martedì 11 agosto 2020

Cronache dall’anno senza Carnevale/156: Dio è il seme di papavero più piccolo al mondo

La voce si è sparsa, altri stanno arrivando, sappiamo che sono già in viaggio, ci mandano un messaggio in forma di poesia.

Il poeta è più un nomade o un viaggiatore? Jean-Claude Izzo diceva di essere figlio dell’erranza e forse è vero che tutti i poeti lo sono anche se si muovono poco dal loro tavolo, dalla stessa stanza giorno dopo giorno uguale a se stessa. E l’unico paesaggio è un pioppo o un tiglio, un piccolo giardino e una gatta che dorme al sole.

Ecco la prima poesia, un frammento di mondo che brilla per un istante.

 

Il viandante

Entro in sala d’aspetto alla stazione,

manca l’aria.
   In tasca ho un libro,
poesie altrui, tracce d’ispirazione.
Accanto, sulle panche, due vagabondi e un ubriaco
(oppure due ubriachi e un vagabondo).
Al lato opposto della sala, lo sguardo volto altrove,
in alto, verso l’Italia e il cielo,
siede un’elegante coppia anziana.
Fummo sempre divisi. L’umanità, i popoli,
le sale d’aspetto.
    Mi fermo un attimo, incerto a quale sofferenza 
unirmi.
    Infine mi siedo al centro,
leggo. Sono solo, ma non mi sento tale.
Un viandante che non viaggia.
    Svanisce
la visione. Montagne di respiri, soffocanti
pianure. La divisione perdura.

 

La poesia è un moto dell’anima prima di tutto e non vuole dare lezioni, essere politically correct e riscrivere la storia. La poesia non costruisce modelli di umanità e realtà e poi cerca, così come fanno tutti quelli mossi da ideologie e buoni propositi, di spingere ciò che di immenso c’è in ogni essere umano in una forma prestabilita.

Forse anche i filosofi amano questo gioco di voler piegare l’essere a una loro idea. Ma per fortuna c’è sempre un poeta che interviene e spariglia le carte, calpesta le orme troppo profonde, parte all’improvviso e altrettanto all’improvviso torna e scopre che Dio si nasconde in forme impensate.

 

Kierkegaard su Hegel

 

Kierkegaard diceva di Hegel: ricorda qualcuno
che erige un enorme castello, ma vive
in una semplice capanna, lì nei pressi.
Così l'intelligenza abita in una modesta
stanza del cranio, e quegli stati meravigliosi
che ci furono promessi sono ricoperti
di ragnatele, per ora dobbiamo accontentarci
di un'angusta cella, del canto del carcerato,
del buonumore del doganiere, del pugno del poliziotto.
Abitiamo nella nostalgia, nei sogni si aprono
serrature e chiavistelli. Chi non ha trovato rifugio
in ciò che è vasto, cerca il piccolo. Dio è il seme
di papavero più piccolo al mondo.
Scoppia di grandezza.

 

Il secondo messaggio di Adam è arrivato e io l’ho letto ad alta voce a François e Alexandre, ben sapendo che avrei lanciato loro una piccola sfida. Ma non aspetto una reazione e leggo quasi senza respiro la terza poesia del nuovo amico che sto per presentargli.

 

Il fuoco, il fuoco

 

Il fuoco di Cartesio, il fuoco di Pascal,

cenere, scintilla.

La notte arde un bivacco invisibile,

un fuoco che consumandosi non distrugge

ma crea, come se in un attimo

volesse restituire ciò che le fiamme

hanno sottratto in vari continenti:

la biblioteca di Alessandria,

la fede dei Romani e la paura di una bimba

della Nuova Zelanda.

Il fuoco, come le armate

dei Mongoli, svuota e brucia le città

di legno e pietra, e poi innalza

case lievi e palazzi invisibili,

ordina a Cartesio

di demolire la filosofia ed erigerne un’altra,

si trasforma nel roveto ardente,

sveglia Pascal, suona le campane

e le fonde per eccesso di zelo.

Avete visto come legge

i libri? Pagina dopo pagina, lentamente,

come chi ha appena imparato

a sillabare.

Il fuoco, il fuoco eterno,

il fuoco di Eraclito, l’avido messaggero,

un ragazzo dalle labbra nere di bacche.

 

 

Anche il re e la sua regina arrivano, sono curiosi quanto tutti noi altri.

Dal fondo del sentiero un uomo pensoso con barba corta e capelli radi avanza, tra poco gli parleremo, mentre le cicale smettono di colpo il loro canto e noi le sentiamo, mentre il primo grillo inizia la sua litania e introduce quel che accadrà e che saprete domani.

 

Questa Cronaca 156 l’ho scritta in questo undicesimo giorno del mese di agosto nell’anno senza Carnevale.

Le poesie sono di Adam Zagajewski, Dalla vita degli oggetti, a cura di Krystyna Jaworska, Adelphi 2012

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