Quali
sono le cose che rendono ogni giornata una giornata felice? Di sicuro il sole,
quando intiepidisce l’aria, mi chiama a sedermi su una panchina fuori dalla
biblioteca e si offre al mio viso e io faccio lo stesso. Mi sono fermata a lungo,
sino a quando la luce e il calore non hanno iniziato a farmi girare la testa e
allora, piano, mi sono spostata verso una zona d’ombra e sulla soglia dell’ingresso
ho sentito risuonare i passi degli operai che entravano a lavorare alla De
Angeli–Frua, fabbrica tessile andata distrutta durante la Seconda Guerra
Mondiale. È tutta una stratificazione di ricordi quest’area vicino a casa, dove
c’era anche un bosco spontaneo sorto sulle rovine della fabbrica e che venne
quasi completamente tagliato durante un tentativo di speculazione edilizia, di
cui ho già scritto, nell’agosto del 1991. Ma sono così tante le tracce del
passato in questo quartiere che non mi stanco mai di andare a cercare particolari
che non conoscevo sui libri e su internet. Oggi sembrava proprio primavera, l’aria
era sottile e immaginavo di sentirci profumi che ancora non ci sono. Una fervida
immaginazione rende una giornata qualunque una giornata felice. Sono passata apposta
davanti al panettiere solo per poter respirare l’aroma del pane appena sfornato
e dal fruttivendolo per catturare con le narici quello dei molti agrumi esposti
sul bancone. Ho fatto anche un esercizio che non riesco mai a finire, cioè
riuscire a ricordarmi tutti i negozi che si sono succeduti in via Marghera, una
delle vie più belle di Milano, ma non ci riesco quasi mai, anche se ricordo
quanto era piacevole questa zona della città, metà borgo antico e metà
quartiere elegante, quando ho iniziato a frequentarlo negli anni delle scuole
superiori. Intorno alla scuola Novaro-Ferrucci e alle rovine della fabbrica ci
ho camminato così tante volte che i miei passi potrebbero avere contribuito a
incidere il selciato. Così come i miei sguardi che non si fermano mai e
continuano a interrogare i palazzi e le finestre alla ricerca di storie nuove
da raccontare o raccontare di nuovo perché nessuno le ricorda più. Amo molto
gli scrittori che si identificano, almeno in parte, con la città in cui vivono,
a volte da quando ci sono nati, come Paul Auster e New York, Fernando Pessoa e
Lisbona, Virginia Woolf e Londra, giusto per citarne alcuni. Anche Milano è
stata molto raccontata nel corso del tempo da numerosi scrittori che l’hanno
anche solo visitata nel giro di pochi giorni. Ho raccolto un’infinità di
citazioni e testimonianze per il romanzo che ho appena finito di scrivere e mi
piace andare a rileggere di quella Milano antica che nessuno vedrà mai più. Una
giornata felice è anche quando scopro le tracce di altri scrittori per le vie
che più amo e mi piace questa convivenza immaginaria con loro e la mia città,
anche se spesso i palazzi dove hanno vissuto non esistono più.
Il canto di Milano
È
forse questo il segreto
della
parola, custodire
per
noi quella luce e
quei
volti che non abbiamo
mai
veduto ma che possiamo
ricordare
come se fossero
nostri,
come se il tempo
fosse
solo un luogo che
ci
appartiene e cui apparteniamo
anche
se non lo sappiamo, anche
se
non lo vogliamo. Per tutti
quelli
che l’hanno amata, per
quelli
che la vivono senza
amarla,
per tutto il passato
e
per questo presente, per
tutta
questa vita intorno e
dentro
di me, io canto questo
tuo
stesso canto, mia amata
Milano,
la mia città, il mio
posto
nel mondo.
E
così, su queste note amorose è trascorso questo sabato 29 gennaio del terzo
anno senza Carnevale e questa Cronaca 692 è molto orgogliosa di essere milanese
e io con lei.
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