mercoledì 15 luglio 2020

Cronache dall’anno senza Carnevale/129: nel giusto della vita, nell'opera del mondo


Dietro una finestra chiusa, dietro una cortina di pioggia battente, questo il buongiorno nella città silenziosa.


Sono partita presto senza salutare nessuno, ho bisogno di distanza per guardare le terre ai piedi delle Montagne della Nebbia.

E ancora più distanza per pensare ai suoi abitanti, per rileggere le loro parole, per dare un senso a questo tempo così incerto.

Siamo passati dalla bolla della crescita continua e inevitabile, al tempo sospeso della pandemia e ora siamo in una nuova bolla di tempo, tempo dell’attesa perché non riusciamo a prefigurare cosa ci aspetta nell'autunno.

In qualche modo siamo tutti all'opera per dare testimonianza di ciò che è accaduto, le menti migliori riflettono, speculano, propongono soluzioni.

Nel chiuso dei loro laboratori scienziati sono alla ricerca di un vaccino, la tecnologia ha accelerato e chi fa lavori immateriali lavora da casa e in un istante può collegarsi con colleghi, clienti e fornitori. Solo cinque anni fa questo immenso disastro sarebbe stato ancora peggio, ma ora viviamo nelle nostre finestrelle delle chat, spesso con il video spento perché le linee non tengono o forse perché ormai preferiamo vivere con abiti che mai avremmo indossato per andare in ufficio.

Siamo più soli, più poveri, più disorientati, più affamati di vita, più folli, più motivati?

Ognuno di noi è un miscuglio tremendo di pensieri, ricordi, sensazioni, malinconie, speranze, paure, desiderio.

Nonostante la paura il desiderio non viene meno, è una caratteristica della nostra specie andare avanti mossi dal desiderio, da un futuro diverso, dal mito che domani sarà meglio di oggi e di ieri.

Ci siamo scoperti fragili, indifesi come i nostri antenati, sgomenti, addolorati. Ma abbiamo la speranza, abbiamo la gratitudine, quel “ringraziare desidero” alla Borges che per ciascuno di noi produce una lista diversa di ringraziamenti.

Mescolate le lettere dell’alfabeto, unitele in sillabe, nelle sillabe cercate le parole, nelle parole il senso, nel senso cercate un desiderio, nel desiderio un progetto.

Siamo fatti così, in bilico tra la nostalgia e il giorno che verrà. Questo è il nostro tormento, questa la nostra grazia.

La pioggia e le nuvole basse ci hanno rubato la bella estate vissuta tra il mare e il giardino, ma è solo un giorno, uno soltanto.

Saluto la pioggia ma non per lasciarla, la porterò con me sino alla mia terra immaginata, dove potrà bagnare i tuoi capelli e farti sorridere, dove il manto dei lupi in corsa nella brughiera scintillerà di piccole gocce, dove i fiori si apriranno per bere con avidità tutta quella luce che scende dal cielo, dove la pioggia diventerà acqua felice che scorre nel ruscello e nelle prossime poesie.

Quando apro la porta tutto il mio piccolo cenacolo è alle prese con la preparazione della cena. Mi chiedono dove sono stata, perché sono andata via, cosa ho portato con me dalla città silenziosa.

Apro la borsa con i molti doni: vino bianco fresco, è un Gewurztraminer, il Traminer aromatico, così adatto alla stagione estiva, albicocche, meloni, pesche, piccoli pomodori ovali, cetrioli, basilico, pane di forno a legna, trecce di mozzarella, olive greche. Ho portato tutte queste cose con me, perché ogni cosa che arriva dalla realtà qui si replica, la troviamo in dispensa e nel frigorifero senza doverci più preoccupare di fare la spesa.

Per questo non posso fare altro che continuare a vagare tra questo mondo e gli altri: realtà, ma non ce n’è una sola, memoria che immerge le mani negli archetipi dell’inconscio collettivo, immaginazione che sgorga dall’altrove dove abita la creatività, dai libri che leggiamo, da quelli che scriviamo.

Un regno a parte è quello della poesia, perché li contiene tutti gli altri regni e mondi.

Per questo posso inginocchiarmi nel prato, lasciare che la pioggia mi abbracci tutta e con parole non mie

“dico, prego: sia grazia essere qui,
grazie anche l'implorare a mani giunte,
stare a labbra serrate, ad occhi bassi
come chi aspetta la sentenza.
Sia grazia essere qui,
nel giusto della vita,
nell'opera del mondo. Sia così”.


E così sia nella sera piovosa di questa centoventinovesima Cronaca dall’Anno senza Carnevale, il primo di una nuova era, l’ultimo in bilico tra quel che è stato e quel che sarà.


I versi sono di Mario Luzi, il frammento finale di Augurio in Dal fondo delle campagne, Einaudi 1965, I Meridiani Mondadori 1998.

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