Ora che la straniera è arrivata nella Casa insieme ai primi freddi dell’autunno, non posso fare altro che accoglierla e preparare per lei una nuova stanza. Non è difficile perché la Casa si adatta ai suoi abitanti e la nuova torre è accessibile da una scala a spirale che a lei sembra piacere molto. In cima all’ultima rampa si apre un pianerottolo con tre porte. Lei sceglie subito quella a sinistra che è lo studio e mi fa segno di seguirla. La stanza è spoglia, gli ampi scaffali sono ancora vuoti, il tavolo è accanto alla finestra e girando lo sguardo di poco, si arriva sino alle Montagne della Nebbia da un lato e al nostro mare, dall’altro. Da una borsa che non avevo visto lei estrae qualche libro di cui riconosco le rilegature, sono libri che arrivano dalla Biblioteca di Babele e sono libri già letti molte volte. Poi appoggia sul tavolo matite colorate, una stilografica, penne e taccuini e mi porge una mela rossa, mentre le altre che tiene nella sua bisaccia le dispone sul tavolo in un piccolo vassoio di legno intagliato a mano. Io ricambio con una poesia scritta da Anna, dice di averla scritta stanotte dopo l’arrivo della straniera.
Si apre in un nuovo silenzio questa eternità
Il tempo è un ventaglio, apre e chiude
come vuole, porta il passato nel futuro
e il presente è quel soffio che sta al centro
della fiamma e muta senza sosta perché
il mutamento è la sua natura.
Ventaglio quanto sei ampio e mi
appari infinito, mentre scivolo sui
bordi e non mi fermo, avvolta dagli
istanti presenti che si riflettono
in specchi invisibili o solo sognati.
Poi è arrivato un giorno, questo
giorno, dove il ventaglio ha smesso
di aprire e chiudere e nel chiuso
della mia stanza, della mia cella,
scopro che non mi serve più
oscillare con il ventaglio e i suoi
inganni, perché uno spazio più
profondo e vasto si è aperto
in me e al contempo mi attraversa.
Ora che il tempo è finito, si
apre in un nuovo silenzio questa
eternità che mi aspettava e che
mai avevo intravisto e nella scala
discendente dei ricordi ora vedo.
Vedo i primi passi che mi hanno
portata a quello stesso giorno
in cui la felicità si mostrava
a un piccolo banco pieno dei
libri che andavo leggendo, che
un giorno io pure avrei scritto.
È facile capire, la riconosco questa donna che mi porta la me stessa di un’altra età e forse di una diversa dimensione dello spazio-tempo. Cosa faremo di questa vita che trascorreremo insieme? Mi rivelerà il suo vero nome? Avrà capito anche lei chi sono io?
Le parole sono ancelle del silenzio
Niente ti spaventa, niente si
lascia cadere nella tua stessa
caduta, perché i tempi si
guardano ma non si intrecciano
e insieme giocate sulle scale
del castello di Chambord.
Niente ti disturba ora che
hai visto la bambina che
legge e la madre che la tiene
nello sguardo e non cercano
il perdono, perché nulla di
male è accaduto, nulla potrà
mai accadere.
Nel doppio abbraccio che
moltiplica la spirale, dove
le parole sono solo ancelle
di questo silenzio che
accarezza il tuo respiro e
le nostre anime allacciate.
Sì, lo ha capito, possiamo tornare nella sala comune e stare a vedere cosa succede.
Il sabato del villaggio è un sabato del villaggio anche nel mondo globale. Il mattino si esce a fare colazione in pasticceria, a fare la spesa scegliendo con cura le verdure, i formaggi e il pane. Poi si passeggia, si schiva la pioggia, si torna nel nido e il tempo è di nuovo quel bambino che gioca, quell’uomo distratto che lascia cadere le foglie al suo passaggio.
Oggi è il terzo giorno di ottobre dell’anno senza Carnevale e la Cronaca 209 lo tiene ben saldo in mano.
Le poesie sono inedite, le ho scritte negli angoli di questa giornata piena, Santa Teresa de Avila, con il suo Nada Te Turbe, è apparsa dopo avere ascoltato un Magnificat cantato da Mina e le parole di filosofi che hanno declinato “il senso del possibile in sei variazioni”.
Nessun commento:
Posta un commento