È la rosa che ti ha ascoltato e poi ti ha lasciato partire. La città era
ancora silenziosa e noi stavamo nelle case che erano tane, piegati su noi
stessi, spaventati e tristi.
Sei tornato e il coro delle cicale ti ha dato il benvenuto, anzi, ti ha
salutato come se tu ti fossi svegliato in questo nuovo giorno e non avessi
abbandonato né la città silenziosa né le terre dell’Altipiano.
Anche le nuvole sono venute a salutarti e ti hanno danzato intorno e ti
hanno ricoperto di piccoli sbaffi di vapore e qualcuna ha lasciato cadere
qualche goccia di pioggia per ritemprare le tue stesse rose.
Non poteva mancare il vento, complice delle nuvole, che ti ha sfiorato e
redento dalla lunga attesa. Niente tracce di polvere sulla tua poltrona in
giardino, niente foglie secche o rimpianti abbarbicati alla vite protesa verso
il sole.
Anche il giardino tratta il tuo ritorno come un evento di minima
importanza, ti saluta con improvvise fioriture del melograno e con l’oleandro
che muta il colore da rosa in bianco.
Il ruscello in fondo al giardino gorgoglia felice, le acque sono
trasparenti e i ciottoli sul fondo riflettono la luce, così che i pesci non
siano d’argento ma d’oro e nessun predatore dall’alto dei cieli oserà tuffarsi
a pescare.
Da quando sei tornato la luce danza con la polvere e mi sussurra storie
all’orecchio, basta che io immerga una mano e parole danzanti mi restano
impigliate come se fossi un pescatore e le storie, bè le storie, un banco di
alici che sfida i delfini.
Anche le api partecipano alla sarabanda e si rotolano nei fiori e
sfrecciano qua e là tra l’invisibile e il conosciuto, ci esortano a continuare
nel nostro cammino e ci portano miele e parole sino alla tavola e io dispongo
il pane e la carta bianca per accettare il loro nutrimento.
Abbiamo avuto la pazienza dei cammelli nel deserto, abbiamo perduto le
lettere che ti avevamo scritto. Ma tu conoscevi la strada e sei tornato.
Mondo, mondo che sei noi e oltre noi abbracci le distese stellate del
cielo notturno. Noi pure ti abbracciamo e sfioriamo il mare con dita leggere.
Nessuna ruga solcherà le onde e la tua fronte, nessun rimpianto, perché la
strada continuerà dal punto preciso in cui era iniziata la paura.
L’olivo e l’oleandro sono sopravvissuti al crollo del tempio ed essi
stessi sono la nuova cattedrale dove potrai fiorire nel silenzio e nel perdono.
Lì nello stesso luogo, dove la gioia è compagna della tua presenza e del
mio sorriso che apre un varco tra i tuoi pensieri.
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