Il mare ha un dono impagabile che gli altri luoghi non possiedono: le giornate diventano un’unica giornata. Così abbiamo fatto colazione in veranda con tutta la nostra piccola comunità, giocato con i lupi, poi siamo tornati in spiaggia all’ombra dei grandi gazebo di tela chiara, abbiamo fatto il bagno, riso, scherzato, giocato a bocce e a carte. Il poeta cieco ha parlato poco e ascoltato molto, come fa sempre. Così, dopo l’ultimo bagno nel tardo pomeriggio, ci ha chiesto di riportarlo alla Casa delle Parole.
Il misterioso architetto e il sapiente guerriero avrebbero voluto che lui potesse vedere la Casa delle Stelle la cui decorazione è, ormai, quasi finita. Così, non potendo fare altro gliel'hanno descritta con dovizia di particolari e, dalle domande che poneva, sembrava che Luis davvero la stesse guardando.
Poi lo hanno portato in cucina per continuare a chiacchierare mentre preparavano la cena e noi altri allestivamo il tavolo in giardino. Abbiamo acceso decine e decine di lampade di carta per aumentare il più possibile il chiarore, dato che il poeta cieco lo percepisce e sembra gradirlo.
Il mondo si cela tra ombra e oscurità
Un’ombra scontornata si
agita nel tempo, la colgo
e la riporto nel suo foglio:
inutile fuggire da questa
carta se il mondo intorno
è un teatro spento e chiuso
il palcoscenico dove ti
esibivi nell'aria, una mosca
più che un poeta e guardati
adesso, sei sempre tu,
purtroppo, e devi andare a
tentoni dove prima incedevi
come il re di quel paese senza
nome.
Sì, sono sempre io, ma non
sono più triste di chi ero
in innocenza e desiderio.
Il mondo si cela tra ombra
e oscurità, ho imparato ad
amare questa stagione e
che la poesia non ha bisogno
di uno sguardo nuovo ma
della memoria. Del resto, che
importa se io sono sempre io
e non un altro?
Come sempre, dopo che Luis, senza mai preannunciarlo prima, aveva recitato una delle sue poesie, mi sono avvicinata con il mio taccuino per chiedergli di dettarmela, ma lui stava già parlando fitto fitto con Roxanne.
- Non lasciare che la voce del mondo sovrasti la tua voce. Ascolta il mondo e le sue molteplici voci, ma poi prendile, una a una e tira i fili, inizia la tua tessitura.
- Lo faccio già da tempo, un tempo che mi pare più lungo della vita che ho già vissuto, ma quel che scrivo non esce dai miei taccuini e dal mio computer se non per minuscoli frammenti che semino nelle conversazioni, per capire le reazioni di chi sta parlando con me.
- Allora è il momento che tu scelga una persona, e una soltanto, per farle leggere le tue storie.
- Vorrei poterle leggere a te, se vorrai mi fermerò al monastero di Colorno e leggerò per te la prima storia, una storia d’inverno e steppe, di madri e figlie che studiano materie scientifiche ma in cuore hanno la poesia come Cvetaeva e Achmatova.
- Certo che puoi restare con me al monastero per tutto il tempo che vorrai. Ti ascolterò con gioia perché ho sempre pensato che la Russia sia prima di tutto un luogo dell’anima. E da quando ho letto Cechov, betulle, samovar, disgeli fragorosi, piccole tazze di porcellana, la neve infinita intorno a me, ecco che quella terra è diventata una delle mie terre interiori.
Imparare un nuovo alfabeto
Chiamo a raccolta tutte le Russie
con la mia voce spagnola e intero,
l’alfabeto ignoto mi risponde. Apro
la bocca per pronunciare le singole
lettere e poi le sillabe. Torno bambino
a compitare e seguire con un dito
quella riga che ha bellezza ma non
senso, non ancora. Poi un giorno,
come se il mosaico avesse accettato
l’arbitrio degli spazi, il senso ha
sposato la nuova architettura della
pagina e la mia voce infantile ha
cambiato tono. Questo accade quando
si impara una nuova lingua. E quando
un libro ci introduce all'opera e allo
spirito di un altro di quelle strane
creature che stanno sedute per ore
con fogli intonsi accanto alle mani,
ecco che lo spazio interiore si dilata,
l’amore si moltiplica e il respiro si
apre su quell'universo, su quel cielo
stellato che non avevo mai visto.
Sono lo zar di tutte le Russie che
splendono nell'ombra.
- Ti chiedo però di fare una cosa, che credo ti porterà giovamento. Scrivi a Héloïse quando saremo a Colorno. Raccontale tutto quel che hai intorno e chiedile di fare lo stesso per te. Nessuno scrive più lettere e la mancanza di epistolari, ne sono certo, è già una grande perdita per le genti del futuro. In una lettera si metteva il meglio di sé e le parole venivano cesellate, ricordi cosa scrisse il filosofo Pascal? “Je n'ai fait celle-ci plus longue que parce que je n'ai pas eu le loisir de la faire plus courte”. Ti ho scritto una lettera lunga perché non ho avuto l’agio per scriverla più corta.
Roxanne ha chinato la testa e ha estratto un taccuino dalle tasche, io mi sono allontanata, più per curiosità che per discrezione. Scriverà a Héloïse? Scriverà a me, indiscreta e impicciona narratrice di queste Cronache? Forse, tra qualche giorno, lo scopriremo.
Questa Cronaca 152 vede la luce nel settimo giorno di agosto dell’anno senza Carnevale.
Le poesie sono sempre mie, benché qui vengano attribuite a Borges.
La citazione sulla lettera breve è di Pascal ed è tratta da Les Provinciales, lettre 16, benché in Rete la si trovi soprattutto attribuita a Voltaire, ma io controllo sempre le fonti e le cito, trovo che sia un’aberrazione del mondo virtuale trascrivere, copiare e incollare, citazioni senza avere la certezza di chi ha scritto e senza citare autore, libro, traduttore e editore.
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