martedì 18 agosto 2020

Cronache dall’anno senza Carnevale/163: quando i pioppi e le case si dissolvono come cumuli in un cielo sereno

 

Dove la stagione ha raggiunto il culmine, là si ferma il poeta non ancora pago di tutte le delizie. Continua a esplorare con lo sguardo tutto quel che c’è intorno e quando scrive, scopre con lo stesso stupore della prima volta, che quel che sta cantando è molto di più della visione originaria.

  

Piena estate

 

In estate, su un fiume di montagna, dove profuma il

salice delicato

e farfalle purpuree, onuste di bellezza, la vanessa e il

macaone,

compiono il loro ultimo volo sull’acqua lucente,

sull’ontano lucente e sul mondo lucente; quando l’aria

è così colma di olio essenziale che puoi versarla

nei bicchieri sentendo sotto le dita il suo convesso

menisco,

in agosto, quando arde la resina al di là dei ramoscelli

dei pini e le pigne

crepitano come se fossero già lambite dalle lingue del

fuoco eterno,

e il mare proprio azzurro si culla in basso dolcemente

come un vincitore, come un sovrano che ha sconfitto i

persiani e tutti

i suoi yacht gli si inchinano lievi a ogni moto dell’onda,

e i nuotatori immersi in un diafano lenzuolo

con infinita lentezza si spostano lungo linee invisibili,

lungo i bianchi fili che legano ogni sostanza,

e s’ode il mormorio grandioso delle creature infine

appagate,

quando pare che persino gli insetti debbano avere il

proprio Dioniso,

in agosto, quando all’improvviso tace il fragore

dell’Europa

si fermano le fabbriche, e i turisti ridono rumorosi

sulle spiagge del Mar Ligure, basta avanzare di pochi

passi,

andare dietro le quinte - e là, nella penombra di un fitto

bosco, si celano forse

le ombre di coloro che vissero poco, nell’angoscia e

disperati, ombre

dei nostri fratelli, delle nostre sorelle, le ombre di Kolyma

e di Ravensbrück,

poveri angeli di una nera redenzione, e avidi ci guardano.

 

Sono tornata nella mia città e ho scoperto che il nitore dell’aria estiva l’ha abbandonata e la luce ora è oro filato che muta anche il colore delle foglie che hanno iniziato a piegarsi su se stesse e seguendo misteriose indicazioni, danzano l’ultima danza con il vento tranquillo che si è staccato dalle montagne. Le strade ne sono ricoperte e non ci sono abbastanza passi umani a distruggere il tappeto rumoroso che era una coorte verde e allegra in cima agli alberi, solo una settimana fa.

Quando torno so che il poeta si sta preparando al nuovo viaggio e io andrò con lui per potergli parlare ancora un po’ e per ritrovare gli abitanti della casa delle parole che si erano fermati a Colorno con Borges e Yourcenar.

Il commiato di Adam è una poesia che ha ormai un quarto di secolo, è del giugno 1995, e ci rivela se non chi lui sia adesso, un poeta che verrà incoronato, ne sono certa, con il premio Nobel per la letteratura, ci dice chi è stato, qual era il suo sguardo e quali le visioni.

 

 Autoritratto

 

Tra computer, matita e macchina da scrivere passa

metà della mia giornata. Col tempo farà mezzo secolo.

Abito in città straniere e talvolta parlo

con sconosciuti di cose indifferenti.

Ascolto molta musica: Bach, Mahler, Šostakovič, Chopin.

Vi trovo tre elementi, forza, debolezza, dolore.

Il quarto non ha nome.

Leggo i poeti, i vivi e i morti, da loro apprendo

costanza, fede e orgoglio. Cerco di capire

i grandi filosofi - ma di solito riesco

ad afferrare solo brandelli dei loro preziosi pensieri.

Amo fare lunghe passeggiate per le strade di Parigi

e guardare i miei simili, animati dalla gelosia,

dalla brama o dall’ira, osservare la moneta d’argento

che passa di mano in mano e lentamente perde

la sua forma rotonda (si usura il profilo dell’imperatore).

Accanto crescono gli alberi, e nulla esprimono,

a parte la verde, indifferente perfezione.

Sui campi volteggiano uccelli neri

che attendono pazienti come vedove spagnole.

Non sono più giovane, ma c’è ancora chi è più vecchio

di me.

Amo il sonno profondo, quando non ci sono,

la corsa veloce in bicicletta per la campagna, quando i

pioppi

e le case si dissolvono come cumuli in un cielo sereno.

Talvolta mi parlano i quadri nei musei

e allora l’ironia svanisce all’improvviso.

Adoro osservare il volto di mia moglie.

Ogni domenica telefono a mio padre.

Ogni due settimane incontro gli amici,

in questo modo restiamo fedeli gli uni agli altri.

Il mio paese si è liberato da un male. Vorrei

che a ciò seguisse ancora un’altra liberazione.

Potrei in ciò essere d’aiuto? Non so.

Non sono un vero figlio del mare,

come scrisse di sé Antonio Machado,

ma figlio dell’aria, della menta e del violoncello

e non tutte le strade del mondo alto

incrociano i sentieri della vita che, per ora,

mi appartiene.

 

 

Per quest’ultima sera intrisa della sua poesia e della sua presenza, la tavola è imbandita, l’aria profuma di basilico e pomodori appena raccolti, i lupi corrono in giardino e dal fondo del sentiero vedo che stanno arrivando il sapiente guerriero e il misterioso architetto. E dietro di loro ci sono il re e la regina, le due sacerdotesse e il poeta David. Sono tornati tutti per questa festa, per quest’ora che è dolce e triste allo stesso tempo.

Venite, la tavola è imbandita, sediamoci tutti e fermiamo il tempo della prima estate degli anni senza Carnevale.

 

Questa Cronaca 163 nasce il giorno di Santa Elena imperatrice, diciottesimo del mese di agosto dell’anno senza Carnevale.

Le poesie di Adam Zagajewski, Dalla vita degli oggetti, a cura di Krystyna Jaworska, Adelphi 2012.

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