Vivere ogni
giorno come se stessimo compiendo un destino o un’opera d’arte. Quali immagini
mi vengono in mente per dare corpo a questa idea?
La prima è quella di un lento e sapiente lavoro di cucito: scegliamo la stoffa, il modello, tagliamo, passiamo le marche, imbastiamo, proviamo, cuciamo, stiriamo e infine indossiamo questa giornata faticosa che ha portato molte preoccupazioni, pensieri tristi, molti nuovi ammalati e molti perduti per sempre, soprattutto tra gli anziani. Faccio fatica a scrivere la parola morte, non a pensarla, non a guardarla in faccia. Conosco moltissime persone che hanno perso uno o tutti e due i genitori o altri parenti quest’anno. Non è facile rassegnarsi alla perdita di chi amiamo, ma accade, accade ogni giorno e, prima o poi, a ciascuno di noi.
Vivere ogni giorno, un passo dietro l’altro, un respiro dietro l’altro. Prima del cucito c’è la tessitura, un’arte quasi completamente scomparsa che mi riporta alla mente Penelope e la sua tela infinita, gli arazzi medioevali, le donne che fino al secolo scorso tessevano in casa le stoffe necessarie alla vita quotidiana. Tra i miei cimeli di famiglia conservo un telo per materasso bianco e blu e alcune lenzuola tessute dalla nonna materna in Puglia durante gli anni Venti del secolo scorso.
Tessitura e cucito sono attività che la nostra civiltà da sempre assegna alle donne e che sono diventate arte dopo che i couturier e gli stilisti maschi le hanno portate alle luci della ribalta.
Vivere ogni giorno, un movimento dietro l’altro, le mani che modellano il vaso, che trasformano l’umile argilla in oggetti d’uso quotidiano. Conservo tra i cimeli due vasi e un’anfora modellati da zio Paolo, fratello del nonno materno, nel suo forno in Puglia.
Gli oggetti evocati da queste immaginazioni non sono opere d’arte, ma sono destinati all’uso quotidiano e arricchiscono la nostra giornata della semplice bellezza creata da mani sapienti e occhi curiosi.
Poi, come diceva Picasso, per un brivido improvviso ci scrolliamo di dosso la vita quotidiana e accade che:
“L’arte scuote dall’anima la polvere accumulata nella vita di tutti i
giorni.
L’artista è un ricettacolo di emozioni che vengono da ogni luogo: dal
cielo, dalla terra, da un pezzo di carta, da una forma di passaggio, da una
tela di ragno”.
O come
scriveva Pierre Hadot (vedi la Cronaca 222 del 16 ottobre 2020) proviamo un
“sentimento oceanico” e ci sentiamo parte di un tutto, nonostante la fatica e
le difficoltà.
La vita quotidiana e l’arte stanno, in apparenza, sulle rive opposte del fiume del tempo, ma non è così. Ha ragione Picasso nel rivendicare all’artista il ruolo di ricettacolo di emozioni e dunque di creatore. Ma senza la tessitura, il cucito, l’arte del vasaio, insieme alle mille altre cose che facciamo per vivere giorno dopo giorno, non vi sarebbe racconto possibile, non vi sarebbero le relazioni tra lo sguardo dell’artista con il cielo, le nuvole, lo sguardo di un passante, il vento d’autunno che ci scuote come foglie.
È sottile il margine che separa l’occhio dell’artista dall’occhio comune, è sottile ma solo l’artista lo possiede. Quando un dipinto, una poesia, un romanzo o una scultura sono compiuti e arrivano a noi è come se vedessimo, ascoltassimo e capissimo per la prima volta qualcosa che era già sotto i nostri occhi.
Rendere noto l’ignoto e visibile l’invisibile, questo ci donano gli artisti.
Ci fanno sentire soli nella moltitudine e accompagnati nella solitudine, anche in questi giorni di nuove paure e malinconie.
Questa sera vi saluto con una poesia di Ghiannis Ritsos che avevo già pubblicato nella Cronaca 14 del 22 marzo 2020.
L’altra città
Esistono molte
solitudini intersecate - dice - sopra e sotto
ed altre in mezzo;
diverse o simili, ineluttabili, imposte
o come scelte, come
libere - intersecate sempre.
Ma nel profondo, in
centro, esiste l'unica solitudine - dice;
una città sorda, quasi
sferica, senza alcuna
insegna luminosa
colorata, senza negozi, motociclette,
con una luce bianca,
vuota, caliginosa, interrotta
da bagliori di segnali
sconosciuti. In questa città
da anni dimorano i
poeti. Camminano senza far rumore, con
le
mani conserte,
ricordano vagamente
fatti dimenticati, parole, paesaggi,
questi consolatori del
mondo, i sempre sconsolati, braccati
dai cani, dagli uomini,
dalle tarme, dai topi, dalle stelle,
inseguiti
dalle loro stesse parole, dette o non dette.
Sono passati giusto sette mesi e la Cronaca odierna, di giovedì 22 ottobre dell’anno senza Carnevale, è la 228.
La citazione di Picasso è tratta dal libro Propos sur l’art, Gallimard 2000 e citata in esergo al volume L’arte in sei emozioni di Costantino D’Orazio, Editori Laterza 2018.
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