Dietro una finestra chiusa, dietro una cortina di pioggia battente,
questo il buongiorno nella città silenziosa.
Sono partita presto senza salutare nessuno, ho bisogno di distanza per
guardare le terre ai piedi delle Montagne della Nebbia.
E ancora più distanza per pensare ai suoi abitanti, per rileggere le loro
parole, per dare un senso a questo tempo così incerto.
Siamo passati dalla bolla della crescita continua e inevitabile, al tempo
sospeso della pandemia e ora siamo in una nuova bolla di tempo, tempo dell’attesa
perché non riusciamo a prefigurare cosa ci aspetta nell'autunno.
In qualche modo siamo tutti all'opera per dare testimonianza di ciò che è
accaduto, le menti migliori riflettono, speculano, propongono soluzioni.
Nel chiuso dei loro laboratori scienziati sono alla ricerca di un
vaccino, la tecnologia ha accelerato e chi fa lavori immateriali lavora da casa
e in un istante può collegarsi con colleghi, clienti e fornitori. Solo cinque
anni fa questo immenso disastro sarebbe stato ancora peggio, ma ora viviamo
nelle nostre finestrelle delle chat, spesso con il video spento perché le linee
non tengono o forse perché ormai preferiamo vivere con abiti che mai avremmo
indossato per andare in ufficio.
Siamo più soli, più poveri, più disorientati, più affamati di vita, più
folli, più motivati?
Ognuno di noi è un miscuglio tremendo di pensieri, ricordi, sensazioni,
malinconie, speranze, paure, desiderio.
Nonostante la paura il desiderio non viene meno, è una caratteristica
della nostra specie andare avanti mossi dal desiderio, da un futuro diverso,
dal mito che domani sarà meglio di oggi e di ieri.
Ci siamo scoperti fragili, indifesi come i nostri antenati, sgomenti,
addolorati. Ma abbiamo la speranza, abbiamo la gratitudine, quel “ringraziare
desidero” alla Borges che per ciascuno di noi produce una lista diversa di
ringraziamenti.
Mescolate le lettere dell’alfabeto, unitele in sillabe, nelle sillabe
cercate le parole, nelle parole il senso, nel senso cercate un desiderio, nel
desiderio un progetto.
Siamo fatti così, in bilico tra la nostalgia e il giorno che verrà. Questo
è il nostro tormento, questa la nostra grazia.
La pioggia e le nuvole basse ci hanno rubato la bella estate vissuta tra
il mare e il giardino, ma è solo un giorno, uno soltanto.
Saluto la pioggia ma non per lasciarla, la porterò con me sino alla mia
terra immaginata, dove potrà bagnare i tuoi capelli e farti sorridere, dove il
manto dei lupi in corsa nella brughiera scintillerà di piccole gocce, dove i
fiori si apriranno per bere con avidità tutta quella luce che scende dal cielo,
dove la pioggia diventerà acqua felice che scorre nel ruscello e nelle prossime
poesie.
Quando apro la porta tutto il mio piccolo cenacolo è alle prese con la preparazione
della cena. Mi chiedono dove sono stata, perché sono andata via, cosa ho
portato con me dalla città silenziosa.
Apro la borsa con i molti doni: vino bianco fresco, è un Gewurztraminer,
il Traminer aromatico, così adatto alla stagione estiva, albicocche, meloni,
pesche, piccoli pomodori ovali, cetrioli, basilico, pane di forno a legna,
trecce di mozzarella, olive greche. Ho portato tutte queste cose con me, perché
ogni cosa che arriva dalla realtà qui si replica, la troviamo in dispensa e nel
frigorifero senza doverci più preoccupare di fare la spesa.
Per questo non posso fare altro che continuare a vagare tra questo mondo
e gli altri: realtà, ma non ce n’è una sola, memoria che immerge le mani negli
archetipi dell’inconscio collettivo, immaginazione che sgorga dall’altrove dove
abita la creatività, dai libri che leggiamo, da quelli che scriviamo.
Un regno a parte è quello della poesia, perché li contiene tutti gli
altri regni e mondi.
Per questo posso inginocchiarmi nel prato, lasciare che la pioggia mi
abbracci tutta e con parole non mie
“dico, prego: sia grazia essere qui,
grazie anche l'implorare a mani giunte,
stare a labbra serrate, ad occhi bassi
come chi aspetta la sentenza.
Sia grazia essere qui,
nel giusto della vita,
nell'opera del mondo. Sia così”.
grazie anche l'implorare a mani giunte,
stare a labbra serrate, ad occhi bassi
come chi aspetta la sentenza.
Sia grazia essere qui,
nel giusto della vita,
nell'opera del mondo. Sia così”.
E così sia nella sera
piovosa di questa centoventinovesima Cronaca dall’Anno senza Carnevale, il
primo di una nuova era, l’ultimo in bilico tra quel che è stato e quel che
sarà.
I versi sono di Mario
Luzi, il frammento finale di Augurio
in Dal fondo delle campagne, Einaudi
1965, I Meridiani Mondadori 1998.
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