sabato 31 ottobre 2020

Cronache dall’anno senza Carnevale/237: dove il tempo e la stagione sono un’unica poesia

 


I giardini sono addormentati sotto una coltre di nebbia leggera, gli alberi sono ormai indifferenti alle foglie che ancora resistono. Nel profondo dei rami, già sentono il pizzicore delle foglie che saranno con la nuova stagione e non hanno, gli alberi, tempo di crogiolarsi nella nostalgia come d’autunno facciamo, noi umani.

Ecco, un pensiero in compagnia di uno sguardo che diventa, poi, immaginazione e poesia:

 

Nell’ultimo sole della stagione

 

Sotto una coltre di nebbia

leggera dormono i nostri

giardini. Gli alberi, sempre

vigili, non accettano più

lamentazioni dalle foglie

morenti. È più forte il grido

delle foglie che saranno e

gli alberi non hanno tempo

per crogiolarsi nella nostalgia

come se fosse l’ultimo sole

della stagione.

 

 

La città è in bilico tra il silenzio e la fuga. Chi può è già partito, i negozi sono antri di fantasmi e non ci sono bambini mascherati che attraversano il buio di Halloween alla ricerca di dolcetti. Questa notte si aprirà la porta tra i mondi e parleremo con i fantasmi, li vedremo apparire nella forma che hanno scelto:

 

 

Dove la notte respira la nebbia

 

È uno strappo tra la fuga

e questo silenzio la mia

città. Troppo pochi questi

umani per fare rumore, non

ci sono bambini che solcano

la notte per accompagnarci

sino alle soglie della porta

tra i mondi che tra poco

si aprirà. Parleremo con

loro, quelli che non hanno

più voce e forma, li vedremo,

ci ascolteranno e berranno

il latte e le castagne cotte

che abbiamo preparato per

loro. Eterni più del tempo e

vasti più ancora di qualunque

immaginazione, questa notte

respireranno l’aria satura di

nebbia e della nostra paura.

 

 

 

La vita quotidiana non sempre ci consente di prestare attenzione alle piccole cose che la rendono ricca e bella, nonostante tutto. In un piccolo vaso di vetro, mi accompagna da giorni un’unica rosa bianca. La porto con me nelle stanze della casa quando so che in ciascuna mi fermerò a lungo. In cucina allieta i miei pasti e mi guarda perplessa, con il capo un po’ reclinato verso sinistra, io le sorrido e continuo a compiere i gesti lenti di ogni pasto.

In soggiorno la metto accanto al divano così da poterla guardare di tanto in tanto mentre leggo o sbircio fuori dalla finestra e sussurro parole segrete al mio albero bellissimo. Nello studio troneggia alla mia sinistra e permane nell’angolo del mio occhio anche se non la guardo in faccia. Le risparmio bagno, ripostiglio e camera da letto, luoghi che non si addicono a una rosa pudica e spesso addormentata.

 

 

 

La rosa eterna di questa poesia

 

Una rosa è una rosa, non importa

in quale stagione, non importano

i sussurri dei petali che cercano

risposte. Mi accompagna, così,

quest’unica rosa che sfiorisce

con grazia giorno dopo giorno e

non chiede altro che di essere

questa rosa, proprio questa,

magnifica e solitaria, immensa

nel mio sguardo ed eterna, sì

eterna, in questa poesia.

 

 

 

Il tempo e la stagione mi inducono a movimenti lenti e passi guardinghi. Ho passeggiato un po’ per il quartiere stamane, ma la maggior parte del tempo l’ho trascorsa in casa a sistemare libri e vecchi manoscritti. Poi, nel pomeriggio mi raggiunge la notizia della morte di Sean Connery, il mio attore preferito di sempre. Non so quante volte ho visto i suoi film di 007, ricordo in particolare l’estate del 1975 dove, con mio fratello ottenne, avevamo rivisto tutta la serie di James Bond sino allora girata. Ma il vero aneddoto è un piccolo racconto familiare. Intorno a metà degli anni Sessanta, credo fosse il 1965 e il film Operazione tuono, andai al cinema con i miei genitori. Una volta si poteva andare al cinema molto presto, prendere d’assalto le poltroncine e poi guardare il film anche due volte di fila, cosa che mi capitò di fare. Quel giorno pare che io indossassi una gonnellina scozzese con le calzine blu al ginocchio e certi scarponcini di pelle che adoravo. Avevo un golfino rosa e nastri rosa che trattenevano i due codini alti ai lati della testa. Una delle molte ragazze che popolavano questi film di avventura e spionaggio, si sottrasse a un bacio dell’irresistibile agente segreto. Pare che allora, la treenne coi codini balzasse in piedi sulla poltroncina e, aggrappata allo schienale davanti a sé, gridasse con tutta la sua squillante vocina: “Noooooooooo! Stupida, fatti baciare!” Ecco, le radici della mia educazione sentimentale, mi viene da pensare adesso.

Quando il film finì e si accesero le luci, qualche spettatore cercò di individuare la bambina, forse l’unica presente in sala, ma i miei giovani genitori erano stati lesti a condurmi verso l’uscita e se anche qualcuno commentò l’accaduto, non lo scoprimmo mai. Buon viaggio magnifico Connery, sento le cornamuse squillare alle porte del cielo, non certo le più quiete e classiche trombe.

 

La Cronaca 237, forse l’ultima in questa forma editoriale perché Facebook mi minaccia da settimane che oggi, 31 ottobre dell’anno senza Carnevale, è l’ultimo giorno in cui potrò pubblicare note. Quelle pregresse dovrebbero essere ancora visibili nella mia timeline, forse.

Le poesie sono mie e sono inedite, sbucate fuori dallo stesso riccio pomeridiano, come tre castagne lucide e grassocce.


Nessun commento: