giovedì 9 luglio 2020

Cronache dall’anno senza Carnevale/123: una lingua nuova di sillabe e di luce


Il giardino delle ultime cose è lo specchio del giardino delle prime cose. O volte, o impressioni, o movimenti.

Nel giardino delle ultime cose si trovano sempre le immagini dell’ultima volta che abbiamo incontrato una persona cara, se andiamo a cercare nel giardino delle prime cose sì, sarà proprio la prima volta, proprio quella che troveremo.

Sono andata nel giardino a cercare mia madre, non sono riuscita a scegliere tra tutte le ultime volte quella che mi è più cara. Ma poi mi sono fermata a guardarla mentre era ferma sull'Alzaia del Naviglio Grande e non diceva nulla, i suoi pensieri fluivano in accordo con l’acqua e i suoi occhi erano celati da un paio di occhiali scuri che poi non avrebbe mai più usato.

Tra le prime cose ho trovato un ricordo che è un’immaginazione, o forse un ricordo vero, della prima volta che ci siamo guardate negli occhi: una neonata piena di capelli neri, una giovane donna con i capelli raccolti che guardava la sua primogenita e rideva nel cuore. Una volta mi ha raccontato che da quando ero nata io, aveva smesso di avere paura e si sentiva come una tigre.

La maggior parte delle immagini, degli episodi, delle persone che stanno nel giardino delle prime cose stanno anche nel giardino delle ultime cose. I pesi si bilanciano, la bambina si rispecchia nella vecchia, la rosa appena sbocciata nel gambo adornato solo di spine, il fiore di ciliegio prima in un frutto maturo e poi in un nocciolo caduto nel terreno e che germinerà, anche se ancora non lo sappiamo.

Arriverà un momento in cui i due piatti della bilancia saranno quasi in perfetto equilibrio, ma una cosa resterà per sempre ed è l’ultima volta in cui qualcosa o qualcuno saranno per la prima volta.


Una lingua nuova di sillabe e di luce

Mi muovo a piccoli passi per non
svegliare i girasoli e mi piace
vedere quanto è affollato il mio
giardino.
Chiedo alle api dove vanno a riposare,
mi rispondono con un ronzio che non
conosco, è una voce diversa che cerca
il controcanto del vento che io non
capisco.
Dovrò imparare una lingua nuova,
non solo di sillabe ma anche di luce
e pensiero.
Mi sdraio nel campo di grano che sta
per essere mietuto e saluto le spighe,
i papaveri e i fiordalisi.
Tornerà l’estate e ci ritroveremo più
rossi o più incanutiti. L’ape non teme
la pioggia, ma la nostra distrazione,
il nostro svagato andare senza più
riconoscerla nome per nome.


È grande lo struggimento del giardino perché sa che un giorno i nostri passi saranno solo ombre e il volo delle api un fruscio nell'aria.

Ma oggi che importa? Gioco con i lupi, corriamo tra le spighe, mi dimentico gli anni e il tempo, ritrovo nel giardino le corse della bambina scatenata, le fughe, la palla lanciata, i salti per imparare a volare.


Una parola appesa tra un verso e un’intenzione

Un bambino sta in braccio a sua madre,
passano uomini in divisa sotto la sua
finestra, passano navi e marinai negli
anni a venire, passa il tempo necessario
sino al tempo dovuto, quello in cui tutti
i fili si ricongiungono a formare una matassa
che ha i colori del suo giardino.
Anche il tempo si è piegato al nuovo
desiderio, gli occhi scintillano verdi nello
specchio del prato. Il taccuino scivola di
lato e una parola resta appesa tra un verso e
un’intenzione.


Il misterioso architetto ci ha letto questa poesia e io vorrei che anche gli altri lo facessero. Chiedo a tutti gli abitanti di questa terra ai piedi delle Montagne della Nebbia di scrivere una poesia dedicata al giardino, reale, immaginario o ricordato.

Prosegue la sacerdotessa, dopo essersi liberata dei numerosi veli che l’avvolgono e che seguono i colori della stagione e del luogo dove sta vivendo.


Un luogo di pace e di bellezza

Ti ascolto vento, ti ascolto mare e
vi chiedo di accompagnarmi con
il vostro suono fino in fondo al mio
giardino. Laggiù abitano fiori di cui
so il nome, spighe sfuggite al campo,
piccole farfalle dal dorso dorato e
le api che ci accolgono per profumare
di sale il miele troppo dolce dell’attesa.
Ritorneremo anno dopo anno? La risposta
è nota, ogni stagione si prepara in quella
che la precede e tutte insieme saranno
l’abito di fiori e nuvole che adornerà
la nostra memoria. Avete sentito il riso
dei bambini coprire la pioggia ieri
mattina? Scegliete, scegliete me per
restare in questo luogo dove bellezza e
pace sono la stessa cosa.



Ecco, in tre abbiamo letto la nostra poesia, gli altri stanno ancora scrivendo, il pomeriggio risplende nella luce matura delle ore, un velo della sacerdotessa vola via, strappato dal vento. Lei non si muove, non lo rincorre, tutti insieme lo vediamo scivolare nel cielo e mutarsi in nuvola.


Questa Cronaca 123 è nata intorno a queste tre poesie inedite scritte in questa estate dell’anno senza Carnevale.

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