Una Cronaca
è ancor più cronaca se parla del tempo presente. Oggi Louise Glück ha vinto il
premio Nobel per la letteratura e mi fa molto piacere perché lei è una poetessa
straordinaria. Come quasi sempre accade con i vincitori, nel nostro panorama
letterario sono sconosciuti. Louise Glück credo sia nota solo nel piccolo mondo
dei poeti e dei lettori di poesia. Le uniche sue traduzioni italiane, entrambe
di Massimo Bacigalupo, sono Averno, pubblicato
da Libreria Dante&Descartes nel 2019 e L’Iris
selvatico da Giano nel 2003. Nel 2005, se non ricordo male, ho scritto
questa recensione uscita sulla rivista Poesia
di Crocetti Editore e con grande piacere vi propongo:
“Un
domestico, inaspettato paradiso terrestre accoglie il lettore dell’intensa
raccolta di liriche L’iris selvatico
della poetessa americana Louise Glück, magnificamente tradotta da Massimo
Bacigalupo che firma anche la postfazione. Il paesaggio è dunque un giardino
nella piena fioritura, l’io poetico una giardiniera affaccendata che se ne
prende cura. Uno scenario di quieta normalità che si anima subito della
disorientante voce dei fiori. È l’iris selvatico che ci chiama ad una comune
appartenenza di creature di questo mondo intermedio tra altri mondi
sconosciuti: “Tu che non ricordi / passaggio dall’altro mondo / ti dico che
seppi parlare di nuovo: tutto ciò / che ritorna dall’oblio ritorna / per
trovare una voce...”. Dunque, i fiori
sono portatori di un segreto che si rivela loro solo nella fioritura, e a noi
nella contemplazione. Nella sua domesticità questo giardino allude sia al
paradiso perduto, sia al giardino di un convento dove la cura sia parte di una
preghiera che l’anima assetata volge al creatore imprigionato nella distanza e
in un silenzio senza rimedio. Queste preghiere innalzate da una voce poetica,
che continua a cercare nonostante questo silenzio, sono Vespri e Mattutini che
si inseriscono virtuosamente tra i canti dei fiori. Fiori che nella
poetessa/giardiniera cercano una mediazione con il Dio nascosto che ci ha fatti
mortali. La poesia è anche volontà di salvare la bellezza e la caducità
dell’esistenza dall’oblio, senza cadere mai nella Glück in una tentazione
descrittiva che imprigioni la sua voce poetica in una piattezza senza
possibilità alcuna di redenzione. È il Trillium
a dare voce al dolore insito nell’atto stesso della creazione: “Pensa quanto
comprendo già. / Mi sono svegliato ignorante in una foresta; / un momento fa
...finché questa parola venne, finché sentii / pioggia scorrere da me.” Per chi
crede che la poesia possa e debba essere anche un uso non comune della lingua
comune, senza cadere in inutili giochi linguistici, questa raccolta offre una
ricchezza di interpretazioni davvero straordinaria. I fiori sanno molto più
degli uomini di quanto accade dentro e intorno a noi: il Lamium ci insegna che “Non tutte le cose vive richiedono / luce
nella stessa misura. Alcuni di noi / si fanno luce da soli…”; Il papavero rosso
parla come noi “Perché in verità / sto parlando ora / come fate voi. Parlo /
perché sono spezzato.” Il coro dei fiori che ha “solo il corpo per voce”
interloquisce, arringa, richiama la poetessa a una visione della vita e della poesia
che mai si fermi alle virtù dell’apparenza e alla semplicità del reale. Perché può
forse la poesia accettare di essere costretta nella boccia di vetro del reale
come fosse uno stanco pesce rosso d’allevamento? No che non può e sono questi
fiori a cantarcelo, queste preghiere laiche pronunciate da una voce rispettosa
che crede che “il senso dello scrivere” sia anche un tentativo di conquistare
tutto ciò che non è più, tutto ciò che vediamo e anche tutto ciò che non
vediamo e che in qualche modo si manifesta ai nostri sensi in maniera inusuale
e implausibile. Perché - ci suggerisce questo Dio dei fiori e dei poeti - “Se
apriste gli occhi / mi vedreste, vedreste / il vuoto del cielo / specchiato in
terra, i campi / di nuovo nudi, senza vita, coperti di neve…// poi luce bianca
/ non più travestita da materia.” … e infine “Perché vi avrei fatto se avessi /
voluto limitarmi / al segno ascendente, / la stella, il fuoco, la furia?”
Speriamo che
questo libro venga ripubblicato e che altre traduzioni seguano.
Ecco, adesso
me ne vado a zonzo con questi versi nel cuore:
“Non tutte le cose vive richiedono / luce nella stessa misura. Alcuni di noi / si fanno luce da soli”.
La Cronaca
214 racchiude e celebra giovedì 8 ottobre dell’anno senza Carnevale.
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