Mi sono svegliata con due frasi in inglese che mi ronzavano in testa: “the morning son” e “the morning song” così le ho raccolte dal nido dei sogni e le ho portate con me nella città più depressa che silenziosa. Alcune scuole hanno riaperto, ma pare che da lunedì parta di nuovo la DAD, le code davanti alle farmacie che fanno i tamponi sono sempre chilometriche, i saldi sono partiti in sordina, le notizie sulla pandemia sono sempre sconsolanti. Così ho deciso che quelle poche parole inglesi sarebbero state una migliore compagnia per le mie parole, le intenzioni per questa nuova Cronaca e le cose da fare in questa giornata interlocutoria dopo la fine del periodo festivo. Così questa mattina ho letto un racconto di Irène Némirovsky che avevo comprato da tanto tempo: Legami di sangue, una storia familiare, madre anziana, una figlia nubile di mezza età, tre figli con rispettive consorti e loro figli e le dinamiche relazionali scandagliate con l’usuale profondità e sottigliezza psicologica da grande scrittrice qual è stata.
Il desiderio
di fuga e di libertà del fratello più piccolo, disposto ad abbandonare moglie e
figlie per raggiungere la propria amante e il bambino avuto con lei, sembra
concretizzarsi solo quando sembra che la madre sia ormai sul letto di morte. Ma
lei sopravvive, il dolore e il sollievo dei congiunti si ritirano come la marea
e tutto torna a orbitare intorno ai tremendi pasti domenicali che tutti destano
ma cui nessuno osa sottrarsi. Eppure c’è stato un tempo dove questa è stata una
famiglia felice, quando i figli erano bambini e nella casa delle vacanze si
tenevano feste bellissime. Nel presente è la vecchiaia della madre che tiene
imprigionato il resto della famiglia:
“Nel
frattempo, la madre aveva richiuso la porta dietro Alain e Alix, gli ultimi ad
andarsene. Rimasta sola, passò un istante da una stanza all’altra, aprendo
tutte le finestre. Che silenzio! Di solito non lo sentiva, ma quella sera, dopo
che i passi dei suoi figli si erano allontanati, che tutte quelle giovani voci
avevano taciuto, quel silenzio la opprimeva. Spaventoso silenzio della vecchiaia,
dove tutto sembra tacere nello stesso istante, il rumore della vita fuori e
quel tumulto gioioso dell’anima che si sente risuonare come una fanfara durante
la giovinezza…”.
Così le
due frasi che mi accompagnano dal risveglio fanno crasi con questo racconto e
il suo silenzio e una poesia si presenta nella testa, nelle orecchie e negli
occhi.
Il figlio di un mattino che ha cantato
Cammina
nell’alba il ragazzo,
ancora
non sa dire se il cielo
sarà
grigio o rosa. È lunga
questa
strada che lo allontana
dalla
notte, è stanco di buio e
cerca
solo la luce, lui che è
figlio
di un mattino e di una
rosa. Inizia
così, con queste
parole
il canto mattutino del
giorno
nuovo e del figlio
dimenticato
dalla rosa in fondo
al
giardino. È silenzioso ora
quel
canto lontano, il figlio non
è più
bambino, ma nell’alba cerca
ancora
il distacco dal buio e
dalle
stelle.
Intanto
che scrivevo questa Cronaca sono anche venuta a sapere della morte, forse per un
gesto volontario, dello scrittore Vitaliano Trevisan. Forse la sua notte non lo
ha mai lasciato, ma qui mi fermo perché solo il silenzio, di nuovo il silenzio,
può contenere tutto lo sgomento e il dolore.
Oggi è venerdì 7 gennaio del terzo anno senza Carnevale e questa Cronaca 670 fischietta un motivetto in inglese che mi sembra di riconoscere.
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