martedì 7 luglio 2020

Cronache dall’anno senza Carnevale/121: della luce stupefatta del plenilunio, del maniero al mattino, sulla strada cancellata dal sole a mezzogiorno

Tutta la vita che vivo nella città non più silenziosa e ormai priva di gelsomini, si riflette nella vita degli abitanti di tutte le case che sono apparse ai piedi delle Montagne della Nebbia. Ogni volta che torno di qua porto con me un poeta o uno scrittore e la sua opera. Perché lo faccio? Per riflettere sulla mia vita da lettrice, per condividere le mie passioni poetiche e letterarie, per ampliare la biblioteca della Casa delle Parole, per gustare la bellezza delle lingue, l’etimologia delle parole, i ricordi, le storie, i paesaggi, le metafore. Oggi ho portato con me le poesie e le prose di Vittorio Sereni che ha accompagnato la mattina passata in giardino e l’incandescente incontro con la luce verticale dello zenit.


Incontro

Come un rosaio,
un vortice d’ombra e di vampe
che mi fioriva d’intorno
sulla strada cancellata dal sole
a mezzogiorno.


Quella strada cancellata la conosciamo molto bene e non ci importa l’intensità della luce perché sappiamo percorrerla a memoria. C’è una domanda, non mia, che mi tormenta e che giro ai miei coinquilini insieme a una possibile risposta: “Di che cosa soffri? Dell’irreale intatto dentro il reale devastato”.

Permanenza

Di che cosa soffri? Come se si svegliasse nella casa senza rumore l’ascendente di un volto che uno specchio agro avesse raggelato. Come se, abbassata su un piatto cieco la lampada e il suo bagliore, la vecchia mensa coi frutti tu sollevassi alla gola serrata. Come se rivivessi le tue fughe nel vapore del mattino incontro alla rivolta tanto amata, lei che meglio di ogni tenerezza ha potuto assisterti e educarti. Come se tu murassi, mentre il tuo amore dorme, il portale sovrano e la via che vi penetra. Di che cosa soffri? Dell’irreale intatto dentro il reale devastato. Dei loro meandri avventurosi cerchiati di richiami e di sangue. Di quanto fu scelto e non toccato, dalla sponda del balzo alla proda raggiunta, del presente irriflesso che scompare. Di una stella che si è accostata, folle, e sta per morire prima di me.


Ecco che il sole porta in sé il ricordo dell’ultima pioggia che ci ha sconquassati la settimana scorsa e che forse ritornerà questa sera.


Anni dopo

La splendida la delirante pioggia s’è quietata,

con le rade ci bacia ultime stille.
Ritornati all’aperto
amore m’è accanto e amicizia.
E quello, che fino a poco fa quasi implorava,
dall'abbuiato portico brusìo
romba alle spalle ora, rompe dal mio passato:
volti non mutati saranno, risaputi,
di vecchia aria in essi oggi rappresa.
Anche i nostri, fra quelli, di una volta?
Dunque ti prego non voltarti amore
e tu resta e difendici amicizia.


Sì, l’amicizia ci soccorre e ci difende, nell’intreccio di voci e rimandi, nella confusione generata dalla lettura collettiva di questi testi, e mi rendo conto che è una e una soltanto la voce che andiamo cercando, quella che ci corrisponde.



Via Scarlatti

Con non altri che te
è il colloquio.
Non lunga tra due golfi di clamore
va, tutta case, la via;
ma l’apre d’un tratto uno squarcio
ove irrompono sparuti
monelli e forse il sole a primavera.
Adesso dentro lei par sempre sera.
Oltre anche più s’abbuia,
è cenere e fumo la via.
Ma i volti i volti non so dire:
ombra più ombra di fatica e d’ira.
A quella pena irride
uno scatto di tacchi adolescenti,
l’improvviso sgolarsi d’un duetto
d’opera a un accorso capannello.

E qui t’aspetto.


