domenica 5 luglio 2020

Cronache dall’anno senza Carnevale/119: avremo scritto il nostro sogno, avremo sognato il nostro scrivere


Viviamo di impressioni e ricordi, ricordiamo quel che ci ha impressionato, così la vita è la trama quotidiana degli istanti vissuti, di quelli ricordati, di quelli immaginati. Questa tessitura non è fine a se stessa perché fino a che le immagini, tutte le immagini, non entrano nell'arazzo di cui le parole sono ordito, non abbiamo un quadro coerente che dia senso al nostro vissuto.

Conveniamo su questo sistema che dà forma e senso al mondo e ciascuno porta un frammento, una citazione, una poesia che possano rendere memorabile la nostra domenica d’estate. Il mattino è passato tra passeggiate, corse in riva al mare, nuotate e giochi con la palla, dove i bambini che siamo stati hanno preso il sopravvento e, liberi, hanno giocato.
Ora che è pomeriggio, la brezza marina ha cullato la nostra siesta e reso dolce il risveglio. Sulla tavola in veranda brocche di acqua fresca con limone e menta, ciotole piene di ghiaccio su cui riposano ciotole più piccole colme di cubetti di melone, anguria, pesca e fragole. Le albicocche e le ciliegie sono scampate alle manie geometriche della regina e tutto l’insieme dei colori, i rossi, i gialli, gli arancioni, rendono giustizia all’estate e al sistema solare nel quale rotoliamo, grati delle stagioni, di questa stagione, soprattutto.

La prima lettura è un frammento di Albert Camus:


“Fiotti di sole caduti dal sommo del cielo rimbalzano brutalmente sulla campagna intorno a noi. Tutto tace davanti a questo tumulto e il Lubéron, laggiù, è soltanto un enorme blocco di silenzio che io ascolto senza tregua. Tendo l'orecchio, di lontano corrono verso di me, mi chiamano invisibili amici, la mia gioia aumenta, la stessa di molti anni fa. Un felice enigma mi aiuta di nuovo a capire tutto. Dove sta l'assurdità del mondo? È questo splendore o il ricordo della sua assenza?”


Lo splendore dell’assenza, lo splendore del ricordo, ritorniamo sempre nei luoghi che ci hanno segnato anche solo scrivendo una poesia. Ma qui, oggi, vi porto una voce nuova che ancora non ho ospitato nelle Cronache ma che sta nel mio piccolo Olimpo della poesia contemporanea, ed è la voce di Camilla Miglio.


Bassa marea

La linea dei pini
ci ha cavati dall'onda abolita,
e intanto la diomedea tace
mimando la Murgia, non più marina.
L’altopiano è quasi una faglia
spartita tra grano e zolle
mentre
l’eucalipto sorprende
un pianto, lo raccoglie
sognandosi in rosa di salice.
Il canale del vento
s’incide nella ruga dei mulini
di un paese
che non conosce acqua
ma nel tempo è una fonte.


La fanciulla divina è tornata dalla madre nel colmo della stagione. Per questo la madre concede alla terra di darci tutti questi frutti. Perché la madre non può stare senza la figlia? Qual è la storia dietro la storia?


Kore

Sguardo di rondine
dal ramo.
Vestita di lino, bianca,
ma senza Demetra.
Arde dentro, il corpo
ma freddo risplende.

Fuori c’è il mare di Otranto.


Al quel mare torna la fanciulla che pensa al principe rinchiuso a forgiare nel sottosuolo.



Al principe dei gigli (da Goethe)


In mille forme potrai pure nasconderti
di tutti mio più amato, ti riconosco subito.

Vestiti pure col vento e con l’anello
in tutto tu presente, ti riconosco subito.

Nello slancio disperato del cipresso
tutto azzurro sei cresciuto, ti riconosco subito.

Nel continuo ondeggiare del mio mare
tutta roccia sgranata, e io ti riconosco.

Nella marea che sale e poi dilaga
tutto movimento in un riflesso, e io ti riconosco.

Se la nube prende forma e poi la perde
tutto orma sei nel labirinto, e io ti riconosco.

