Oggi ho
guardato poco fuori dalla finestra e non sono uscita prima del tramonto. Non ho
conosciuto la luce di questo giorno e non la conoscerò mai più. Affido alle
parole di Danilo Bramati, uno dei più grandi poeti italiani contemporanei, il
mio sentimento del buio.
Cime grigie
A mano a mano che il
giorno cala il paesaggio si
semplifica. Cancella alberi, scava ombre elementari, è
una terra più concisa.
La concisione è un grande pregio; ma dire meno,
meno ancora…
Lo spazio chiede silenzio. Tramonta. Guarda le
cime grigie, guarda le nubi che si disfano, gli strappi
scuri nella trama delle nuvole. Guarda la luce come li
riempie, come penetra nei vuoti…
La luce ama le carenze, i buchi neri che la attirano
nel buio.
L’oscurità
permette agli occhi di riposare e i miei occhi sono stanchi perché leggo e
scrivo almeno dodici ore al giorno.
Il buio della città è punteggiato dalle luci artificiali che segnano, come boe al largo, la presenza di noi umani: finestre illuminate, lampioni che imprimono luci gialle o bianche su una circonferenza che scivola dal marciapiede alla strada, le luci delle auto in movimento, il baluginare della brace di una sigaretta, la luminosità fastidiosa dei telefoni cellulari, le vetrine che ci offrono lo spettacolo dei negozi quasi sempre vuoti.
Il buio oltre la città si porta dietro uno strascico di puntini luminosi e quando arrivo alla Casa delle Parole, non ci sono altre luci che le sue finestre illuminate.
Al buio lo spazio è ancora più vasto e il silenzio più profondo. Non ci sono più i suoni allegri degli animali estivi e il giardino è ormai racchiuso su se stesso e sogna la stagione che verrà.
Tutti sogniamo la stagione che verrà, prima una lieve stagione invernale, un Natale tranquillo, libero dalla pandemia, un anno nuovo da festeggiare e un anno vecchio che nessuno rimpiangerà. Poi una primavera selvaggia che ci riporterà tutti alla vita.
Nel coro stonato di esperti e politici, tanto era forte il tono dominante dell’andrà tutto bene e in autunno avremo il vaccino e il virus sarà indebolito, tanto ora ci gridano che prima del 2021 o 2022 non ne saremo fuori.
Non mi azzardo a fare previsioni, i numeri, le statistiche e le corrette interpretazioni danno un senso a quel che sta accadendo. Penso però che dovremo stare attenti ancora per tanto tempo, non solo pochi mesi. Penso che le mascherine continueranno a fare parte del nostro abbigliamento e che indossarle è indice di buon senso e desiderio di non nuocere al prossimo.
Sono anch’io preoccupata per le conseguenze psicologiche nel medio e lungo termine su tutti noi. Ma credo anche che non dobbiamo mai dimenticare che noi umani siamo una specie resiliente e che le generazioni che ci hanno preceduto hanno dovuto subire e convivere con tragedie ancor più devastanti della nostra. Solo nel secolo scorso due guerre mondiali, l’epidemia di spagnola, il crack del 1929, il terrorismo e qui mi fermo.
È questa capacità di vivere il presente proiettandosi al contempo nel futuro che ci rende capaci di resistere e di rialzarci e continuare a vivere.
Tra i tanti esempi che potrei farvi, voglio citare solo la mia amica Paola, amante dei giardini e degli animali, una donna piena di talenti che ancora non ha pienamente manifestato e vissuto. L’altro giorno mi ha raccontato che ha fatto un lungo incontro con dei professionisti che allestiscono gelaterie e che ha fatto amicizia con una vicina della casa in campagna, una donna che coltiva 400 diverse specie di rose.
Non è meraviglioso sapere che esistono persone che pensano di aprire una gelateria – cioè gola, gelato, estate – e quelle rose di cui mai potrei imparare i nomi a memoria che crescono in un giardino segreto?
Sono certa che nel marasma di preoccupazioni e paura, ciascuno di noi abbia una gelateria e un roseto nascosti nel profondo del cuore.
Questa Cronaca 234 è figlia del buio precoce di questo mercoledì, ventottesimo giorno di ottobre dell’anno senza Carnevale.
La
poesia di Danilo Bramati è tratta dal libro Il fiore dell'assenza, Atì editore 2016.
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