Poi quel giorno magico è passato, le sacerdotesse Roxanne e Héloïse sono rimaste con Borges e Yourcenar. Anche David ha deciso di fermarsi qualche tempo a Colorno, così sono ripartita da sola, a malincuore ma anche contenta di ritornare nelle terre delle Montagne della Nebbia e rivedere gli altri abitanti.
Ma prima sono passata dalla città di nuovo silenziosa, svuotata delle sue persone che sono partite per la villeggiatura, nonostante la pandemia non si sia fermata.
Quel che vedo emergere dalle cronache e dalle frasi che pesco in giro, la gente non fa altro che parlare del virus, è un’intenzione di continuare a vivere come se niente fosse. Forse siamo davvero in piena negazione, i nuovi contagiati sono poche centinaia, i morti sotto la decina, l’economia stenta a ripartire, gentaglia ben pagata negli incarichi istituzionali che ricoprono pare che abbia chiesto i sussidi governativi, c’è bisogno di commentare?
Il mondo è uguale e diverso, non siamo cambiati, non cambieremo, siamo ciò che vogliamo o ciò che riusciamo a essere, tonni nella tonnara che continuano a dibattersi cercando una via di fuga. Forse bisogna smettere di agitarsi e guardarsi intorno, capire quanto è grande lo spazio che abbiamo e muoverci senza fare danni, senza ferire il prossimo.
È difficile cercare poesia in questo mondo ed è anche difficile trovarla. Così stanotte ho letto la biografia dello scrittore marsigliese Jean-Claude Izzo scritta dalla bravissima Stefania Nardini e ho ricominciato a leggere Casino totale, il primo romanzo noir di Izzo, e dopo avere finito la trilogia di Marsiglia e del commissario Fabio Montale, leggerò di nuovo anche gli altri suoi libri, anche se so già che il suo mondo, non solo, non è cambiato e basta ma è peggiorato. Izzo stesso è un personaggio romanzesco che ha scelto di far scomparire il suo commissario in tre soli libri e poi è tornato nella sua Marsiglia sulle tracce di poveri, diseredati e marinai abbandonati.
Una storia che non conoscevo, tra le storie di Jean-Claude Izzo, è che avesse scritto una sceneggiatura, rimaste inedita, dedicata alla scrittrice e psicoanalista Lou Andreas Salomé. Della sceneggiatura in rete non ne ho trovato traccia, ma lei arriverà di certo sino alle terre delle Montagne della Nebbia anche perché la sua vita è profondamente connessa a quella di Rainer Maria Rilke. Una donna innamorata dell’amore e che ebbe relazioni con alcuni tra gli uomini più eminenti e interessanti della sua epoca.
Anche Izzo era un vagabondo, un nomade: in ogni suo libro e in ogni suo viaggio, in ogni storia d’amore e ne ebbe diverse di intense e importanti, il suo sguardo e la sua memoria erano impegnati nella ricerca di una geografia delle felicità possibili, una geografia di contemplazioni e relazioni, di ebbrezza dell’essere e dell’essere semplicemente vivi, della luce e di Marsiglia come primo luogo della felicità, così come coglie bene anche Stefania Nardini.
“Quassù, sulla collina di Notre-Dame de la Garde c’è un silenzio che annega nel blu del mare. Se non fosse per le strida dei gabbiani sarebbe difficile entrare in armonia con la consapevolezza che Marsiglia è là, davanti ai miei occhi così com’è. Priva di definizioni, e con un unico privilegio: la sua luce.”
Una sola città spicca tra le altre, ma da sola non basta, un solo amore sembra l’amore eterno, ma da solo non basta. Izzo amò con pari intensità le donne e la vita, le città di mare e i porti, che sono un luogo dentro un altro luogo.
