venerdì 21 agosto 2020

Cronache dall’anno senza Carnevale/166: il mio cuore è un oceano, la mia anima un arcipelago

 

Dalla spiaggia risalgo, passo dopo passo, sino alla pineta e vedo un cane venirmi incontro. Corre, mi annusa, mi fa le feste, sembra riconoscermi e anche io lo riconosco, vecchio e fedele cane di Ulisse. Mi perdo nel suo sguardo scuro e amoroso e l’ebbrezza del vuoto si fa strada in me.

Non sento più né il mare, né il vento tra gli alberi, né le cicale. Chi potrebbe credere a questo incontro? Ulisse non è ancora ritornato e questa non è Itaca, ma la mia isola, dunque perché mi appare il cane del primo grande viaggiatore delle nostre storie?

Qui non sto cercando storie o miti, sto cercando un luogo tranquillo dove sedermi a pensare. La luce verde della pineta è intessuta di fili sottili che saranno i fili di questa giornata lontano dai miei coinquilini e dalle mie ossessioni letterarie.

Se non ci fossero le isole a punteggiare il mare, sarebbe tempesta ogni giorno e nessun approdo per i naufraghi. Sulle isole ci si salva, ci si ritira, ci si nasconde.

Molti tra noi hanno un’isola più importante delle altre, ma qui, oggi, la mia isola è fatta di tutte le isole che ho visto ed esplorato e che si sono insediate in me, come se il mio cuore fosse un oceano e la mia anima un arcipelago.

Le isole grandi sono la Sicilia con le Eolie e le Egadi, Lampedusa e Pantelleria. La Sardegna con San Pietro, la Corsica e Porquerolles, l’isola d’Elba e l’isola del Giglio, Ventotene e Ponza. Per non cambiare mare continuo con le Tremiti, Ibiza, Maiorca, Minorca e Formentera. Cherso e Lussino verso est e poi le isole greche, Cefalonia, Rodi, Lesbo, Itaca, Samos, Zante, Paros e Milos, Idra e Folegandros.

Dell’oceano ho amato le Canarie e le isole bretoni: Ouessant, Belle-ile-en-Mer, Houat, Moines. Poi Guernsey e la verde Irlanda. Dall’altro lato dell’Atlantico Mount Desert, l’isola di Marguerite Yourcenar, Martha’s Vineyard, Nantucket e per finire Moneghan, uno dei luoghi più silenziosi che io abbia mai visitato.

L’isola che è in me risente di tutte le isole che ho visto e immaginato, anno dopo anno.

I miei naufragi non li conto neanche più, tutti conosciamo lo spaesamento del naufragio, il timore dell’ignoto.

Ma questa isola che sto visitando è l’isola dove risiede stabilmente la mia solitudine. Che a volte mi chiama a voce molto, molto alta e pretende le mie attenzioni.

La solitudine è l’ultima rosa a fiorire, è il silenzio del primo mattino, è il mare che mi culla con onde piccole.

La solitudine è il giardino interiore che coltiviamo giorno dopo giorno, così che l’amore possa rivelarsi all'improvviso e farsi accogliere come Ulisse che ritorna alla sua isola.

Esco dalla pineta e vedo la casa che si staglia poco lontano, con montagne e nuvole di sfondo e ombre che si muovono sui muri, quando all'esterno non vedo nessuno.

Mi chiamano quelle ombre e vado loro incontro, si avvicinano e si allontanano seguendo il ritmo di una musica che io non sento.

In una radura invisibile dal sentiero, sento invece il rumore ritmico di un telaio al lavoro. Vado a vedere e Penelope è lì, che tesse la sua tela circondata dalle ancelle. Prende i fili del giorno e i refoli di vento. La tela è ariosa, quasi trasparente. Si ferma per un attimo e mi sorride.

 

Un arcipelago senza nome

 

Questa non è l’unica dimora

della solitudine, un’isola è

un pensiero che emerge tra

molte idee e molte visioni.

La solitudine si acquatta in

ogni fermata della metro,

sceglie il deserto per darsi

un tono, ma preferisce

uffici e giardini, lì dove è

certa di trovare la giusta

compagnia. Quando le offro

il mio silenzio di questa

giornata estiva, lo prende

e se ne ciba come se mai ne

avesse gustato il sapore.

Così sono certa che non mi

chiederà altro, almeno per

oggi, almeno per questa

stagione. Tornerà quando

saranno cadute mille foglie

e io avrò scelto il nome per

questo mio arcipelago.

 

 

La solitudine e il silenzio sono la prima diade.

La solitudine e l’amore sono la seconda diade.

La solitudine e la rosa sono la terza.

La rosa che mi porgi sorridendo con le scintille negli occhi e io posso smettere, così, di scavare questa terra fertile e lasciarmi andare alla danza del vento.

 

Questa Cronaca 166 nasce il ventunesimo giorno di agosto dell’anno senza Carnevale. Un arcipelago senza nome è una mia poesia inedita scritta oggi pomeriggio.

1 commento:

Unknown ha detto...


Solo le anime belle sanno dare ricchezza e valore alla solitudine.
Ciao Elena - anima bella -