lunedì 3 agosto 2020

Cronache dall’anno senza Carnevale/148: correre scalzi sotto la pioggia, sui campi bruciati dell’estate

Poi i giorni non furono due, si moltiplicarono e così le settimane e i mesi. Le stagioni mutavano poco nell’Abbazia, duravano un tempo molto diverso rispetto al ciclo di tre mesi che Héloïse e Roxanne avevano imparato a conoscere in questo lembo della realtà. La loro stagione insieme era un alternarsi di giornate di splendore estivo, dove potevano ricordare le serate giovanili trascorse sui Navigli, a infiniti pomeriggi piovosi e freschi che ricordavano a una l’Austria, e sì, certo le Abbazie che ben conosceva, come Heiligenkreuz, Admont e Melk, e all’altra la piovosa Irlanda con le sue nuvole in fuga e l’erica rosseggiante a perdita d’occhio.

Se nelle ore luminose dell’estate le due amiche passavano molto tempo a passeggiare in giardino e nel chiostro, parlando di letteratura, traduzioni e poesia, quando la pioggia le costringeva al chiuso dedicavano molto più tempo al poeta cieco che stava paziente seduto ad ascoltare le novizie che si alternavano a leggere per lui. Quando una delle due sacerdotesse delle api era presente, capitava spesso che Luis dettasse dei versi.



Lascio cadere la pioggia dalle mie mani

Sto qui nascosto e non
posso fuggire. Non conosco
più il sollievo della tua voce
e nessun talismano mi 
allieta questo giorno uguale
a ogni notte.
Non ho niente da offrire a
questo povero cieco che
dicono fosse un poeta ed è
solo un rancoroso privo di
ogni cielo e delle nuvole,
delle stelle e del sonno.
Lascio cadere la pioggia dalle
mie mani, come se da ogni
goccia dipendesse il respiro
del mondo che non vedo.



Ogni nuova poesia veniva dettata e trascritta su una pergamena che sarebbe rimasta nell’Abbazia, e sui due taccuini delle sacerdotesse che li tenevano in una delle ampie tasche della loro veste.

Di certo le poesie di Luis contribuivano al desiderio di Héloïse di rimandare la partenza. Il rifugio nel convento vicino alla città di Parma era pronto da tempo e nel mondo della città silenziosa, il poeta cieco era dato per morto da decenni. Poteva scegliere il momento preciso nel quale tornare alla realtà dell’anno senza Carnevale, ma quella vita semplice, quel tempo disteso dove la gioia si espandeva tra i frammenti di luce, le gocce di pioggia e le avvisaglie di ogni temporale, ogni giorno le faceva pensare e dire “Ecco, un altro giorno è trascorso, ma domani penserò al ritorno, domani ci penserò sul serio”.

- Héloïse puoi avvicinarti? Vorrei dettarti alcuni versi che sto cesellando da giorni.

- Eccomi! Ma dimmi, com’è il tuo scrivere senza vedere, come riesci ad allineare le parole?

- Di preciso non lo so. È ormai un’abitudine, una forma mentis che non mi lascia mai quieto. Prima sento una parola, poi la vedo. La scrivo su di un taccuino, la incolonno e la lascio scivolare sul margine della pagina. La rimetto al suo posto, altre parole arrivano, le penso a voce alta, le pronuncio a voce alta, mi lascia guidare dal senso del ritmo, le canto anche, e poi le traduco in inglese. Le leggo in questa lingua diversa, suonano ancora bene, le traduco in francese, in latino e in greco antico. Credimi, anche se non posso più vedere il mondo intorno, posso però ricordarlo a mio piacimento, non ho bisogno d’altro.



Le rose fiammeggianti per chiamarlo indietro

Incontro Aristotele per la seconda
volta a passeggio sotto la luna.
Mi avvicino con il cuore pieno di
domande, con un gesto già pronto
nella mano, ma lui mi guarda con
occhi pieni di nuvole e si gira senza
pronunciare una sola parola.
Non vi sono abbastanza strumenti
musicali o rose fiammeggianti per
chiamarlo indietro. Capisco così,
per questo suo silenzio, che io pure
sono un’ombra che vaga nell’Ade,
quando nessuno è mai venuto a
cercarmi per portarmi indietro. 



Quando Héloïse ha finito di trascrivere anche questa poesia, la pioggia cessa di colpo e un raggio di sole attraversa un lucernario e colpisce gli occhi di Luis.


- C’è il sole adesso, sento il suo calore sul mio volto. Usciamo a passeggiare nel chiostro, di certo riusciremo ancora a percepire il petricore e a ricordare com’era correre scalzi sotto la pioggia sui campi bruciati dall’estate. 

- Andiamo Luis – disse Roxanne – vorrei che tu ci dicessi i profumi che senti nell’aria ora che la pioggia è passata.

Il poeta cieco sorrise e le offrì un braccio, anche le nuvole nei suoi occhi erano scomparse e in fondo a uno si intravedeva un bambino che sembrava sorridesse.



Questa Cronaca 148 prosegue la bizzarra storia delle sacerdotesse con il poeta cieco J.L. Borges. Le sue poesie apocrife sono opera mia.

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