domenica 16 agosto 2020

Cronache dall’anno senza Carnevale/161: la solitudine e l’infinita pazienza della luce



Torno nella città più che mai silenziosa, mi accade sempre che dopo giornate affollate di amore, amicizia, conversazioni brillanti, buon cibo, paesaggi indimenticabili, io debba ritornare nella mia cella monacale a rimettere insieme il sentimento della solitudine profonda che mi appartiene. Porto con me solo le poesie di Adam che vado seminando in queste Cronache da qualche giorno.

 

 

I tigli

Quanta dolcezza – 

la città è sotto anestesia;
il ragazzo scarno che quasi 
non occupa spazio sulla terra, e il cane, 
e io, soldato in una guerra invisibile, 
e il fiume che amo. 
Fioriscono i tigli.

 

I fiumi della mia città sono interrati, respirano solo due corsi d’acqua che chiamiamo Navigli e il verde fluire delle acque tra due ali di antiche case, ha sempre su di me un effetto ipnotico, soprattutto mi riporta agli anni lontani dell’infanzia dove camminavo mano nella mano con i miei genitori o con mio nonno materno.

 

Tutta la città d’agosto può essere una cella monacale e il silenzio strattonato dal vento, un coro di lodi che si alzano verso il cielo.

 

Continuo la mia conversazione con il poeta Adam, rileggendo le sue poesie trovo questa:

 

Storia della solitudine

 

Si smorzano le voci degli uccelli.

La luna si mette in posa per la foto.

Luccicano le umide guance delle vie.

Il vento porta il profumo di campi verdi.

Lontano, in alto, un piccolo aeroplano

gioca come un delfino.

 

 

Allora capisco che la solitudine ha la forma geometrica della mia cella monacale. Che la tristezza d’acqua mi prende se indugio e cerco di evitare gli angoli. Che la cella ha la forma perfetta di un cubo dove su ogni lato sono impresse le immagini di questa poesia:

 

 

Una poesia scomposta e ricomposta

 

uccelli e voci

luna e fotografia

vie e umide guance

vento e campi verdi

alto e aeroplano

cielo, mare e delfino

questa poesia è una

forma geometrica a

tre dimensioni, mentre

il cuore che batte, conosce

solo l’attesa.

 

 

Così scopro le risonanze tra la sua e la mia solitudine, quello stesso bisogno di essere vicini nello stare lontani.

 

Solitudine, di quale materia ti abbiamo fatto?

 

Si fa cupo il giorno nella solitudine,

benché sia iniziato nel nitore di

un’alba inaspettata. Quante ore

hai dovuto contare anche prima

che la porta si aprisse e una voce

cara ti chiamasse per nome?

La solitudine ha tessuto l’assenza

con i sogni. Di questa materia

sono fatti i poeti e i bambini, di

silenzio si sono nutriti e parlano,

parlano ancora, da un lato all’altro

del tempo che è stato, di quello

che sarà.

 

 

Adesso che sono qui, con il suo libro tra le mani mi chiedo quale sarà il modo più consono per scegliere di cosa scrivere, leggo di nuovo una sua poesia.

 


Lettera da un lettore

 

Troppo sulla morte, sulle ombre.

Scrivi della vita,

di una giornata normale,

del desiderio di armonia.

 

Il campanello della scuola

può essere modello

di moderazione,

persino di erudizione.

Troppo sulla morte,

un eccesso

di nero incanto.

 

Guarda,

popoli ammassati

in stadi stretti

cantano inni d’odio.

C’è troppa musica,

troppo poca concordia, pace,

saggezza.

 

Scrivi degli attimi in cui le passerelle dell’amicizia

paiono più durature

della disperazione.

 

Scrivi dell’amore,

delle lunghe serate,

delle albe,

degli alberi,

dell’infinita pazienza della luce.

 

 

Conosco questa infinita pazienza della luce. È anche la pazienza della solitudine. È anche la pazienza del silenzio.

 

 

La forma di questo silenzio

 

Le porte e le finestre della mia

cella sono serrate in attesa che

arrivi il nuovo temporale.

Taci – mi dico, e ascolta

le voci del mondo, taci

e non guardarti indietro,

come se avessi scelta,

come se quelle ore di

silenzio e attesa fossero

state la forma di questo

silenzio e delle voci non

mie che mi abitano il cuore.

 

 

Ora posso stare qui, seduta alla mia scrivania, la finestra alle spalle, i libri accanto, un ritorno che mi chiama e nessuna voglia di andare. Ti scelgo, mia solitudine e ti accompagno in questa pagina dove potrai regnare, ape regina di ogni invisibile.

  

Questa Cronaca 161 nasce in un’ombrosa giornata estiva, nel sedicesimo giorno del mese di agosto dell’anno senza Carnevale.

 

Le poesie I tigli, Storia della solitudine e Lettera di un lettore, sono di Adam Zagajewski, Dalla vita degli oggetti, a cura di Krystyna Jaworska, Adelphi 2012.

Le poesie Una poesia scomposta e ricomposta, Solitudine, di quale materia ti abbiamo fatto? La forma di questo silenzio, sono miei inediti scritti per questa Cronaca. 

Nessun commento: