L’aria è fine e misteriosa, in questa luce cangiante che osservo
dall’alba si nascondono, bene in evidenza, le cose di questo mondo che amo
osservare.
Di ogni cosa vedo il contorno e vedo l’ombra e capisco che il nostro mistero è racchiuso nel confine impercettibile tra queste due forme.
Cosa vede l’ombra quando ci guarda? Possiede uno sguardo che possa farle capire che anche i nostri colori sono solo un’illusione della luce?
Mentre ozio pensando alla luce e ai nostri colori, trascrivo la prima poesia che ho scelto per questo giornata estiva.
In giardino
... qui, da me. Da Creta, a questo cerchio
magico, incantato santuario
di meli, altari che profumano
d’odori dell’oriente.
Acqua freschissima chiacchiera tra i rami
dei meli, e tutto questo spazio è un’ombra
di roseti. Dal bisbigliare del fogliame
quiete si distilla.
Nel prato pascola il cavallo, ed è una fioritura
di piena primavera. L’aria è tutta
aliti di miele...
Qui prendi le ghirlande, dea di Cipro,
e nei bicchieri d’oro, con finezza,
versa il tuo nettare frullato
di gaiezza...
L’estate
soprattutto e in questo soprattutto il mese di agosto, sono un tempo
interlocutorio che da solo cesella e raffina il prima, tutto ciò che è accaduto
e che è ormai memoria, e il dopo che un tempo era progetto, l’inizio di un
nuovo anno. In quanti amavamo dire che l’anno nuovo iniziava davvero a
settembre? Come fossimo stati ancora tutti scolari impazienti di provare il
nuovo grembiule con il fiocco di un colore diverso dall’anno precedente e la
nuova cartella per portare avanti e indietro da scuola sussidiario, quaderni e
astuccio. Era confortante sapere che lo scibile umano alla nostra portata stava
tutto dentro qualche centinaio di pagine. I libri da leggere per piacere erano
già una via di fuga e il vero divertimento. Oggi non sappiamo se il mese che
verrà sarà un mese di progetti, non sappiamo se le scuole riapriranno, non
sappiamo se ci sarà il vaccino pronto entro l’autunno. Quel che temiamo
davvero, il nostro timore e terrore è doversi rassegnare alla presenza di un
virus che scardina le nostre difese immunitarie e il nostro ordine sociale e ci
rende fragili. L’impressione di queste brevi settimane di vacanza che si ricava
dai media è quella di un enorme rimozione collettiva. In nome dell’economia non
si poteva evitare ancora che le persone tornassero a muoversi, non potevamo non
riaprire le scuole e gli uffici.
Ma è ancora
estate, lo sarà per poco più di un mese, così copio un’altra poesia.
Estate
C'è un giardino chiaro, fra
mura basse,
di erba secca e di luce, che cuoce adagio
la sua terra. È una luce che sa di mare.
Tu respiri quell'erba. Tocchi i capelli
e ne scuoti il ricordo.
Ho veduto
cadere
molti frutti, dolci, su un'erba che so,
con un tonfo. Così trasalisci tu pure
al sussulto del sangue. Tu muovi il capo
come intorno accadesse un prodigio d'aria
e il prodigio sei tu. C'è un sapore uguale
nei tuoi occhi e nel caldo ricordo.
Ascolti.
Le parole che ascolti ti toccano appena.
Hai nel viso calmo un pensiero chiaro
che ti finge alle spalle la luce del mare.
Hai nel viso un silenzio che preme il cuore
con un tonfo, e ne stilla una pena antica
come il succo dei frutti caduti allora.
In questo giardino e
in spiaggia, ai piedi delle Montagne della Nebbia, sto chiamando a raccolta
tutto ciò che amo, tutti coloro che amo, quel che mi piace e mi rallegra: l’amore
e l’amicizia, i fiori, gli alberi, i gatti, i giardini, i libri, la poesia, i
viaggi. Troppi scrittori e poeti e pittori per elencarli qui, li sto chiamando
cronaca dopo cronaca a popolare questo mondo che creo a mio piacimento da quasi
sei mesi. Oggi è un giorno interlocutorio, la visita di Zagajevsky è stata
impegnativa, altri ospiti sono in arrivo, passo in rassegna la mia piccola
biblioteca personale, scelgo un libro, lo sfoglio, lo sposto, ci ripenso e lo
rimetto sullo scaffale precedente. Però prima copio un’altra poesia che mi
piace soprattutto per il finale.
Ricevimento di un amico
Lo seguo,
lo precedo nella voce
perché ho,
come il fumo spopolato,
vocazione di acquerello.
Raccontami
come sono lì le cose di consumo:
libri,
rose,
tintinnii di rondini.
A parte tutto questo
gli domando
dei manghi geologici
che lo bordeggiano di polpa,
e di un nuovo fiume,
senza guardarlo,
con popoli di suono
e longitudine di Arcangelo.
Dimmi anche qualcosa del piccolo litorale
dove recentemente il giorno,
come un celeste animale bifronte,
si accampò in due acquari
e si colmò di pesci.
O se lo ricevettero unanimi
gli alberi
come quando elessero la prima allodola dell'anno
e il giorno della fioritura.
Riassumimi ora che tremo
benignamente
dietro una rondine,
ora che mi propongono pubblicamente
per nudo di farfalla
e sto come le rose
disordinando l'aria.
Questa Cronaca 164 è frutto dell’ozio e della
lentezza di questo diciannovesimo giorno di agosto dell’anno senza Carnevale.
Le poesie sono di
Saffo, traduzione di Ezio Savino, Poesia n. 278 gennaio 2013
Cesare Pavese, Lavorare stanca, Einaudi
1961
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