Ogni stagione ha la sua
regina, pensiamo. L’autunno, invece, ha una moltitudine di regine e cavalieri
che danzano al suono di un rinnovato amore. Che cantano sulla soglia
dell’ultimo mutamento.
Danzano le foglie il valzer rosso del tramonto, cantano le foglie quel canto che non possiamo udire perché il nostro orecchio è sordo a quella melodia e ricettivo solo al brusio del mondo che si sta ritirando dal palcoscenico della realtà.
Scopriamo, così, che ogni movimento genera il suo doppio nel chiuso delle nostre case, osserviamo il
“crepuscolo autunnale:
da solo faccio visita
a un'altra solitudine”
La solitudine sotto i
vasti cieli della stagione bella è raddoppiata nei cieli squadrati, nascosti
negli angoli dei soffitti. Se abbiamo lasciato una solitudine languire sotto i
cespugli di mirto, in riva al mare, troveremo la solitudine gemella
accartocciata in fondo al divano.
In solitudine facciamo economia di parole e di sguardi, di voce e di sogni. Ma se lasciamo che le due solitudini si incontrino, se lasciamo che scoprano la pienezza del diventare un’unica solitudine, se smettiamo di avere paura, ecco che questa nuova solitudine stellata sboccia, se smettiamo di cercare presto avremo trovato e insieme si fonderanno le
“Ore arancioni, o rosa:
l'alba e la sera in autunno.
Le piccole foglie
gialle cadute dall'acacia formano sulla terra bruna tanti bagliori immobili,
muti, come specchi accesi”.
Le solitudini umane e quell’unica solitudine, luminosa, calda, nitida, sarà pronta per cercare non più la gemella, ma l’impronta precisa dell’amore.
Saranno specchi accesi anche gli occhi dei nuovi innamorati, saranno sillabe di un nuovo linguaggio i sospiri degli amanti. Le alcove offriranno riposo ai viandanti.
E anche noi ci fermeremo, almeno per oggi, ci fermeremo tra le città e le piazze, tra il silenzio e il sole. E poi affronteremo quello che verrà. Buono o cattivo il giorno nuovo sarà tutto da tessere, tutto da costruire.
E poi accenderemo il fuoco. E sentirò bussare alla mia porta. E saprò che sei ritornato.
La Cronaca 213 nasce il settimo giorno del mese di ottobre dell’anno senza Carnevale. La prima citazione è un haiku di Yosa Buson, in Haiku. Il fiore della poesia giapponese da Bashō all'Ottocento, a cura di Elena Dal Pra, Mondadori 1998. La seconda citazione è composta di alcuni versi di Philippe Jaccottet dell’ottobre 1975, tratti da Appunti per una semina. (Poesie e prose 1954-1994) e La semina (1971 e 1984), traduzione di Antonella Anedda, Fondazione Piazzolla 1994.
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