domenica 19 luglio 2020

Cronache dall’anno senza Carnevale/133: un giorno di tregua domenicale, la poesia di una città


Vento largo e caldo. 

Luce morbida e lunga sui tetti.

Rondini in picchiata riempiono d'allegria il cielo.

I ragazzini-gelsomini sono sfioriti da giorni, ma al tramonto si schiudono in me e diffondono il loro intenso profumo tutto intorno. E io passo davanti a quella cancellata chiudendo gli occhi e affondando il viso nella fioritura.

Oggi è una domenica di luglio, di questa strana stagione che non è iniziata e non finirà.

Godo di questa giornata di tregua, del cielo smaltato, delle case che risplendono, dei visi degli estranei che passeggiano e so che condividiamo lo stesso piacere.

Sul balcone che era di mia madre continua la fioritura dei gerani rossi e rossa, delle ortensie dal colore ancora incerto, delle ginestre dal giallo appena accennato, dei garofanini rossi e altezzosi, dei piccoli cespugli di rose rosa, malva e rosse, del basilico che profuma come l’estate intera, della menta già alta e vigorosa.

In giardino gli alberi storpiati dalla potatura dissennata dell'anno passato - mi chiedo che competenze avessero quei massacratori che hanno tagliato rami possenti e vecchi di mezzo secolo - si sono presi la loro rivincita e le foglie nuove si stirano pigre seguendo il vento nella sua danza. 

Nel mio quartiere le due torri novecentesche svettano e mi riportano a un giugno di tre decenni fa, quando uscita dal cinema Zenit, che era dove ora c'è la Feltrinelli in piazza Piemonte, ero rimasta abbagliata dalla loro solennità di pietra che incideva l'azzurro del cielo e teneva sospesa una falce di luna e una stella proprio in cima ai tetti che si specchiavano uno nell'altro.

Dall’altro lato della piazza, in lontananza, svettano le Tre Torri che sono belle, vuote di impiegati, e poco in sintonia con il profilo di Milano.

I locali sono pieni di gente che mangia e beve, chiacchiera e ride. Sui marciapiedi, però, sono rari i passanti che girano senza mascherina.

Una tregua domenicale per tutti gli abitanti della capitale del nord, per accogliere la settimana che viene, la pandemia, il vuoto del centro città, la disoccupazione, il crollo del turismo.

Ma questa sera voglio pensare solo al profumo dei gelsomini per averne nostalgia quando la notte sarà scesa e il sipario della luce sarà solo stella o lampione.

Così niente Montagne della Nebbia, niente mare, niente amici della Casa delle Parole, così ritrovo una poesia scritta molte, molte estati fa.



La città in bilico

nella mia città non troverete
panni alle finestre stesi
né svolte improvvise sul mare
lucido di sole o su una valle
ampia di nuvole

nella mia città non vedrete
santi o pellegrini
camminare in ginocchio
non lamenti udrete o grazie
all’unico dio tra gli dei

nella mia città non c’è orizzonte
e un giorno al mese
oriente si scambia di posto
con occidente
tanto la luce è uguale alla
stessa luce

nella mia città ci siamo solo noi
ancora intenti a camminare
in bilico sul fiume nascosto
inghiottito dalle case.



A volte è piacevole anche restare dall’altro lato dell’immaginazione, ben ancorati al pianeta e camminare in punta di piedi sulle stelle rovesciate che hai seminato al tuo passaggio.



La città in bilico è tratta dalla mia prima raccolta poetica Il calvario della rosa, Moretti&Vitali Editori, 2004


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