Dove la stagione ha raggiunto il culmine, là si ferma il poeta non ancora
pago di tutte le delizie. Continua a esplorare con lo sguardo tutto quel che
c’è intorno e quando scrive, scopre con lo stesso stupore della prima volta,
che quel che sta cantando è molto di più della visione originaria.
Piena estate
In estate, su un fiume di montagna, dove profuma il
salice
delicato
e farfalle purpuree, onuste di bellezza, la vanessa e il
macaone,
compiono il loro ultimo volo sull’acqua lucente,
sull’ontano lucente e sul mondo lucente; quando l’aria
è così colma di olio essenziale che puoi versarla
nei bicchieri sentendo sotto le dita il suo convesso
menisco,
in agosto, quando arde la resina al di là dei ramoscelli
dei
pini e le pigne
crepitano come se fossero già lambite dalle lingue del
fuoco
eterno,
e il mare proprio azzurro si culla in basso dolcemente
come un vincitore, come un sovrano che ha sconfitto i
persiani
e tutti
i suoi yacht gli si inchinano lievi a ogni moto
dell’onda,
e i nuotatori immersi in un diafano lenzuolo
con infinita lentezza si spostano lungo linee invisibili,
lungo i bianchi fili che legano ogni sostanza,
e s’ode il mormorio grandioso delle creature infine
appagate,
quando pare che persino gli insetti debbano avere il
proprio
Dioniso,
in agosto, quando all’improvviso tace il fragore
dell’Europa
si fermano le fabbriche, e i turisti ridono rumorosi
sulle spiagge del Mar Ligure, basta avanzare di pochi
passi,
andare dietro le quinte - e là, nella penombra di un
fitto
bosco,
si celano forse
le ombre di coloro che vissero poco, nell’angoscia e
disperati,
ombre
dei nostri fratelli, delle nostre sorelle, le ombre di
Kolyma
e
di Ravensbrück,
poveri
angeli di una nera redenzione, e avidi ci guardano.
Sono tornata nella mia città e ho scoperto che il nitore dell’aria estiva
l’ha abbandonata e la luce ora è oro filato che muta anche il colore delle
foglie che hanno iniziato a piegarsi su se stesse e seguendo misteriose
indicazioni, danzano l’ultima danza con il vento tranquillo che si è staccato
dalle montagne. Le strade ne sono ricoperte e non ci sono abbastanza passi
umani a distruggere il tappeto rumoroso che era una coorte verde e allegra in
cima agli alberi, solo una settimana fa.
Quando torno so che il poeta si sta preparando al nuovo viaggio e io andrò con lui per potergli parlare ancora un po’ e per ritrovare gli abitanti della casa delle parole che si erano fermati a Colorno con Borges e Yourcenar.
Il commiato di Adam è una poesia che ha ormai un quarto di secolo, è del giugno 1995, e ci rivela se non chi lui sia adesso, un poeta che verrà incoronato, ne sono certa, con il premio Nobel per la letteratura, ci dice chi è stato, qual era il suo sguardo e quali le visioni.
Tra computer, matita e macchina da scrivere passa
metà della mia giornata. Col tempo farà mezzo secolo.
Abito in città straniere e talvolta parlo
con sconosciuti di cose indifferenti.
Ascolto molta musica: Bach, Mahler, Šostakovič, Chopin.
Vi trovo tre elementi, forza, debolezza, dolore.
Il quarto non ha nome.
Leggo i poeti, i vivi e i morti, da loro apprendo
costanza, fede e orgoglio. Cerco di capire
i grandi filosofi - ma di solito riesco
ad afferrare solo brandelli dei loro preziosi pensieri.
Amo fare lunghe passeggiate per le strade di Parigi
e guardare i miei simili, animati dalla gelosia,
dalla brama o dall’ira, osservare la moneta d’argento
che passa di mano in mano e lentamente perde
la sua forma rotonda (si usura il profilo dell’imperatore).
Accanto crescono gli alberi, e nulla esprimono,
a parte la verde, indifferente perfezione.
Sui campi volteggiano uccelli neri
che attendono pazienti come vedove spagnole.
Non sono più giovane, ma c’è ancora chi è più vecchio
di me.
Amo il sonno profondo, quando non ci sono,
la corsa veloce in bicicletta per la campagna, quando i
pioppi
e le case si dissolvono come cumuli in un cielo sereno.
Talvolta mi parlano i quadri nei musei
e allora l’ironia svanisce all’improvviso.
Adoro osservare il volto di mia moglie.
Ogni domenica telefono a mio padre.
Ogni due settimane incontro gli amici,
in questo modo restiamo fedeli gli uni agli altri.
Il mio paese si è liberato da un male. Vorrei
che a ciò seguisse ancora un’altra liberazione.
Potrei in ciò essere d’aiuto? Non so.
Non sono un vero figlio del mare,
come scrisse di sé Antonio Machado,
ma figlio dell’aria, della menta e del violoncello
e non tutte le strade del mondo alto
incrociano i sentieri della vita che, per ora,
mi appartiene.
Per quest’ultima sera intrisa della sua poesia e della sua presenza, la
tavola è imbandita, l’aria profuma di basilico e pomodori appena raccolti, i
lupi corrono in giardino e dal fondo del sentiero vedo che stanno arrivando il sapiente
guerriero e il misterioso architetto. E dietro di loro ci sono il re e la
regina, le due sacerdotesse e il poeta David. Sono tornati tutti per questa
festa, per quest’ora che è dolce e triste allo stesso tempo.
Venite, la tavola è imbandita, sediamoci tutti e fermiamo il tempo della prima estate degli anni senza Carnevale.
Questa Cronaca 163 nasce il giorno di Santa Elena imperatrice, diciottesimo
del mese di agosto dell’anno senza Carnevale.
Le poesie di Adam Zagajewski, Dalla
vita degli oggetti, a cura di Krystyna Jaworska, Adelphi 2012.
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