mercoledì 29 luglio 2020

Cronache dall’anno senza Carnevale/143: fiorire nel silenzio e nel perdono, nella gioia restare


È la rosa che ti ha ascoltato e poi ti ha lasciato partire. La città era ancora silenziosa e noi stavamo nelle case che erano tane, piegati su noi stessi, spaventati e tristi.

Sei tornato e il coro delle cicale ti ha dato il benvenuto, anzi, ti ha salutato come se tu ti fossi svegliato in questo nuovo giorno e non avessi abbandonato né la città silenziosa né le terre dell’Altipiano.

Anche le nuvole sono venute a salutarti e ti hanno danzato intorno e ti hanno ricoperto di piccoli sbaffi di vapore e qualcuna ha lasciato cadere qualche goccia di pioggia per ritemprare le tue stesse rose.

Non poteva mancare il vento, complice delle nuvole, che ti ha sfiorato e redento dalla lunga attesa. Niente tracce di polvere sulla tua poltrona in giardino, niente foglie secche o rimpianti abbarbicati alla vite protesa verso il sole.

Anche il giardino tratta il tuo ritorno come un evento di minima importanza, ti saluta con improvvise fioriture del melograno e con l’oleandro che muta il colore da rosa in bianco.

Il ruscello in fondo al giardino gorgoglia felice, le acque sono trasparenti e i ciottoli sul fondo riflettono la luce, così che i pesci non siano d’argento ma d’oro e nessun predatore dall’alto dei cieli oserà tuffarsi a pescare.

Da quando sei tornato la luce danza con la polvere e mi sussurra storie all’orecchio, basta che io immerga una mano e parole danzanti mi restano impigliate come se fossi un pescatore e le storie, bè le storie, un banco di alici che sfida i delfini.

Anche le api partecipano alla sarabanda e si rotolano nei fiori e sfrecciano qua e là tra l’invisibile e il conosciuto, ci esortano a continuare nel nostro cammino e ci portano miele e parole sino alla tavola e io dispongo il pane e la carta bianca per accettare il loro nutrimento.

Abbiamo avuto la pazienza dei cammelli nel deserto, abbiamo perduto le lettere che ti avevamo scritto. Ma tu conoscevi la strada e sei tornato.

Mondo, mondo che sei noi e oltre noi abbracci le distese stellate del cielo notturno. Noi pure ti abbracciamo e sfioriamo il mare con dita leggere.

Nessuna ruga solcherà le onde e la tua fronte, nessun rimpianto, perché la strada continuerà dal punto preciso in cui era iniziata la paura.

L’olivo e l’oleandro sono sopravvissuti al crollo del tempio ed essi stessi sono la nuova cattedrale dove potrai fiorire nel silenzio e nel perdono.

Lì nello stesso luogo, dove la gioia è compagna della tua presenza e del mio sorriso che apre un varco tra i tuoi pensieri.

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