente possibile. Il mio ideale sarebbe stato scrivere delle canzoni come degli haiku. Pensi che meraviglia: la sintesi assoluta più la sincerità assoluta degli intenti».

C'è riuscito spesso. «Quello che faccio è cercare il tuo amore fino nel cuore delle montagne». Un haiku, quasi un salmo. 
«Non lo avevo pensato in quei termini ma in effetti è un'interpretazione».


frammenti dell'intervista su Repubblica del 4 marzo 2014 di Dario Olivero a Ivano Fossati in occasione dell'uscita del suo primo romanzo

Tretrecinque
Einaudi 2014

sabato 8 marzo 2014

Qualunque cosa sembrava all'improvviso materia per la poesia

"Caro Robert, se sapessi quante conversazioni immaginarie faccio con te tutto il tempo".
"Quando penso a come mi sembrerebbe il mondo e la mia vita se tu non fossi presente in tutti e due - mi sembrerebbe molto vuoto, credo".
"Da quando ho visto alcune delle tue poesie ho sentito un meraviglioso senso di sollievo, come se le avessi scritte io".
"Tutte hanno quella presa sicura, come se tu avessi attraversato un periodo in cui qualunque cosa sembrava all'improvviso materia per la poesia - neanche materia, sembravano essere poesia, e tutto il passato era illuminato qua e là da lunghi raggi, come l'alba lungamente attesa".
(...)
Elizabeth Bishop parlava molto meno volentieri di se stessa di quanto lo faceva Lowell: un vero poeta, pensava, doveva nascondere l'ego e le sue, quasi sempre infelici vicissitudini. 

frammenti della recensione che Pietro Citati ha pubblicato sul Corriere della Sera di martedì 25 febbraio 2014, dedicata all'epistolario di

Elizabeth Lowell e Robert Bishop
Scrivere lettere è sempre pericoloso
Corrispondenza 1947-1977
Adelphi 2014