giovedì 13 agosto 2020

Cronache dall’anno senza Carnevale/158: poesia, lingua rovente della gioia

 



La notte è trascorsa insonne, troppo caldo, troppi grilli, troppe parole dette e non dette, troppo intenso il rumore delle onde.

Siamo rimasti in spiaggia sino a quando l’umidità non ha iniziato a farsi strada nei nostri corpi e a gridarci di rientrare.

Ma nessuno voleva stare in casa perché la notte era così chiara e le Perseidi ancora scrivevano il taccuino dell’oscurità.

 

L’attimo

 

Un attimo di chiarezza dura così poco.

L’oscurità resta più a lungo. Vi sono

più oceani che terraferma. Più

ombra che forma.

 

Ho sempre pensato alle stelle come all’alfabeto di una lingua misteriosa e a me sconosciuta. Quanto sanno dirci le stelle, non solo sul nostro passato, ma anche sul tempo che verrà. Perché tutti splenderemo ancora dopo che la materia avrà trovato una diversa forma per stare in questo universo.

Poi abbiamo fatto colazione insieme, in silenzio, lasciando che i colori del cielo si riflettessero sulla nostra pelle, siamo andati a dormire.

E adesso un nuovo crepuscolo si avvicina e decidiamo di organizzare una festa e l’idea ci viene da una lettura di Adam. Alla parola festa tornano alla Casa delle Parole anche le sacerdotesse e David il poeta e arrivano anche le tre sorelle che vivono sulla spiaggia con il loro piccolo fratello. E arrivano i lupi e le tigri, le aquile passano sulle nostre teste in un volo radente e la volpe e il puledro si accomodano vicino al fico.

 

Feste tardive

 

La sera, ai confini della città, dopo un giorno intero

di vuoto, iniziano all’improvviso feste tardive

e il sanscrito del crepuscolo parla

nella lingua rovente della gioia.

In alto nell’aria fluttuano fuochi fatui

di sigarette che nessuno fuma.

Arde la carta di fugaci segreti;

le confidenze del cielo che si spegne sommesso

non si lasciano annotare o ricordare.

Che importa se t’insegue l’esercito del faraone,

quando l’eternità è intrecciata ai giorni

della settimana come il muschio tra le travi

di una casa di legno.

 

 

Mentre decidiamo se fare la festa in spiaggia o in giardino, David e io chiediamo all’ospite d’onore di raccontarci della sua scrittura, quando scrive, dove scrive e tutto quelle domande che interessano solo a scrittori e lettori. Adam ci risponde con una sua poesia che già conoscevamo, ma letta da lui, ha tutto un altro sapore.

 

La stanza

 

                            A Derek Walcott

 

La stanza in cui lavoro è un esaedro

che assomiglia a un dado da gioco.

Là dentro un tavolo di legno

dal duro profilo contadino,

una pigra poltrona e una teiera

dal labbro absburgico sporgente.

Alla finestra vedo qualche albero stentato,

esili nuvole e bimbi dell’asilo,

vocianti, sempre allegri.

A volte in lontananza scintilla un parabrezza

o, più in alto, la squama argentea di un aereo.

È evidente, gli altri non perdono tempo

mentre io lavoro, cercano avventure

sulla terra o nell’aria.

La stanza in cui lavoro è una camera oscura.

Ma cos’è il mio lavoro -

lunghe attese, immobile,

pagine sfogliate, riflessione paziente,

una passività poco gradita

a un giudice dal cupido sguardo.

Scrivo lentamente, come se potessi vivere duecent’anni.

Cerco immagini che non ci sono,

e se ci sono, sono ripiegate e riposte

come gli abiti estivi durante l’inverno,

quando il gelo screpola le labbra.

Sogno la concentrazione totale; se la trovassi

certamente smetterei di respirare.

Forse è bene che non riesca a fare molto.

Eppure sento il sibilare della prima neve,

la delicata melodia della luce del giorno

e il cupo brontolio della metropoli.

Bevo da una piccola fonte,

la mia sete è più grande dell’oceano.

 

 

I sensi sempre all’erta, esagerati. Una sensibilità esasperata, la gioia che avvampa all’improvviso, ogni frammento, ogni granello di polvere, ogni sprazzo di luce. Tutto entra nell’alfabeto del mondo e la sete è sempre, ha ragione Adam, più grande dell’oceano. E più grande di tutti i cieli e dell’eternità.

 

Questa Cronaca 158 è stata scritta nel tredicesimo giorno del mese di agosto dell’anno senza Carnevale.

Le poesie sono di Adam Zagajewski, Dalla vita degli oggetti, a cura di Krystyna Jaworska, Adelphi 2012.


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