Ecco che all’improvviso, come portata dal vento del nord, Duras è
arrivata sino alla Casa delle Parole. Dà l’idea di essere molto sofferente, disorientata
e stanca. Ma il suo sguardo è comunque vivo, intenso e inizia subito a
raccontare di sé.
Forse tutti gli scrittori hanno in comune soprattutto una memoria esorbitante e feroce che li costringe a ritornare sulle storie, gli avvenimenti, le immaginazioni per raccontarle ancora e ancora, cesellando, molando, raffinando.
Forse un’altra
caratteristica degli scrittori è di “non essere mai guariti dall’infanzia”.
La memoria implacabile
e l’infanzia inguaribile, sono state due peculiarità di Marguerite Duras, una
scrittrice capace di trasformare la vita vissuta e la vita ricordata in materia
incandescente della creazione e a scrivere così, alcuni tra i romanzi più
intriganti e poetici del Novecento.
La piccola
Marguerite/Nené ebbe un’infanzia selvaggia in Indocina, figlia di due
insegnanti emigrati nelle colonie, Marie e Henri, alla ricerca di ricchezza e
stima sociale. Hanoi, il Mekong, le piantagioni di riso, le strade sterrate, i
contadini, una diga sul Pacifico sono tra le figure che popoleranno i futuri
libri. Anche la storia d’amore con il ricco e giovane cinese, sarebbe stata
immortalata nel romanzo L’amante che
consegnò Duras alla fama presso il grande pubblico e alla ricchezza, ma la
privò della sua invisibilità perché tutti iniziarono a fermarla per strada.
Nené vive giovane per l’eternità in questa narrazione, così come anche il suo
amante, ormai anziano, le dice al telefono dopo la pubblicazione della loro
storia. Lei si stupì di quella telefonata perché dopo avere scritto, ogni
volta, temeva sempre di essersi immaginata ogni cosa. L’infanzia indocinese è
irriducibilmente altra, l’Indocina resterà il sogno infranto della Francia, ma
Duras continuava a vivere in quel sogno la sua infanzia libera. La tensione tra
immaginazione, inconscio e memoria e sempre fortissima in lei. Non diede
ascolto, all’inizio della sua carriera letteraria, a chi le suggeriva di
entrare in analisi, conobbe Lacan che dedicò uno dei suoi scritti a Lol V. Stein, lesse Freud ma restò
folgorata solo da Jung, e quando decise di andare da un analista lo avrebbe
fatto in segreto.
La bambina selvaggia
diventerà una giovane donna borghese bellissima e inconsapevole al suo ritorno
in Francia e poi una combattente della Resistenza, una militante comunista
espulsa dal PCF, una scrittrice adorata dai critici, una moglie infedele, una
madre ansiosa, un’amante appassionata, una regista d’avanguardia, una
rivoluzionaria del maggio ‘68: Nené aveva lasciato il passo a Margot. Se queste
molteplici vesti si sovrappongono nel corso di tutta la vita, oltre alla
scrittrice, due sono i ruoli che non l’abbandonano mai: l’amica, e tra le sue
amicizie famose vanno ricordati almeno l’attrice Jeanne Moreau e lo scrittore
Elio Vittorini, ma più ancora la figlia che mai ha sentito su di sé lo sguardo
amoroso della madre. Forse ogni libro scritto non è altro che una lunga lettera
alla madre che non l’ammirava e che, anzi, si arrabbiava e vergognava di quei
libri che riteneva offensivi per la famiglia. Non poteva capire le distorsioni
letterarie alle loro vite che rendono le vite materia letteraria Marie
Donnadieu. Non poteva capire che la scrittrice sarebbe stata la maschera
unificante di una personalità complessa e incandescente. Lo scrittore Raymond Quenau la esortava a
scrivere comunque “Scriva! Solo questo deve fare”. E scrivere è entrare nelle
ombre e nelle tenebre dell’anima, perché “Non si possono conoscere le tenebre
partendo dal giorno”.
Duras conobbe le
tenebre della malattia e dell’alcolismo che la portò diverse volte in punto di
morte. “A volte l’acqua si dimentica di gelare. Le hanno raccontato di questo
fenomeno naturale, l’acqua non gela sempre a zero gradi. Se è perfettamente
immobile, se è molto pulita, la temperatura deve scendere sotto lo zero, prima
che geli. Come acqua che ha dimenticato di gelare, Marguerite si è dimenticata
di soffrire, si è dimenticata di morire. Era stata respinta in fondo
all’abisso, a contorcersi inascoltata, a urlare senza far rumore. Non aveva
detto tante volte che proprio questo si fa quando si scrive? “Si urla senza
produrre suono”. L’eco di queste urla attraversa tutta l’opera di Duras che, a
differenza della maggior parte degli scrittori, poté vedere incarnati a teatro
e al cinema i suoi personaggi. Il buio del cinema, “è come lo spazio bianco tra
le parole” scriveva. Duras fu maestra nell’uso di quel bianco e di quel nero
perché la sua scrittura e il suo sguardo hanno ritagliato, cesellato la parola
necessaria, l’immagine indispensabile facendo sì che i due colori opposti
diventassero una cornice e non il centro della sua espressività.
Chi scrive vive tutti i
tempi allo stesso tempo, vive tutte le vite che non vivrà mai nella realtà. Ma
cosa è mai la realtà se non un riflesso in un vetro che la scrittura coglie e
ordina?
I frammenti vengono
ricomposti, ma dietro il vetro, il caos e la passione, i segreti e i misteri
restano intatti, intoccati.
Se anche delle nostre
vite non “resta che il ricordo di una solitudine vista in sogno” possiamo
continuare a credere nella forza della letteratura e dei libri non solo per
salvare noi stessi e il mondo dall’oblio, ma per continuare il dialogo
silenzioso con i lettori vicini e lontani e con gli scrittori che ci hanno
preceduto.
È facile ascoltare
Duras, qui alla Casa delle Parole siamo tutti incantati, per chi ha letto i
suoi libri perché è bello sentire dalla viva voce di uno scrittore le parole
che già si conoscono, chi non li ha letti scappa in casa a cercarne le copie
disponibili per iniziare a leggere.
Io me ne sto seduta un
po’ in disparte, l’invito agli scrittori e ai poeti parte da me, sanno che dopo
essere stati qui potranno andare a Colorno e aggiungere i propri libri alla Biblioteca
di Babele fondata da Borges e restare lì con gli altri già chiamati a parlare e
scrivere per l’eternità.
Mentre ascolto Duras,
si presenta alla soglia della memoria Cees Noteboom un altro poeta che ama Zagajevski
e che si appresta a condividere con noi le sue poesie.
Agosto finisce con la
rilettura del romanzo magico di Sandra
Petrignani che ci porta in dono una vita straordinaria. Romanzo e
biografia al contempo, questo libro aggiunge un prezioso tassello al mosaico
della sua scrittura.
Stasera rileggerò L’amante e Scrivere e domani scriverò ancora di Duras. Gli amori letterari
sono fatti dei molti ritorni che seguono la prima folgorazione. E forse
rileggere è ancora più bello che leggere un autore per la prima volta.
Questa Cronaca 176 è
stata scritta il trentunesimo e ultimo giorno del mese di agosto dell’anno
senza Carnevale ed è, in parte, una rielaborazione della mia recensione, uscita
sul blog di Poesia della RAI curato da Luigia Sorrentino, al romanzo di Sandra
Petrignani Marguerite di Neri Pozza
2014, da cui sono anche tratte le citazioni.
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