In
ogni città c’è una città sommersa, invisibile agli occhi, ma che risuona sotto
i nostri passi. Una città d’acqua e di ricordi, dove i vecchi Navigli e i fiumi
Lambro, Olona e Seveso continuano a scorrere sotto il cielo e non sono stati
interrati da noi umani. Soffocano e gridano i fiumi che non scorrono sotto il
cielo, possiamo ascoltarli, maledirli quando esondano, rimpiangerli, ma nulla
di concreto. Possiamo però lasciar correre la nostra immaginazione e salire su
di una barchetta a remi e lasciarci trasportare nella città antica come
coraggiosi esploratori. Vedremmo i bambini giocare sulle rive, saltare fino al
cielo, rincorrersi e pensare al mondo per poterlo cambiare con la forza del
gioco. Forse attraverseremmo territori sconosciuti, sfuggiti ai racconti e
scopriremmo pitture rupestri sotto strati di muschio e licheni. Sarebbe il
nostro un pomeriggio millenario e anche le ossa sepolte nell’argilla avrebbero
un sussulto e cercherebbero una strada verso il sole. Non conosceremmo il buio
di quella terra, perché prima che la notte scenda ci fermeremmo a fare la legna
e poi entreremmo nella prima casa a destra, dopo l’ansa del fiume. Conosceremmo
così anche quel silenzio primordiale che è l’origine di tutti i silenzi, il
silenzio del tempo dove le lingue non erano che mugolii e anche le api erano
più espressive di un essere umano. Passata la notte potremmo riprendere la
nostra navigazione per tornare sui nostri passi, anche se sul pelo dell’acqua
non sono rimaste impronte ma solo la memoria fugace delle nostre mani che l’hanno
solcata.
La memoria o il
lampo
In
questo pomeriggio senza
tempo,
scopriremo che
non
vi è nessuna differenza
tra
la pietra e il sogno. Perché
entrambi
arrivano da un tempo
che
non abbiamo conosciuto,
entrambi
sfruttano il silenzio
per
mettere a tacere le nostre
proteste.
Perché abbiamo
imparato
che le parole possono
essere
una trappola o nostre
prigioniere,
dipende da quanto
il
sogno abbia parlato la lingua
della
verità e quanto quella della
fuga.
Non potremo comunque
levarci
verso il cielo, anche in
questo
sogno d’acqua e ossa,
dovremo
accettare la gravità
che
ci inchioda alla terra e mola
le
parole ancora più di quanto
non
faccia con i nostri volti e
le
nostre mani. Potremo solo
condividere
la nostra solitudine
e
tesserla come fa il ragno con
la
sua tela, non sapendo se
sarà
la memoria o il lampo
a
restare intrappolato.
Oggi,
domenica 30 gennaio del terzo anno senza Carnevale, Milano era avvolta in un
precoce mantello di primavera, camminare a lungo nel pomeriggio è stata una
grazia e non so perché a un certo punto ho iniziato a sentire la voce dei
fiumi, ma l’ho sentita e l’ho raccontato a questa Cronaca 693 che ha preso la
sua barca ed è andata a vedere.
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