“Di
ritorno dal Cairo, Flaubert scrisse a un amico: "Ho acquisito la certezza
che le cose previste accadono di rado". Nelle città del
Mediterraneo è spesso così. Non trovi mai davvero quello che eri venuto a
cercare. Forse perché questo mare, i porti che ha generato, le isole che culla,
le linee e le forme delle sue rive rendono la verità inseparabile dalla
felicità. L'ebbrezza stessa della luce non fa che esaltare lo spirito di
contemplazione. L'ho scoperto a casa mia, a Marsiglia. Vicino alla baia
des Singes, ben oltre il porticciolo di Les Goudes, all'estremità orientale
della città. Ore e ore a guardar passare nello stretto di Les Croisettes le
barche di ritorno dalla pesca. È qui, e in nessun altro posto, che queste mi sembrano, mi sembreranno
sempre le più belle. Ore e ore ad attendere quel momento, più magico di
qualsiasi altro, in cui un cargo entrerà nella luce del sole al tramonto e vi
scomparirà per una frazione di secondo. Il tempo di pensare che tutto è
possibile.
(…)
Yazid non mi accompagnò. La strada per il tempio era solo mia. Così come le mie passeggiate liguri alle Cinque Terre, dalla punta Mesco alla punta San Pietro. Mi ero lasciato condurre di paesino in paesino: Monterosso, Vernazza, Corniglia, Manarola, Riomaggiore. Evocare quei nomi era già una felicità. In paesini così piccoli non ci si può perdere, eppure è questo il vero piacere, smarrirsi nel labirinto in cui si sovrappongono su più livelli viuzze buie, strette, a volte fatte solo di scale. A un certo punto, si sa, torneremo verso il mare. Per forza. Tutti i paesini costruiti in fondo alle cinque vallate danno risolutamente le spalle alla montagna e stanno di fronte al Mediterraneo. Per molto tempo fu possibile arrivare qui solo in barca. D'altronde, la memoria del mare sembra incisa negli scafi delle barche quando, di ritorno sul greto per una mano di vernice, mostrano, attaccata alla prua, una conchiglia.
(…)
A Biskra, una sera di leggera brezza calda, quando sono arrivato aleggiava un aroma di polvere e caffè, il fumo di un falò di cortecce, l’odore della pietra, del montone. Me ne appropriai. Come ci si regala un paesaggio. Questo è l’essenziale, quando viaggiamo su queste rive: concederci quello che non potremo mai portarci via, che esiste nel solo istante in cui guardiamo, e che non fa parte dei ricordi ma del piacere di vivere. Piccole cose, come per esempio l’ultimo palpito della luce prima di mezzogiorno. Perché, direbbe Leila, “la vita è un frammento di nulla”.
(…)
Non so cos'ero venuto a cercare a Santa Cruz, quel giorno. Ma quello che trovai lì mi andò bene. La quiete. Forse perché mi era bastato chiudere gli occhi perché il paesaggio mi entrasse dentro fino a diventare mio. Allora ho capito che sarebbe rimasto in me ovunque fossi andato. Ho capito dopo, in altri porti, in altre città di questo Mediterraneo, che sarebbe stato sempre così. Che quello che avevo scoperto non era il Mediterraneo preconfezionato che ci vendono i mercanti di viaggi e di sogni facili. Quello che offriva, che mi offriva il mare non era nient’altro che una felicità possibile. Di sicuro, anche altrove sarebbe stato sempre così. E così, nel corso degli anni, mi sono creato una geografia delle felicità possibili. In questa geografia rientra Biblo. Yazid, un pescatore incontrato al porticciolo, mi aveva raccontato la leggenda di Adone. Una leggenda fenicia. Il primo giorno di primavera, Adone morì alle sorgenti del fiume che oggi porta il suo nome, fra le braccia di Astarte. Il suo sangue fece nascere gli anemoni e tinse di rosso il fiume dalle acque ferruginose. Allora le lacrime di Astarte caddero a pioggia sulla natura al risveglio, e ridiedero vita all'amante. Un tempio ai piedi della grotta di Afqua, innalzato dai fenici, le rende omaggio. Ero venuto a vedere proprio quel tempio. Un tempio dell’amore. Della fedeltà. Ero solo.”
