Ogni anno il
primo novembre, ricordo il primo novembre lontanissimo del mio sedicesimo anno.
La mia amica Loredana era venuta a studiare a casa mia, mi aveva fatto leggere
un suo bellissimo tema dedicato a Dante, avevamo chiacchierato a lungo e poi,
verso le diciotto, quando aveva deciso di tornare a casa, ci eravamo accorte
che una nebbia fittissima era scesa sulla città, anche se, all’epoca, non era
cosa rara vivere avvolti nella nebbia. Così l’avevo accompagnata sino a casa e
poi ero tornata sui miei passi che risuonavano ovattati e non avevo incontrato
nessuno. Respiravo l’aria fredda e umida e quell’odore particolare di nebbia
che solo la nebbia emana.
Questo ricordo si presenta uguale a se stesso anno dopo anno, della mia amica non so più nulla da tantissimo tempo, la nebbia scende sulla città ma non così fitta. Quella nebbia era uno degli elementi del fascino autunnale della città silenziosa, un po’ sì e un po’ no, e ci fa entrare in una dimensione onirica e dolce che moltiplica il piacere di starsene chiusi in casa. Anche se da tempo viviamo chiusi in casa e presto saremo di nuovo costretti a farlo.
Viviamo in una percezione del rischio e della malattia moltiplicata dagli echi mediatici, il virus è veramente molto contagioso, ma il tema più importante è la tenuta del sistema sanitario e più ancora, forse di medici e infermieri. E la tenuta fisica e psicologica di chi si ammala di altre patologie e ha un più difficile accesso alle cure per via della pandemia.
La massima prevenzione garantita dal distanziamento sociale continua a essere la strada più sensata anche se faticosa. Non è facile continuare a dare un senso a quanto accade se non abbiamo un orizzonte temporale dove la situazione potrebbe infine migliorare.
Così, per aiutarmi e farmi compagnia, rileggo L’altra poesia dei doni di Borges, tratta dalla raccolta L’altro, lo stesso:
Voglio
rendere grazie al divino
Labirinto
degli effetti e delle cause
Per la
diversità delle creature
Che
compongono questo singolare universo,
Per la
ragione, che non cesserà di sognare
Una mappa
del labirinto,
Per il viso
di Elena e la perseveranza di Ulisse,
Per l’amore,
che ci permette di vedere gli altri
Come li vede
la divinità,
Per il duro
diamante e l’acqua libera,
Per
l’algebra, palazzo di esatti cristalli,
Per le
mistiche monete di Angelus Silesius,
Per
Schopenhauer,
Che forse
decifrò l’universo,
Per lo
splendore del fuoco
Che nessun
essere umano può guardare senza un’antica meraviglia,
Per il
mogano, il cedro e il sandalo,
Per il pane
e il sale,
Per il
mistero della rosa
Che dona il
suo colore e non lo vede,
Per certe
vigilie e giornate del 1955,
Pei rudi mandriani
che nella pianura
Incitano le
bestie e l’alba,
Per il
mattino a Montevideo,
Per l’arte
dell’amicizia,
Per l’ultimo
giorno di Socrate,
Per le
parole dette in un crepuscolo
Dall’una all’altra
croce,
Per il sogno
dell’Islam che abbracciò
Mille e una
notte,
Per l’altro
sogno dell’inferno,
Della torre
del fuoco che purifica,
E delle
sfere gloriose,
Per
Swedenborg,
Che
conversava con gli angeli nelle vie di Londra,
Per i fiumi
segreti e immemorabili
Che confluiscono
in me,
Per l’idioma
che, secoli addietro, parlai in Northumbria,
Per la spada
e l’arpa dei sassoni,
Per il mare,
che è un deserto splendente
E un simbolo
di cose che ignoriamo,
Per la
musica verbale d’Inghilterra,
Per la
musica verbale di Germania,
Per l’oro,
che rifulge nei versi,
Per l’epico
inverno,
Per il nome
di un libro che non ho letto: Gesta Dei
per Francos
Per
Verlaine, innocente come gli uccelli,
Per il
prisma di cristallo e il peso di bronzo,
Per le strisce
della tigre,
Per le alte
torri di San Francisco e dell’isola di Manhattan
Per il
mattino nel Texas,
per il
sivigliano che scrisse l’Epistola Morale
E il cui
nome, come egli avrebbe preferito, ignoriamo,
per Seneca e
Lucano, di Cordova,
I quali
prima che lo spagnolo fosse scrissero
Tutta la
letteratura spagnola,
Per il
geometrico e bizzarro gioco degli scacchi,
Per la
tartaruga di Zenone e la mappa di Royce,
Per l’odore
medicinale degli eucalipti,
Per il
linguaggio, che può simulare la sapienza,
Per l’oblio,
che annienta o modifica il passato,
Per l’abitudine,
Che ci
ripete e ci conferma come uno specchio,
Per il
mattino, che ci dà l’illusione di un principio
Per la
notte, la sua tenebra e la sua astronomia,
Per il
coraggio e la felicità degli altri,
Per la
patria, sentita nei gelsomini
O in una
vecchia spada,
Per Whitman
e Francesco d’Assisi, che già scrissero la poesia,
Per il fatto
che la poesia è inesauribile
E si
confonde con la totalità degli esseri
E non giungerà
mai all’ultimo verso
E muta
secondo gli uomini,
Per Frances
Haslam, che chiese perdono ai suoi figli
Perché era
così lenta a morire,
Per i minuti
che precedono il sonno,
Per il sonno
e la morte,
Questi due
tesori segreti,
Per gli
intimi doni che non enumero,
Per la
musica, misteriosa forma del tempo.
Voglio iniziare
a scrivere la mia poesia dei doni e lo farò da domani. Oggi è il primo novembre
dell’anno senza Carnevale. La notte dell’apertura tra i mondi mi ha portato in
dono una cattedrale, la mia cattedrale, la cattedrale della città silenziosa e
il sogno di una rosa. La traduzione di Borges è di Domenico Porzio ed è tratta
dal secondo volume dei Meridiani Mondadori del 1985.
Nessun commento:
Posta un commento