giovedì 8 ottobre 2020

Cronache dall’anno senza Carnevale/214: il segno ascendente, la stella, il fuoco, la furia?

 


Una Cronaca è ancor più cronaca se parla del tempo presente. Oggi Louise Glück ha vinto il premio Nobel per la letteratura e mi fa molto piacere perché lei è una poetessa straordinaria. Come quasi sempre accade con i vincitori, nel nostro panorama letterario sono sconosciuti. Louise Glück credo sia nota solo nel piccolo mondo dei poeti e dei lettori di poesia. Le uniche sue traduzioni italiane, entrambe di Massimo Bacigalupo, sono Averno, pubblicato da Libreria Dante&Descartes nel 2019 e L’Iris selvatico da Giano nel 2003. Nel 2005, se non ricordo male, ho scritto questa recensione uscita sulla rivista Poesia di Crocetti Editore e con grande piacere vi propongo:

 

“Un domestico, inaspettato paradiso terrestre accoglie il lettore dell’intensa raccolta di liriche L’iris selvatico della poetessa americana Louise Glück, magnificamente tradotta da Massimo Bacigalupo che firma anche la postfazione. Il paesaggio è dunque un giardino nella piena fioritura, l’io poetico una giardiniera affaccendata che se ne prende cura. Uno scenario di quieta normalità che si anima subito della disorientante voce dei fiori. È l’iris selvatico che ci chiama ad una comune appartenenza di creature di questo mondo intermedio tra altri mondi sconosciuti: “Tu che non ricordi / passaggio dall’altro mondo / ti dico che seppi parlare di nuovo: tutto ciò / che ritorna dall’oblio ritorna / per trovare una voce...”.  Dunque, i fiori sono portatori di un segreto che si rivela loro solo nella fioritura, e a noi nella contemplazione. Nella sua domesticità questo giardino allude sia al paradiso perduto, sia al giardino di un convento dove la cura sia parte di una preghiera che l’anima assetata volge al creatore imprigionato nella distanza e in un silenzio senza rimedio. Queste preghiere innalzate da una voce poetica, che continua a cercare nonostante questo silenzio, sono Vespri e Mattutini che si inseriscono virtuosamente tra i canti dei fiori. Fiori che nella poetessa/giardiniera cercano una mediazione con il Dio nascosto che ci ha fatti mortali. La poesia è anche volontà di salvare la bellezza e la caducità dell’esistenza dall’oblio, senza cadere mai nella Glück in una tentazione descrittiva che imprigioni la sua voce poetica in una piattezza senza possibilità alcuna di redenzione. È il Trillium a dare voce al dolore insito nell’atto stesso della creazione: “Pensa quanto comprendo già. / Mi sono svegliato ignorante in una foresta; / un momento fa ...finché questa parola venne, finché sentii / pioggia scorrere da me.” Per chi crede che la poesia possa e debba essere anche un uso non comune della lingua comune, senza cadere in inutili giochi linguistici, questa raccolta offre una ricchezza di interpretazioni davvero straordinaria. I fiori sanno molto più degli uomini di quanto accade dentro e intorno a noi: il Lamium ci insegna che “Non tutte le cose vive richiedono / luce nella stessa misura. Alcuni di noi / si fanno luce da soli…”; Il papavero rosso parla come noi “Perché in verità / sto parlando ora / come fate voi. Parlo / perché sono spezzato.” Il coro dei fiori che ha “solo il corpo per voce” interloquisce, arringa, richiama la poetessa a una visione della vita e della poesia che mai si fermi alle virtù dell’apparenza e alla semplicità del reale. Perché può forse la poesia accettare di essere costretta nella boccia di vetro del reale come fosse uno stanco pesce rosso d’allevamento? No che non può e sono questi fiori a cantarcelo, queste preghiere laiche pronunciate da una voce rispettosa che crede che “il senso dello scrivere” sia anche un tentativo di conquistare tutto ciò che non è più, tutto ciò che vediamo e anche tutto ciò che non vediamo e che in qualche modo si manifesta ai nostri sensi in maniera inusuale e implausibile. Perché - ci suggerisce questo Dio dei fiori e dei poeti - “Se apriste gli occhi / mi vedreste, vedreste / il vuoto del cielo / specchiato in terra, i campi / di nuovo nudi, senza vita, coperti di neve…// poi luce bianca / non più travestita da materia.” … e infine “Perché vi avrei fatto se avessi / voluto limitarmi / al segno ascendente, / la stella, il fuoco, la furia?”

 

Speriamo che questo libro venga ripubblicato e che altre traduzioni seguano.

 

Ecco, adesso me ne vado a zonzo con questi versi nel cuore:

“Non tutte le cose vive richiedono / luce nella stessa misura. Alcuni di noi / si fanno luce da soli”.

 

La Cronaca 214 racchiude e celebra giovedì 8 ottobre dell’anno senza Carnevale.

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