Se gennaio fosse una casa avrebbe intorno un’abetaia e in fondo un sentiero verso i monti. La casa sarebbe tutta di legno e avrebbe poche stanze perché la stufa e i camini non potrebbero riscaldarne altre, se non le tre dove viviamo durante la stagione fredda. La casa di gennaio è un rifugio che ci accoglie dopo che le festività natalizie sono finite, non è la casa luminosa e addobbata che abbiamo abitato in dicembre, scintillante e ricca di cibo e decorazioni. Ora che abbiamo finito di festeggiare, tolto le luminarie, torniamo a cercare il poco che ci serve per attraversare il deserto di gelo che è intorno e dentro di noi. Ciascuno stabilisce le proprie strategie di sopravvivenza e poi le converte in tecniche di sopravvivenza. Nessuno di noi era preparato ad affrontare questa vita limitata e rimpicciolita, nessuno di noi aveva immaginato che una pandemia ci avrebbe colpiti come accadeva ai nostri antenati, non a noi, a noi no. E invece, eccoci, vulnerabili e indifesi a cercare di mettere in campo tutte le nostre capacità per venirne fuori e per continuare a vivere una vita degna, dove le giovani generazioni possano stare insieme nelle scuole e nelle università, dove le persone fragili vengano curate in maniera adeguata. Di una cosa almeno dovremo ringraziare questo coronavirus: di avere rimesso al centro del dibattito pubblico l’importanza fondamentale di scuola e sanità pubblica, due dei principali pilastri di ogni società civile, di ogni democrazia. Che sarà pure imperfetta e zoppicante ma è quanto di meglio siamo riusciti a creare noi umani negli ultimi cinquemila anni di storia e dovendo fare i conti quotidianamente, ciascuno di noi anche con se stesso, con la nostra natura ferina e sanguinaria, natura testimoniata dalle guerre presenti e passate, dove il Ventesimo secolo ha toccato i più tremendi vertici di distruzione di massa. Non credo ci sia nella storia dell’umanità, un’età dell’oro di pace universale, ci sono sempre stati, però, e continuano a esserci donne e uomini di buona volontà che praticano il bene nella loro vita quotidiana, anche solo con piccoli gesti di gentilezza nei confronti del prossimo, di quelli che ci sono vicini e anche nei confronti di se stessi, perché non amarsi rende difficile amare il prossimo. Così questa grande casa gelida che è l’inverno, quando la guardiamo da vicino, ci rivela la sua natura di villaggio, di prossimità e vicinanza, dove ogni fuoco riscalda una casa e si propaga oltre le piccole mura verso le case confinanti e il cuore dei nostri vicini.
Canto per quelli che
sono lontani
Vieni,
sono seduta alla
mia
tavola proprio
ora
e la porta è
aperta
per te, per
ogni
persona che ami.
Ci
sono mandarini e
arance,
noci e pane,
sul
fuoco bolle una zuppa
e
l’aroma del legno
avvolge
l’aria come
un
mantello. Vieni,
vieni
a sederti con me,
ho
spezzato il pane e
versato
il vino, la notte
è
lunga ma non farà
paura
se l’affronteremo
insieme,
parlando di
cose
normali, leggendo
poesia,
sbucciando
un
frutto e dividendo
in
due ogni spicchio.
Vieni,
è inverno, ma
le
arance splendono
come
mille piccoli soli.
È proprio questa casa dell’inverno il mese di gennaio con questo lunedì 10 che appartiene a un nuovo anno senza Carnevale. Questa Cronaca 673 sbuccia mandarini e getta le bucce nel fuoco, non sentite come stanno scoppiettando?
Nessun commento:
Posta un commento