Ma mentre aspettiamo è la memoria a venirci incontro e a elencare quello che abbiamo condiviso.


Antica memoria
a Jean Bazaine. 19-20 gennaio 1957


La fronte ormai contro la pietra
di mille anni mi rammento.
Della giovane Francia accucciata sulle colline
della zuppa densa e delle pozze dormienti
dei coltivi racchiusi dentro il cuore dei boschi
delle prime vendemmie e dei nuovi promossi
della luce stupefatta del plenilunio
del maniero al mattino e della fattoria
delle pere a spalliera e dei vivai senza stento
dei corvi in pattuglia e del loro spavento
del fuoco guizzante della vergine vinta
della neve sui rovi dove si sprofonda
delle albe argute e dei tramonti sfatti
del sole che grande la montagna rinverde
del lungo coraggio dei nonni
della finezza del legno lavorato
delle abdicazioni e dell’onore
della morte antichissima
del quotidiano dolore
dell’amaro d’amore
della felicità che stinge
di te di me non più che poco, niente.


In tutti questi giorni di amicizia e di amore stiamo tessendo conversazioni e relazioni, scavando solchi nei sentieri del bosco e sulla spiaggia. Ciò che siamo, ciò che diciamo, tutto resterà nell’istante eterno che ci viene incontro.

Buona notte a voi miei amici e lettori. Qui una serata di vento e profumi ci avvolge, dopo una giornata di vento e desideri. A domani.



Le poesie di questa Cronaca 121 sono di Vittorio Sereni.

Incontro fa parte della raccolta Frontiera, Mondadori 1941.
Anni dopo fa parte della raccolta Gli strumenti umani, Einaudi 1965
Permanenza è una traduzione da René Char.
Ancienne mémoire è una traduzione da René Frénaud.
Entrambe le poesie fanno parte del volume Il musicante di Saint-Merry e altri versi tradotti, Einaudi, 1981.
Tutti i testi sono pubblicati nel volume Vittorio Sereni. Poesie e Prose, Mondadori 2013

Di seguito gli originali francesi dei testi tradotti.


Rémanence
De quoi souffres-tu? Comme si s’éveillait dans la maison sans bruit l’ascendant d’un visage qu’un aigre miroir semblait avoir figé. Comme si, la haute lampe et son éclat abaissés sur une assiette aveugle, tu soulevais vers ta gorge serrée la table ancienne avec ses fruits. Comme si tu revivais tes fugues dans la vapeur du matin à la rencontre de la révolte tant chérie, elle qui sut, mieux que toute tendresse, te secourir et t’élever. Comme si tu condamnais, tandis que ton amour dort, le portail souverain et le chemin qui y conduit. De quoi souffres-tu? De l’irréel intact dans le réel dévasté. De leurs détours aventureux cerclés d’appels et de sang. De ce qui fut choisi et ne fut pas touché, de la rive du bond au rivage gagné, du présent irréfléchi qui
disparaît. D’une étoile qui s’est, la folle, rapprochée et qui va mourir avant moi.


Ancienne Mémoire
à Jean Bazaine - 19-20 janvier 1957

Déjà le front contre la pierre
de mille années je me souviens.
De la France jeune juchée sut les collines
de la soupe épaisse et des creux d’eau dormante
des cultures enclavées dans les forêts approfondies
des premières vendanges et des nouveaux promus
de la lumière étonnée de la lune pleine
de l’éclat matinal du manoir et de la métairie
des poires en espalier et des viviers sans nulle peine
des corbeaux patrouillant et de leurs cris d’effroi
du feu qui s’envolait de la vierge vaincue
de la neige sur les épines où l’on s’enfonce
des aubes malicieuses et des couchants salis
du grand soleil reverdissant la montagne
du long courage des grands-parents
de la finesse du bois travaillé
des abdications et de l’honneur
de la mort très ancienne
de la douleur quotidienne
de l’amour amer
du bonheur pâli
de toi de moi si peu que rien.


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