Questo è uno sguardo che riconosce il proprio mondo e riconoscendolo lo costruisce e ricostruisce, lo immortala.
Dallo sguardo alla felicità dell’essere il passo è breve, una felicità legata al luogo e all’essere vivi.
“Diamantis lasciò errare lo sguardo sul ponte,
Sorgeva il sole. E c'era un'aureola rosa pallido sulle colline intorno alla
città. Una strana aureola. La felicità, se esisteva, nasceva lì. Nel momento in
cui il giorno ricomincia.
(…)
Ridiscese di alcuni metri poi si sedette sull'erba, all'ombra di un boschetto di oleandri. Si lasciò invadere dall'aria calda e profumata. Di fronte a lui il forte di Saint-Jean, l'antico comando degli Ospedalieri di Gerusalemme. Pareva che la luce volesse saziarsi del rosa delle sue pietre. Ne lambiva le più piccole asperità con lo stesso piacere con cui si assapora un gelato al lampone. Più in basso la stretta imboccatura, un tempo passaggio strategico per accedere al Vieux Port. Appena superata i velieri prendevano lo slancio verso la rada. Con lo sguardo seguì uno dei traghetti che ritornava, vuoto, dalle isole del Frioul e dal castello d'If. Sarebbe andato a ormeggiare al molo davanti alla Canebière, che da lì intravedeva appena... Tirò fuori da un tascapane un panino con tonno, pomodori e olive e iniziò a mangiarlo facendo estremamente attenzione a non farsi sgocciolare l'olio sulle dita. Continuando a masticare si lasciò invadere dalla felicità, quella semplice, incomprensibile, che dal cielo scende sul mare”.
Partire, cercare, quella luce, quegli odori, quel mare, quei volti. Capire che il Mediterraneo può essere il luogo assoluto dove cercare la propria felicità terrena.
Ho tenuto per la fine una piccola sorpresa, Izzo è diventato famoso come creatore del noir mediterraneo, ma i suoi primi scritti e libri sono poesie.
Le pietre chiudono lo spazio,
lo imprigionano:
attraverso facciate sventrate
il cielo cerca la sua via d'uscita.
Risuonano passi: i miei, instancabili.
Ombra di guardia
in questo giorno senz'ombra,
veglio.
La luce è triste,
assetata dei suoi sogni.
E i sogni sopravvivono all'immobilità.
I miei passi suonano a morto,
battono il tempo della memoria
per farne sprigionare il sangue.
La cronaca 155 nata in questo decimo giorno del mese di
agosto dell’anno senza Carnevale, si chiude con le parole di Jean-Claude Izzo
che ritrovo seduto sulla spiaggia del nostro mare, fermo a contemplare l’orizzonte
e l’infinito che si abbracciano.
Ecco le fonti delle citazioni.
Stefania Nardini Jean-Claude
Izzo. Storia di un marsigliese, edizioni e/o 2015
Jean-Claude Izzo Aglio,
menta e basilico. Marsiglia, il noir e il Mediterraneo, traduzione di Gaia
Panfili, edizioni e/o 2006
Jean-Claude Izzo Marinai
perduti, traduzione di Franca Doriguzzi edizioni e/o 2001
La poesia è tratta dalla raccolta di Jean-Claude Izzo Loin de tous rivages, raduzione inedita
di Annalisa Comes, Les Editions du Ricochet 1997 e potete trovarla sul blog
della Rivista
Letteraria Internazionale L’ombra delle parole
Les pierres enferment l’espace,
l’emprisonnent:
au travers des façades éventrées
le ciel cherche l’issue.
Des pas résonnent: les miens, inlassablement.
Ombre de garde
dans ce jour sans ombre,
je veille.
La lumière est triste,
asséchée de ses rêves.
Et les rêves survivent à même l’immobilité.
Mes pas sonnent un temps de mort,
battant la mémoire
pour en faire jaillir le
sang.
Nessun commento:
Posta un commento