Ecco l’ora piccola, i tre viaggiatori sono pronti. Le due sacerdotesse salutano le consorelle e aiutano il poeta cieco a salire in carrozza. Non daranno nell’occhio, è un tiro a due cavalli e non appena arriveranno nella foresta potranno scegliere la porta della città silenziosa e arrivare in poco tempo sino al monastero di Colorno.
Quando il portone si chiude alle loro spalle il mondo cambia voce perché il silenzio del chiostro è rimasto tra le mura e anche il canto degli uccellini sembra più alto e libero.
Attraversano il ponte senza parlare, il cocchiere è un viaggiatore esperto e sa che deve lasciarli all’inizio del bosco che non è lontano dalle mura della città che è già in fermento. Nelle viuzze dei mercanti il cavallo procede al piccolo passo. Gli odori forti che si mescolano sono una delle caratteristiche di quel tempo cui non è facile abituarsi. Anche Luis storce il naso ma non si lamenta. Roxanne scosta le tendine perché non sa quando potrà ritornare al suo convento e Héloïse è tutta concentrata sulle tappe che sta scrivendo e riscrivendo su un taccuino di pelle rossa che non appartiene a quel tempo.
Nessuno di loro appartiene a quel tempo ma lo hanno scelto, anche se non hanno scelto di essere api dell’invisibile, è l’amore per la poesia che le ha condotte a nascondere e proteggere il poeta cieco.
- Non credevo, sapete – disse Luis all’improvviso – che la poesia mi avrebbe dato l’immortalità e non in senso metaforico ma letterale. Sono più di trent’anni che mi nascondo al mondo e continuo a scrivere poesie che il mondo non leggerà. Mi consola, però, sapere che i miei manoscritti saranno a breve allineati su di uno scaffale della Biblioteca di Babele.
Un fiore di melo, una mela matura, la stella danzante e lo sguardo oscurato
Ho salutato così tante
volte la vita, che questo
nuovo commiato ha più
il sapore di una mela
acerba che quello di un
frutto giunto al giusto
tempo. Che non esiste,
lo so adesso, perché sulla
mano destra tengo un fiore
di melo e sulla sinistra
la mela già rossa e succosa.
Così mi guardo allo specchio
e un giovane mi guarda allo
stesso modo stupito e alle
sue spalle un bambino con
laghi di tristezza alla finestra
sembra volerci dire di avere
cura di quello sguardo che
presto non sarà più. Ma
tutto, come il tempo, è solo
una questione di punto di vista,
di un angolo diverso nelle
pieghe degli universi, forse
la mia stella è la risposta,
stella che danzava quando sono
nato e ha oscurato il dono di
quegli occhi che troppo hanno
visto nei mondi e in fondo
ai cieli.
- Vi ho mai detto che ormai conosco a memoria tutte le mie poesie? E che di ognuna potrei dirvi il momento preciso in cui ho iniziato a scriverla e quante versioni ne esistono? A proposito, i miei manoscritti viaggiano con noi?
Fu Roxanne a rispondere:
- No Luis, i tuoi manoscritti sono già a Colorno, li abbiamo spediti ieri sera e il messo sapeva come attraversare le porte tra i tempi. Tra poco scenderemo dalla carrozza e dovremo fare un tratto di strada a piedi sino alla nostra porta e ci fermeremo a riposare nella Casa delle Parole, questi viaggi sono sfibranti, sembrano durare poco, ma la materia è sottoposta a una prova durissima, perché infrange le regole celesti e terrestri della nostra dimensione che chiamiamo realtà.
Scesero dalla carrozza, si disposero in fila indiana con Héloïse che guidava, Luis in mezzo e Roxanne a chiudere la fila.
Il profumo del bosco, resina e aghi essiccati, funghi e rugiada, ripuliva il naso dagli odori penetranti della città. Arrivarono nella radura e si fermarono a riposare, bevvero acqua fresca dalla fonte che sgorgava in una polla trasparente e profonda. Erano rinchiusi nel tempo delle fate, quello in cui gli umani si lasciavano incantare e dimenticavano il proprio nome, gli affetti, i motivi che li avevano spinti ad attraversare il bosco. Le fate arrivarono danzando ma smisero subito quando riconobbero Roxanne. Sapevano che i tre viandanti erano di passaggio, che non volevano dimenticare, ma che soffrivano di quell’eccesso di memoria che colpisce le api dell’invisibile e i poeti. Salutarono tra scintille e farfalle dorate, svanirono nell’ombra verde che circondava gli alberi.
Gli occhi dell’amore sono occhi ripetuti
Gli universi non svaniscono, cosa
credete? Ogni istante si replica,
così che con la parola giusta,
sarà possibile ritornare nel preciso
momento in cui avete fiammeggiato
per la prima volta d’amore. E ogni
ritorno sarà un ritorno ripetuto e
i tuoi occhi, amore, saranno gli
occhi che per la prima volta avrò
veduto e il tuo essere la quiete che
la mia anima stava cercando.
- Andiamo – li esortò Héloïse – la porta è poco più avanti, il sentiero successivo passa ai piedi delle Montagne della Nebbia e la mia casa è poco distante.
Questa Cronaca 150, scritta nel quinto giorno del mese di agosto dell’anno senza Carnevale, prosegue il racconto delle vicissitudini delle due sacerdotesse e del poeta cieco.
Anche le due poesie apocrife di Borges sono opera mia.
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