venerdì 8 maggio 2020

Cronache dall’anno senza Carnevale/61: il fuoco di ogni persona e l’incendio del mio stesso sangue


Qui sull'Altipiano si fanno spesso incontri interessanti e non a caso.
Sono uscita a passeggio con un libro di Eduardo Galeano e dopo pochi passi fuori dal giardino della casa affollata, lui è arrivato.
I libri evocano non solo i personaggi ma anche gli autori. Lui è uguale a come lo ricordavo, con la stessa luce negli occhi chiari, com'era quando l’ho ascoltato qui a Milano e ci aveva detto che l’utopia è come l’orizzonte, serve a continuare a camminare.
Mi chiede cosa sto leggendo, è stato chiamato, ma la mia voce ancora non era abbastanza chiara.

“Ogni persona brilla con luce propria fra tutte le altre. Non ci sono due fuochi uguali, ci sono fuochi grandi, fuochi piccoli e fuochi di ogni colore. 
Ci sono persone di un fuoco sereno, che non sente neanche il vento, e persone di un fuoco pazzo, che riempie l’aria di scintille.
Alcuni fuochi, fuochi sciocchi, né illuminano né bruciano, ma altri si infiammano con tanta forza che non si può guardarli senza esserne colpiti, e chi si avvicina va in fiamme”.

Non aspetta che sia io a chiedergli qualcosa e inizia a parlare:

- Ricordo molto bene il giorno in cui ho avuto la prima visione di una persona e del suo fuoco. Stavo parlando con una donna che mi piaceva molto ma che non riuscivo ad avvicinare e ho visto il suo fuoco sciocco che non mi dava né luce, né calore e allora ho smesso di cercarla.
Camminavamo allo stesso passo ed ero contenta di stare un po’ di tempo con lui.
- Un fuoco grande era quello di Juan Rulfo che dopo La pianura in fiamme e Pedro Paramo, non pubblicò praticamente più nulla. Scrisse quello che doveva e si ammutolì come uno che ha fatto l'amore nella migliore maniera e poi si addormenta nella camera da letto. Un giorno, nella sua casa in Messico, prese una lavagna a due facce che aveva da un lato una penna e dall'altra un cancellino: si scrive con questa, mi disse indicando la penna, ma soprattutto con quest'altra, con il cancellino. Penso di essere stato un buon allievo.

- Solo un fuoco grande tra i tuoi amici? gli chiedo
- No, certo che no, il fuoco pazzo era quello di Juan Carlos Onetti che, quando lo andavo a trovare, mi offriva un vino che causava una cirrosi istantanea e mi impastava la bocca, sicché mi chetavo subito. Fumava come un turco e per dare lustro alle sue parole mentiva attribuendole a un proverbio cinese o a un detto etrusco. Una volta mi disse: “le uniche parole che meritano di esistere sono quelle migliori del silenzio. Non solo gli scrittori ma anche i politici dovrebbero imprimerselo nella mente. Il silenzio è un linguaggio perfetto ed è dura per la parola competere. Per questo riscrivo più volte un testo finché non sento che è migliore del silenzio”. 
- E hai seguito questo suo insegnamento?
- Sempre mia cara narratrice, per questo ho quasi smesso di scrivere molte volte nella mia vita. Ora bisogna che vada. Come sai non possiamo fermarci a lungo in questa dimensione anche se siamo stati chiamati. Ma ti assicuro che è stato un piacere, anche se nella Grande Biblioteca di Babele sono in ottima compagnia con i miei amici e un vino migliore di quello che abbiamo bevuto da questa parte delle Montagne.

Ci salutiamo con un abbraccio e ognuno prosegue per la propria strada.
Penso al fuoco di ogni giorno, a quello che alimenta la voglia di vivere e l’energia.
Penso ai miei ospiti, al loro fuoco che è grande, i lupi sono circondati di fiamme verdi e scintille dorate e il loro fuoco è un solo fuoco.
Il re emana fiamme altissime color porpora ma ne manca la metà che avvolge la regina.
Il poeta è come seduto su un trono d’oro, le fiamme si irradiano come raggi solari.
La sacerdotessa ed io abbiamo lo stesso colore che varia a seconda delle ore del giorno.
Blu-azzurro al mattino, arancione nel pomeriggio e rosso carminio di sera.
Il suo viaggiatore non è ancora arrivato ma lei è certa che il suo sia un fuoco grande e pazzo, che emana scintille che ci regalerà.
- E di notte? – mi chiede – di notte di che colore è il nostro fuoco?

“Ho ritrovato il vero senso delle metafore dei poeti. 
Mi sveglio ogni notte nell'incendio del mio stesso sangue”.

Risponde Marguerite Yourcenar, la più sapiente di tutte le scrittrici.

È così che vivono e dormono quelli che scrivono e studiano.
Nel fuoco e nell’incendio perenne.
E l’amore alimenta ogni fuoco, ogni incendio.
E i colori del fuoco mutano perché la luce dell’amore è bianca e trasparente.
Gli amanti attraversano il fuoco senza bruciarsi mai.
Ardono e non si consumano, il desiderio è la fiamma più alta, la fiamma che scintilla e illumina tutto il mondo intorno.


I racconti di Eduardo Galeano sono tratti da un’intervista di Sebastiano Triulzi apparsa su Repubblica
La citazione iniziale è tratta dal suo Il libro degli abbracci
La citazione di Marguerite Yourcenar è tratta dal suo libro Fuochi

1 commento:

Camilla Miglio ha detto...

Eh sì, il silenzio è un vero scacco per chi scrive, se si impara ad ascoltarlo.