domenica 30 gennaio 2022

Cronache dagli anni senza Carnevale/693. Una domenica pomeriggio navigare nella solitudine dei fiumi

 

 


In ogni città c’è una città sommersa, invisibile agli occhi, ma che risuona sotto i nostri passi. Una città d’acqua e di ricordi, dove i vecchi Navigli e i fiumi Lambro, Olona e Seveso continuano a scorrere sotto il cielo e non sono stati interrati da noi umani. Soffocano e gridano i fiumi che non scorrono sotto il cielo, possiamo ascoltarli, maledirli quando esondano, rimpiangerli, ma nulla di concreto. Possiamo però lasciar correre la nostra immaginazione e salire su di una barchetta a remi e lasciarci trasportare nella città antica come coraggiosi esploratori. Vedremmo i bambini giocare sulle rive, saltare fino al cielo, rincorrersi e pensare al mondo per poterlo cambiare con la forza del gioco. Forse attraverseremmo territori sconosciuti, sfuggiti ai racconti e scopriremmo pitture rupestri sotto strati di muschio e licheni. Sarebbe il nostro un pomeriggio millenario e anche le ossa sepolte nell’argilla avrebbero un sussulto e cercherebbero una strada verso il sole. Non conosceremmo il buio di quella terra, perché prima che la notte scenda ci fermeremmo a fare la legna e poi entreremmo nella prima casa a destra, dopo l’ansa del fiume. Conosceremmo così anche quel silenzio primordiale che è l’origine di tutti i silenzi, il silenzio del tempo dove le lingue non erano che mugolii e anche le api erano più espressive di un essere umano. Passata la notte potremmo riprendere la nostra navigazione per tornare sui nostri passi, anche se sul pelo dell’acqua non sono rimaste impronte ma solo la memoria fugace delle nostre mani che l’hanno solcata.

 

 

 

La memoria o il lampo

 

In questo pomeriggio senza

tempo, scopriremo che

non vi è nessuna differenza

tra la pietra e il sogno. Perché

entrambi arrivano da un tempo

che non abbiamo conosciuto,

entrambi sfruttano il silenzio

per mettere a tacere le nostre

proteste. Perché abbiamo

imparato che le parole possono

essere una trappola o nostre

prigioniere, dipende da quanto

il sogno abbia parlato la lingua

della verità e quanto quella della

fuga. Non potremo comunque

levarci verso il cielo, anche in

questo sogno d’acqua e ossa,

dovremo accettare la gravità

che ci inchioda alla terra e mola

le parole ancora più di quanto

non faccia con i nostri volti e

le nostre mani. Potremo solo

condividere la nostra solitudine

e tesserla come fa il ragno con

la sua tela, non sapendo se

sarà la memoria o il lampo

a restare intrappolato.

 

 

Oggi, domenica 30 gennaio del terzo anno senza Carnevale, Milano era avvolta in un precoce mantello di primavera, camminare a lungo nel pomeriggio è stata una grazia e non so perché a un certo punto ho iniziato a sentire la voce dei fiumi, ma l’ho sentita e l’ho raccontato a questa Cronaca 693 che ha preso la sua barca ed è andata a vedere.

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