Viviamo di impressioni
e ricordi, ricordiamo quel che ci ha impressionato, così la vita è la trama
quotidiana degli istanti vissuti, di quelli ricordati, di quelli immaginati.
Questa tessitura non è fine a se stessa perché fino a che le immagini, tutte le
immagini, non entrano nell'arazzo di cui le parole sono ordito, non abbiamo
un quadro coerente che dia senso al nostro vissuto.
Conveniamo su questo
sistema che dà forma e senso al mondo e ciascuno porta un frammento, una
citazione, una poesia che possano rendere memorabile la nostra domenica
d’estate. Il mattino è passato tra passeggiate, corse in riva al mare, nuotate
e giochi con la palla, dove i bambini che siamo stati hanno preso il
sopravvento e, liberi, hanno giocato.
Ora che è pomeriggio, la
brezza marina ha cullato la nostra siesta e reso dolce il risveglio. Sulla
tavola in veranda brocche di acqua fresca con limone e menta, ciotole piene di
ghiaccio su cui riposano ciotole più piccole colme di cubetti di melone,
anguria, pesca e fragole. Le albicocche e le ciliegie sono scampate alle manie
geometriche della regina e tutto l’insieme dei colori, i rossi, i gialli, gli
arancioni, rendono giustizia all’estate e al sistema solare nel quale
rotoliamo, grati delle stagioni, di questa stagione, soprattutto.
La prima lettura è un
frammento di Albert Camus:
“Fiotti di sole caduti
dal sommo del cielo rimbalzano brutalmente sulla campagna intorno a noi. Tutto
tace davanti a questo tumulto e il Lubéron, laggiù, è soltanto un enorme blocco
di silenzio che io ascolto senza tregua. Tendo l'orecchio, di lontano corrono
verso di me, mi chiamano invisibili amici, la mia gioia aumenta, la stessa di
molti anni fa. Un felice enigma mi aiuta di nuovo a capire tutto. Dove sta
l'assurdità del mondo? È questo splendore o il ricordo della sua assenza?”
Lo splendore dell’assenza,
lo splendore del ricordo, ritorniamo sempre nei luoghi che ci hanno segnato
anche solo scrivendo una poesia. Ma qui, oggi, vi porto una voce nuova che
ancora non ho ospitato nelle Cronache ma che sta nel mio piccolo Olimpo della
poesia contemporanea, ed è la voce di Camilla Miglio.
Bassa marea
La
linea dei pini
ci
ha cavati dall'onda abolita,
e
intanto la diomedea tace
mimando
la Murgia, non più marina.
L’altopiano
è quasi una faglia
spartita
tra grano e zolle
mentre
l’eucalipto
sorprende
un
pianto, lo raccoglie
sognandosi
in rosa di salice.
Il
canale del vento
s’incide
nella ruga dei mulini
di
un paese
che
non conosce acqua
ma nel tempo è una
fonte.
La fanciulla divina è
tornata dalla madre nel colmo della stagione. Per questo la madre concede alla
terra di darci tutti questi frutti. Perché la madre non può stare senza la
figlia? Qual è la storia dietro la storia?
Kore
Sguardo di rondine
dal ramo.
Vestita di lino, bianca,
ma senza Demetra.
Arde dentro, il corpo
ma freddo risplende.
Fuori c’è il mare di Otranto.
Al quel mare torna la
fanciulla che pensa al principe rinchiuso a forgiare nel sottosuolo.
Al principe dei gigli (da Goethe)
In
mille forme potrai pure nasconderti
di
tutti mio più amato, ti riconosco subito.
Vestiti
pure col vento e con l’anello
in
tutto tu presente, ti riconosco subito.
Nello
slancio disperato del cipresso
tutto
azzurro sei cresciuto, ti riconosco subito.
Nel
continuo ondeggiare del mio mare
tutta
roccia sgranata, e io ti riconosco.
Nella
marea che sale e poi dilaga
tutto
movimento in un riflesso, e io ti
riconosco.
Se la
nube prende forma e poi la perde
tutto
orma sei nel labirinto, e io ti riconosco.
Sul
tappeto fiorito del tuo dono,
tutto
danza di stella, io ti riconosco.