Sul tappeto fiorito del tuo dono,
tutto danza di stella, io ti riconosco.

E se con mille braccia l’edera dirama
tutti accogli tu, e per questo ti conosco.

Quando sul monte s’illumina il mattino
tutto saluti tu, e io ti saluto ancora.

E quando su di me s’inarca il cielo,
tutto tu attraversi, e poi io ti respiro.

Quello che apprendono i miei sensi dentro e fuori
tutto racconti a me, e da te l’apprendo io.

E quando dell’anima pronuncio i cento nomi,
in tutti segue in eco il nome tuo.


Il misterioso architetto legge poi una poesia che lo riporta nelle sue terre d’oltremare e mitiga la nostalgia.


L’art des femmes berbères

Ti offro il mio tappeto dell’Antiatlante rosso,
geometrica neolitica figura per vasi
cotti chiari e scuri, per tappeti, per tessuti,

identici a quelli di Gnathia.

Una lunga strada di migrazioni
avanti e indietro nel Mare di Mezzo
migliaia di anni di mano in mano
affidata a dita che maneggiano
fili, colori con fiori pestati,
segrete miscele di cardamomo
e zafferano, rosa del deserto
e lapislazzulo, azzurrissimo,
per tessere copricapo sottili
all'uomo dagli occhi lunghi tuo sposo:
Potrebbe essere greco o marocchino
Levante in occidente, Atlante in Tesprozia.

Tutto è vero nel grande
castello di Atlante

che è il mio tappeto.


Il tappeto di Camilla è intessuto di parole e narrazioni sognate prima ancora che scritte.


Lancio di dadi sull’acqua

C’era una tavola come apparecchiata, ma per terra.
Parevano scodelle quei fogli scritti e fitti
mezzo strappati da una tovaglia di carta –

“Avremo scritto il nostro sogno, avremo sognato il nostro scrivere”

C’erano come dadi sulle carte sgranate,
ma erano i ciottoli del Mar Nero
improvvisamente lanciati sulle nostre vite –

“Abbiamo seminato? Fiori. Raccoglieremo? Fogli”
“Avremo raccolto ancora ciottoli, ma chi potrà crederci”

Sulla carta apparecchiata
quasi una mappa confusa
tra pesci pane e un ricordo di vino.

C’era stata una fiamma, e intorno una tavola
come apparecchiata sullo scoglio
cancellata dalla sabbia e solo dopo secoli riemersa
sul fondo di un fiume essiccato.

Eravamo morti da tempo
e si parlava nel vento

“Vorrei rinascere per amarti in qualche forma”
“Ma tu lo sai, avremmo forme strane e imperscrutabili –”

“In mille forme potrai pure nasconderti, ti riconosco subito”
“In mille forme, e ancora ti respiro”
la brezza aveva spento ogni lume,
e non avremmo saputo più dire
se eravamo ancora anime antiche
o forse bambini con piedi piccoli
nelle pozze dello scoglio,
attenti a non farci ferire
dai granchi e dal vetro.



Dopo le letture abbiamo ripreso a camminare sulla spiaggia e ho visto le impronte di quei piccoli piedi accanto a una pozza dove due granchi sonnecchiavano.

Camilla è qui con noi, anche se sta scrivendo un nuovo libro, una forza della natura, una grande madre, una voce poetica che attinge alla grande poesia tedesca, alla Grecia e alla sua lingua antica, al mare che bagna la Puglia, all'amore per le persone e per i libri. Lei è l’estate incarnata, la dea dei frutti, la dea della stagione più lunga e colorata.




Tutte le poesie di questa Cronaca 119 sono di Camilla Miglio, poetessa, germanista, traduttrice e studiosa di Paul Celan e Ingeborg Bachmann.
L’art des femmes berbères è inedita e appartiene alla raccolta Stagioni di Kore, che spero Camilla vorrà pubblicare quest’anno.
Le altre poesie sono tratte dal volume Maree, Atì editore 2010

La citazione di Albert Camus è tratta da L'enigma in L'estate. Opere - Romanzi, racconti, saggi a cura e con introduzione di Roger Grenier, traduzione di Sergio Morando, Classici Bompiani 1988

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