I giardini
sono addormentati sotto una coltre di nebbia leggera, gli alberi sono ormai
indifferenti alle foglie che ancora resistono. Nel profondo dei rami, già
sentono il pizzicore delle foglie che saranno con la nuova stagione e non
hanno, gli alberi, tempo di crogiolarsi nella nostalgia come d’autunno
facciamo, noi umani.
Ecco, un pensiero in compagnia di uno sguardo che diventa, poi, immaginazione e poesia:
Nell’ultimo sole della stagione
Sotto una coltre di nebbia
leggera
dormono i nostri
giardini.
Gli alberi, sempre
vigili, non
accettano più
lamentazioni
dalle foglie
morenti. È
più forte il grido
delle foglie
che saranno e
gli alberi
non hanno tempo
per
crogiolarsi nella nostalgia
come se
fosse l’ultimo sole
della
stagione.
La città è
in bilico tra il silenzio e la fuga. Chi può è già partito, i negozi sono antri
di fantasmi e non ci sono bambini mascherati che attraversano il buio di
Halloween alla ricerca di dolcetti. Questa notte si aprirà la porta tra i mondi
e parleremo con i fantasmi, li vedremo apparire nella forma che hanno scelto:
Dove la notte respira la nebbia
È uno strappo tra la fuga
e questo
silenzio la mia
città.
Troppo pochi questi
umani per
fare rumore, non
ci sono
bambini che solcano
la notte per
accompagnarci
sino alle
soglie della porta
tra i mondi
che tra poco
si aprirà.
Parleremo con
loro, quelli
che non hanno
più voce e
forma, li vedremo,
ci
ascolteranno e berranno
il latte e
le castagne cotte
che abbiamo
preparato per
loro. Eterni
più del tempo e
vasti più
ancora di qualunque
immaginazione,
questa notte
respireranno
l’aria satura di
nebbia e
della nostra paura.
La vita
quotidiana non sempre ci consente di prestare attenzione alle piccole cose che
la rendono ricca e bella, nonostante tutto. In un piccolo vaso di vetro, mi
accompagna da giorni un’unica rosa bianca. La porto con me nelle stanze della
casa quando so che in ciascuna mi fermerò a lungo. In cucina allieta i miei
pasti e mi guarda perplessa, con il capo un po’ reclinato verso sinistra, io le
sorrido e continuo a compiere i gesti lenti di ogni pasto.
In soggiorno
la metto accanto al divano così da poterla guardare di tanto in tanto mentre
leggo o sbircio fuori dalla finestra e sussurro parole segrete al mio albero
bellissimo. Nello studio troneggia alla mia sinistra e permane nell’angolo del
mio occhio anche se non la guardo in faccia. Le risparmio bagno, ripostiglio e
camera da letto, luoghi che non si addicono a una rosa pudica e spesso
addormentata.
La rosa eterna di questa poesia
Una rosa è
una rosa, non importa
in quale stagione,
non importano
i sussurri
dei petali che cercano
risposte. Mi
accompagna, così,
quest’unica
rosa che sfiorisce
con grazia
giorno dopo giorno e
non chiede
altro che di essere
questa rosa,
proprio questa,
magnifica e
solitaria, immensa
nel mio
sguardo ed eterna, sì
eterna, in
questa poesia.
Il tempo e
la stagione mi inducono a movimenti lenti e passi guardinghi. Ho passeggiato un
po’ per il quartiere stamane, ma la maggior parte del tempo l’ho trascorsa in
casa a sistemare libri e vecchi manoscritti. Poi, nel pomeriggio mi raggiunge
la notizia della morte di Sean Connery, il mio attore preferito di sempre. Non
so quante volte ho visto i suoi film di 007, ricordo in particolare l’estate
del 1975 dove, con mio fratello ottenne, avevamo rivisto tutta la serie di
James Bond sino allora girata. Ma il vero aneddoto è un piccolo racconto familiare.
Intorno a metà degli anni Sessanta, credo fosse il 1965 e il film Operazione tuono, andai al cinema con i
miei genitori. Una volta si poteva andare al cinema molto presto, prendere d’assalto
le poltroncine e poi guardare il film anche due volte di fila, cosa che mi capitò
di fare. Quel giorno pare che io indossassi una gonnellina scozzese con le
calzine blu al ginocchio e certi scarponcini di pelle che adoravo. Avevo un
golfino rosa e nastri rosa che trattenevano i due codini alti ai lati della
testa. Una delle molte ragazze che popolavano questi film di avventura e
spionaggio, si sottrasse a un bacio dell’irresistibile agente segreto. Pare che
allora, la treenne coi codini balzasse in piedi sulla poltroncina e, aggrappata
allo schienale davanti a sé, gridasse con tutta la sua squillante vocina: “Noooooooooo!
Stupida, fatti baciare!” Ecco, le radici della mia educazione sentimentale, mi
viene da pensare adesso.
Quando il
film finì e si accesero le luci, qualche spettatore cercò di individuare la
bambina, forse l’unica presente in sala, ma i miei giovani genitori erano stati
lesti a condurmi verso l’uscita e se anche qualcuno commentò l’accaduto, non lo
scoprimmo mai. Buon viaggio magnifico Connery, sento le cornamuse squillare
alle porte del cielo, non certo le più quiete e classiche trombe.
La Cronaca
237, forse l’ultima in questa forma editoriale perché Facebook mi minaccia da
settimane che oggi, 31 ottobre dell’anno senza Carnevale, è l’ultimo giorno in
cui potrò pubblicare note. Quelle pregresse dovrebbero essere ancora visibili
nella mia timeline, forse.
Le poesie
sono mie e sono inedite, sbucate fuori dallo stesso riccio pomeridiano, come tre
castagne lucide e grassocce.
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