E se
con mille braccia l’edera dirama
tutti
accogli tu, e per questo ti conosco.
Quando
sul monte s’illumina il mattino
tutto
saluti tu, e io ti saluto ancora.
E
quando su di me s’inarca il cielo,
tutto
tu attraversi, e poi io ti respiro.
Quello
che apprendono i miei sensi dentro e fuori
tutto racconti a me, e da
te l’apprendo io.
E
quando dell’anima pronuncio i cento nomi,
in tutti segue in eco il
nome tuo.
Il misterioso architetto
legge poi una poesia che lo riporta nelle sue terre d’oltremare e mitiga la
nostalgia.
L’art des femmes
berbères
Ti offro il mio tappeto
dell’Antiatlante rosso,
geometrica neolitica
figura per vasi
cotti chiari e scuri, per
tappeti, per tessuti,
identici a quelli di
Gnathia.
Una lunga strada di
migrazioni
avanti e indietro nel Mare
di Mezzo
migliaia di anni di mano
in mano
affidata a dita che
maneggiano
fili, colori con fiori
pestati,
segrete miscele di
cardamomo
e zafferano, rosa del
deserto
e lapislazzulo,
azzurrissimo,
per tessere copricapo
sottili
all'uomo dagli occhi
lunghi tuo sposo:
Potrebbe essere greco o
marocchino
Levante in occidente,
Atlante in Tesprozia.
Tutto è vero nel grande
castello di Atlante
che è il mio tappeto.
Il tappeto di Camilla è
intessuto di parole e narrazioni sognate prima ancora che scritte.
Lancio di dadi sull’acqua
C’era una tavola come
apparecchiata, ma per terra.
Parevano scodelle quei
fogli scritti e fitti
mezzo strappati da una
tovaglia di carta –
“Avremo scritto il nostro
sogno, avremo sognato il nostro scrivere”
C’erano
come dadi sulle carte sgranate,
ma erano i ciottoli del
Mar Nero
improvvisamente lanciati
sulle nostre vite –
“Abbiamo seminato? Fiori.
Raccoglieremo? Fogli”
“Avremo raccolto ancora
ciottoli, ma chi potrà crederci”
Sulla carta apparecchiata
quasi una mappa confusa
tra pesci pane e un
ricordo di vino.
C’era stata una fiamma, e
intorno una tavola
come apparecchiata sullo
scoglio
cancellata dalla sabbia e
solo dopo secoli riemersa
sul fondo di un fiume
essiccato.
Eravamo morti da tempo
e si parlava nel vento
“Vorrei rinascere per
amarti in qualche forma”
“Ma tu
lo sai, avremmo forme strane e imperscrutabili –”
“In mille forme potrai
pure nasconderti, ti riconosco subito”
“In mille forme, e ancora
ti respiro”
la brezza aveva spento
ogni lume,
e non avremmo saputo più
dire
se eravamo ancora anime
antiche
o forse bambini con piedi
piccoli
nelle pozze dello scoglio,
attenti a non farci ferire
dai granchi e dal vetro.
Dopo le letture abbiamo
ripreso a camminare sulla spiaggia e ho visto le impronte di quei piccoli piedi
accanto a una pozza dove due granchi sonnecchiavano.
Camilla è qui con noi,
anche se sta scrivendo un nuovo libro, una forza della natura, una grande
madre, una voce poetica che attinge alla grande poesia tedesca, alla Grecia e
alla sua lingua antica, al mare che bagna la Puglia, all'amore per le persone e
per i libri. Lei è l’estate incarnata, la dea dei frutti, la dea della stagione
più lunga e colorata.
Tutte le poesie di questa
Cronaca 119 sono di Camilla Miglio, poetessa, germanista, traduttrice e studiosa di Paul Celan e Ingeborg Bachmann.
L’art des femmes berbères è
inedita e appartiene alla raccolta Stagioni
di Kore, che spero Camilla vorrà pubblicare quest’anno.
Le altre poesie sono tratte
dal volume Maree, Atì editore 2010
La citazione di Albert
Camus è tratta da L'enigma in L'estate. Opere - Romanzi, racconti, saggi a cura e con introduzione di Roger
Grenier, traduzione di Sergio Morando, Classici Bompiani 1988
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