mercoledì 12 agosto 2020

Cronache dall’anno senza Carnevale/157: case, onde, nuvole e ombre, siete diventate solo sguardo

 



È arrivato un nuovo poeta tra noi, si fermerà per qualche giorno e poi andrà a Colorno a riporre i suoi libri, i suoi taccuini e i suoi manoscritti nella Biblioteca di Babele e potrà conoscere Borges e Yourcenar e le sacerdotesse e David il poeta. 
Si presenta con una poesia e noi che siamo qui, nel giardino della Casa delle Parole, ascoltiamo.


Presenza

Sono nato nella città dei ciliegi selvatici 
e dei girasoli dai duri semi 
(a metà strada fra l’Occidente e l’Oriente, 
come si soleva credere allora; globi 
verderame vigilavano sbadati sulle case).
Solo l’assenza può essere perfetta?
La presenza è infatti contagiata dal peccato 
originale dell’esistere - dall’eccesso, da un selvaggio 
orgoglio orientale, mentre il bello, come un coltellino 
da frutta, si accontenta di un ritaglio di pienezza.
La vita si accumula nelle peschiere 
delle generazioni e non svanisce del tutto 
quando queste scompaiono, 
ma diventa secca e leggera, ricorda 
una preghiera distratta, le labbra screpolate 
di un ragazzo che si confessa per la prima volta 
e sente il legno del confessionale 
scricchiolare sotto le ginocchia.
A sera giunge l’autunno e porta via 
le messi, gialle, mature per la fiamma.
So che le realtà sono almeno quattro, 
e non già una, e si compenetrano 
a vicenda, come i Vangeli.
So di essere solo e al tempo stesso unito 
a te, per sempre, nel dolore e nella gioia. 
So che immortali sono solo i misteri.


E per l’immortale mistero che è la letteratura, la memoria ha chiamato qui anche Irène Némirovsky. Forse per l’immagine di una città rossa al tramonto che fa fiammeggiare anche i ciliegi, mentre i petali danzano sino a terra come una neve rosata. 

Parliamo in molte lingue, ci capiamo sempre, ridiamo, alziamo la voce. Il giardino è popolato dai nostri discorsi e dal frinire delle cicale. 

Un refolo di vento che spezza la calura, porta il profumo dei fichi maturi, rossi e morbidi che ci invitano a raccoglierli.

Quanti “Io” si muovono tra sogno e realtà, tra il giardino e il sentiero per il mare? 
Chiedo al poeta cos’è “Io” per lui.



Io


È piccolo e invisibile come i grilli 
ad agosto. Come tutti i nani ama
agghindarsi e cambiarsi. Abita tra 
blocchi di granito, in mezzo a verità 
utili. Riesce a stare persino sotto 
un cerotto, o una benda. Non lo troveranno 
i doganieri e neppure i loro superbi cani. L’io 
si nasconde tra gli inni e i partiti.
Pernotta sulle Montagne Rocciose del cranio.
Eterno fuggiasco. E me, io 
sono in lui nell’inquieta speranza di aver 
trovato infine un amico. Ma egli 
è solitario, così diffidente da non 
ricevere nessuno, me compreso.
Agli eventi storici aderisce
come l’acqua a un bicchiere. Anche una brocca neolitica 
potrebbe contenerlo.
È insaziabile, vuole nuotare
negli acquedotti, ha fame di recipienti sempre nuovi, 
gradirebbe uno spazio senza pareti, 
vorrebbe dissolversi, dissolvere. Poi svanisce, 
come la sete, e nel silenzio di una notte 
di agosto si sentono solo i grilli 
che parlano pazienti con le stelle.


T
ra poco ascolteremo di nuovo il canto dolce del grillo, in particolare del grillo che dorme sul mio albero bellissimo, tra poco, quando sarà notte.

Scendiamo verso la spiaggia anche se il tempo è virato in grigio e il vento annuncia che presto arriverà la pioggia.

Il poeta Adam, il sapiente guerriero François, il misterioso architetto Alexandre stanno parlando di pittura e vedute e il poeta dice il suo amore per uno dei miei quadri preferiti di tutti i tempi, quella veduta di Delft che è uno dei due soli dipinti in cui lo sguardo di Vermeer non è rivolto verso una stanza e verso la vita segreta di ogni suo abitante.

Il segreto di quella vista, del piccolo muro giallo e della tecnica di pittore e scrittore, come pensa Bergotte, nella Prigioniera di Proust, poco prima di morire.

“Una piccola ala di muro gialla, di cui non si ricordava, era dipinta così bene da apparire, a guardarla isolatamente, simile a una preziosa opera d'arte cinese, di una bellezza che basta a se stessa. (...) Passò davanti a molti quadri, e sentì netta l'aridità e l'inutilità di un'arte così posticcia, la quale non valeva le correnti d'aria e di sole di un palazzo di Venezia o di una semplice casa in riva al mare. Infine, giunse davanti al Vermeer, che egli si ricordava
più sfolgorante, più diverso da tutto quello che conosceva, ma dove, grazie all'articolo del critico, notò per la prima volta dei piccoli personaggi turchini, il color roseo della sabbia e, infine, la preziosa materia della piccolissima ala di muro gialla. I suoi capogiri crescevano; egli fissava lo sguardo, come un bambino su una farfalla gialla che cerchi di catturare, sulla preziosa piccola ala di muro gialla. "Così avrei dovuto scrivere, - si disse. - I miei ultimi libri sono troppo secchi, ci voleva più colore, bisognava rendere più preziosa la mia frase, come quella piccola ala di muro gialla.”

Arriviamo in riva al mare e tra le onde appare quella che sembra una penisola e Adam ci chiede se la riconosciamo e poi recita a memoria.


Veduta di Delft

Case, onde, nuvole e ombre 
(tetti blu scuro, mattoni bruni) 
infine siete diventate solo sguardo.

Quiete pupille degli oggetti, 
indomite, rilucenti di nero.

Sopravviverete alla nostra meraviglia,
al nostro pianto, alle nostre fragorose, infami guerre.



Sì, quando il nostro sguardo sarà inchiostro per l’eternità, Delft immortale e viva, tutta concentrata in quel piccolo muro giallo, sarà ancora lì, chiusa nella stessa luce.

Ci sediamo sulla sabbia, continuiamo a guardare la città sino a che la visione non svanisce e le nostre parole la inseguono, imprendibili dal silenzio e dal mistero.



Questa Cronaca 157 è stata scritta nel dodicesimo giorno del mese di agosto dell’anno senza Carnevale. Ospiti inaspettati Proust e Némirovsky, anche loro sono stati chiamati dalla Biblioteca di Babele.
Le poesie sono di Adam Zagajewski, Dalla vita degli oggetti, a cura di Krystyna Jaworska, Adelphi 2012.

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