sabato 29 gennaio 2022

Cronache dagli anni senza Carnevale/692. Come cantare lo stesso canto della mia città

 


 

Quali sono le cose che rendono ogni giornata una giornata felice? Di sicuro il sole, quando intiepidisce l’aria, mi chiama a sedermi su una panchina fuori dalla biblioteca e si offre al mio viso e io faccio lo stesso. Mi sono fermata a lungo, sino a quando la luce e il calore non hanno iniziato a farmi girare la testa e allora, piano, mi sono spostata verso una zona d’ombra e sulla soglia dell’ingresso ho sentito risuonare i passi degli operai che entravano a lavorare alla De Angeli–Frua, fabbrica tessile andata distrutta durante la Seconda Guerra Mondiale. È tutta una stratificazione di ricordi quest’area vicino a casa, dove c’era anche un bosco spontaneo sorto sulle rovine della fabbrica e che venne quasi completamente tagliato durante un tentativo di speculazione edilizia, di cui ho già scritto, nell’agosto del 1991. Ma sono così tante le tracce del passato in questo quartiere che non mi stanco mai di andare a cercare particolari che non conoscevo sui libri e su internet. Oggi sembrava proprio primavera, l’aria era sottile e immaginavo di sentirci profumi che ancora non ci sono. Una fervida immaginazione rende una giornata qualunque una giornata felice. Sono passata apposta davanti al panettiere solo per poter respirare l’aroma del pane appena sfornato e dal fruttivendolo per catturare con le narici quello dei molti agrumi esposti sul bancone. Ho fatto anche un esercizio che non riesco mai a finire, cioè riuscire a ricordarmi tutti i negozi che si sono succeduti in via Marghera, una delle vie più belle di Milano, ma non ci riesco quasi mai, anche se ricordo quanto era piacevole questa zona della città, metà borgo antico e metà quartiere elegante, quando ho iniziato a frequentarlo negli anni delle scuole superiori. Intorno alla scuola Novaro-Ferrucci e alle rovine della fabbrica ci ho camminato così tante volte che i miei passi potrebbero avere contribuito a incidere il selciato. Così come i miei sguardi che non si fermano mai e continuano a interrogare i palazzi e le finestre alla ricerca di storie nuove da raccontare o raccontare di nuovo perché nessuno le ricorda più. Amo molto gli scrittori che si identificano, almeno in parte, con la città in cui vivono, a volte da quando ci sono nati, come Paul Auster e New York, Fernando Pessoa e Lisbona, Virginia Woolf e Londra, giusto per citarne alcuni. Anche Milano è stata molto raccontata nel corso del tempo da numerosi scrittori che l’hanno anche solo visitata nel giro di pochi giorni. Ho raccolto un’infinità di citazioni e testimonianze per il romanzo che ho appena finito di scrivere e mi piace andare a rileggere di quella Milano antica che nessuno vedrà mai più. Una giornata felice è anche quando scopro le tracce di altri scrittori per le vie che più amo e mi piace questa convivenza immaginaria con loro e la mia città, anche se spesso i palazzi dove hanno vissuto non esistono più.

 

 

 

Il canto di Milano

 

È forse questo il segreto

della parola, custodire

per noi quella luce e

quei volti che non abbiamo

mai veduto ma che possiamo

ricordare come se fossero

nostri, come se il tempo

fosse solo un luogo che

ci appartiene e cui apparteniamo

anche se non lo sappiamo, anche

se non lo vogliamo. Per tutti

quelli che l’hanno amata, per

quelli che la vivono senza

amarla, per tutto il passato

e per questo presente, per

tutta questa vita intorno e

dentro di me, io canto questo

tuo stesso canto, mia amata

Milano, la mia città, il mio

posto nel mondo.

 

 

E così, su queste note amorose è trascorso questo sabato 29 gennaio del terzo anno senza Carnevale e questa Cronaca 692 è molto orgogliosa di essere milanese e io con lei.

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