Vento largo e caldo.
Luce morbida e lunga sui
tetti.
Rondini in picchiata
riempiono d'allegria il cielo.
I ragazzini-gelsomini
sono sfioriti da giorni, ma al tramonto si schiudono in me e diffondono il loro
intenso profumo tutto intorno. E io passo davanti a quella cancellata chiudendo
gli occhi e affondando il viso nella fioritura.
Oggi è una domenica di
luglio, di questa strana stagione che non è iniziata e non finirà.
Godo di questa giornata
di tregua, del cielo smaltato, delle case che risplendono, dei visi degli
estranei che passeggiano e so che condividiamo lo stesso piacere.
Sul balcone che era di
mia madre continua la fioritura dei gerani rossi e rossa, delle ortensie dal colore
ancora incerto, delle ginestre dal giallo appena accennato, dei garofanini
rossi e altezzosi, dei piccoli cespugli di rose rosa, malva e rosse, del
basilico che profuma come l’estate intera, della menta già alta e vigorosa.
In giardino gli alberi
storpiati dalla potatura dissennata dell'anno passato - mi chiedo che
competenze avessero quei massacratori che hanno tagliato rami possenti e vecchi
di mezzo secolo - si sono presi la loro rivincita e le foglie nuove si stirano
pigre seguendo il vento nella sua danza.
Nel mio quartiere le due torri novecentesche svettano e mi riportano a un giugno di tre decenni fa, quando uscita dal cinema Zenit, che era dove ora c'è la Feltrinelli in piazza Piemonte, ero rimasta abbagliata dalla loro solennità di pietra che incideva l'azzurro del cielo e teneva sospesa una falce di luna e una stella proprio in cima ai tetti che si specchiavano uno nell'altro.
Dall’altro lato della
piazza, in lontananza, svettano le Tre Torri che sono belle, vuote di
impiegati, e poco in sintonia con il profilo di Milano.
I locali sono pieni di
gente che mangia e beve, chiacchiera e ride. Sui marciapiedi, però, sono rari i
passanti che girano senza mascherina.
Una tregua domenicale
per tutti gli abitanti della capitale del nord, per accogliere la settimana che
viene, la pandemia, il vuoto del centro città, la disoccupazione, il crollo del
turismo.
Ma questa sera voglio
pensare solo al profumo dei gelsomini per averne nostalgia quando la notte sarà
scesa e il sipario della luce sarà solo stella o lampione.
Così niente Montagne della Nebbia, niente
mare, niente amici della Casa delle Parole, così ritrovo una poesia scritta
molte, molte estati fa.
La città
in bilico
nella mia città non troverete
panni alle finestre stesi
né svolte improvvise sul mare
lucido di sole o su una valle
ampia di nuvole
nella mia città non vedrete
santi o pellegrini
camminare in ginocchio
non lamenti udrete o grazie
all’unico dio tra gli dei
nella mia città non c’è orizzonte
e un giorno al mese
oriente si scambia di posto
con occidente
tanto la luce è uguale alla
stessa luce
nella mia città ci siamo solo noi
ancora intenti a camminare
in bilico sul fiume nascosto
inghiottito dalle case.
A volte è piacevole anche restare
dall’altro lato dell’immaginazione, ben ancorati al pianeta e camminare in
punta di piedi sulle stelle rovesciate che hai seminato al tuo passaggio.
La città in bilico è tratta dalla mia prima raccolta poetica Il calvario della rosa, Moretti&Vitali Editori, 2004
Nessun commento:
Posta un commento