Se aprile era ed è rimasto il mese crudele, maggio è da sempre il mese
delle rose e della piena fioritura.
Fioriscono non solo le rose in maggio, ma anche i pioppi, tutta la città
ne resta avvolta e nel pioppeto della mia infanzia è come camminare in una
nuvola.
Oppure come camminare sotto la neve e trovarsi allo stesso tempo in
quella passeggiata e in un ricordo come scrive Göran Tunström ne L'oratorio di Natale:
"La neve mi costringeva a socchiudere gli
occhi e mi serrai più stretto il collo del cappotto, mi feci un’insenatura
di calma all'interno della stoffa e mi ritrovai nel confuso labirinto del mio
proprio tempo, mentre procedevo per quella via in cui, una volta, avevo
dato il nome a tante cose. Camminavo con il mio passo da adulto e
contemporaneamente, con un’altra parte di me, avevo tre anni. La mano che
stringeva la borsa teneva al tempo stesso la mano di mia madre, indicava un
cono gelato, si liberava da una mischia in Grecia, seguiva le meraviglie di una
partitura. Ogni azione del passato generava mille altre possibilità, scorreva a
rivoli verso suoi propri futuri. Ed essi proseguono, sempre più numerosi, nelle
terre vergini della coscienza, ombre che t’inseguono e vengono inseguite. Non
c’è mai requie".
Neve, nuvola,
pioppo, coscienza, Grecia, passato, futuro.
Stabilisco una
connessione tra queste parole, so che ciascuna ha per me un senso profondo che
le nutre, le avvolge, le consuma e le rigenera.
Non tutte le
parole di uso comune sono idonee a entrare nella misteriosa tessitura di una
poesia. Alcune, anche se banali, possiedono, invece quell’aura che le destina a
entrare in un verso, a diventare parte della trama, dell’ordito o del telaio.
Rileggo ad
alta voce, a beneficio dei lupi soprattutto, queste poche parole che si
affollano sotto le mie dita laboriose.
Tendo un filo
e leggo il nome, è la Grecia che mi chiama, la Grecia del poeta più reale di
cui io abbia mai letto anche se esiste solo grazie alla penna di Anne Michaels
nel romanzo In fuga.
Così Jakob
Beer, scampato allo sterminio della sua famiglia da parte dei nazisti, rinasce
grazie al soldato greco Athos.
“Il tempo è una guida cieca.
Figlio della palude, nacqui dalle strade fangose della città sommersa. Per più di mille anni, soltanto i pesci avevano passeggiato sui marciapiedi di legno di Biskupin. Le case, costruite rivolte verso il sole, furono allagate dalla limacciosa oscurità del fiume Gasawka. I giardini fiorirono magnifici nel silenzio subacqueo; ninfee, giunchi, stramonio.
Nessuno nasce una volta sola. Chi è fortunato, vedrà di nuovo la luce tra le braccia di qualcuno; oppure, se sfortunato, si sveglierà quando la lunga coda del terrore sfiorerà l'interno del suo cranio”.
Figlio della palude, nacqui dalle strade fangose della città sommersa. Per più di mille anni, soltanto i pesci avevano passeggiato sui marciapiedi di legno di Biskupin. Le case, costruite rivolte verso il sole, furono allagate dalla limacciosa oscurità del fiume Gasawka. I giardini fiorirono magnifici nel silenzio subacqueo; ninfee, giunchi, stramonio.
Nessuno nasce una volta sola. Chi è fortunato, vedrà di nuovo la luce tra le braccia di qualcuno; oppure, se sfortunato, si sveglierà quando la lunga coda del terrore sfiorerà l'interno del suo cranio”.
Vita e morte,
morire e rinascere, come una stagione, come una rosa, come le onde del mare che
ci consolano soprattutto quando possiamo guardarle e ascoltarle al mattino.
Questo lungo e
per molti insopportabile isolamento che ancora non è finito, anche se è maggio
e le rose sono sbocciate, forse ha dato modo di ricordare, a chi lo aveva
dimenticato, che vita e morte sono gli estremi di un cerchio di cui non
conosciamo né diametro né circonferenza.
Taluni scivolano
giù dalla circonferenza e neanche se ne accorgono, altri scivolano avanti e
indietro sempre nello stesso semicerchio, altri scoprono la scorciatoia del
raggio per arrivare al centro, ma se non hai compiuto tutto il periplo neanche
il centro ha più senso.
In questo
cammino di senso che è la vita siamo accompagnati dai linguaggi, non dalla sola
lingua materna, ma dalle lingue che impariamo via via che il mondo ci offre i
suoi frutti, conoscete quel lampo, quella folgorazione di parlare e pensare in
una lingua che non avete respirato in braccio a vostra madre?
Così le
parole, ogni parola, rivelano che sotto l’involucro scintillante in cui
crediamo di averle riconosciute, si celano involucri di senso e rimandi alla
stessa cosa o pensiero designato da una parola sorella.
Per questo
motivo ci dice ancora Anne Michaels, che cita un detto
ebraico:
“Tieni un libro in mano
e sei un pellegrino alle porte di una città nuova”.
E la città
nuova, dove le parole risplendono in cesti di alabastro è una città ancora più
ricca se ci si ferma a contemplare le parole, a cercarne i sensi nascosti, a
trattarle come se ciascuna fosse insostituibile.
“L'amore ti fa vedere un posto in modo diverso,
così come si maneggia in modo diverso un oggetto che appartiene a una persona
amata. Se si conosce bene un paesaggio, si guarderanno tutti gli altri paesaggi
in modo diverso. E se si impara ad amare un posto, a volte si può anche
imparare ad amarne un altro”, scrive ancora Anne Michaels e amore e parola
sono, come già scrivevo, fili della stessa tessitura.
Ogni parola porta in sé le sedimentazioni
geologiche della lingua, il peso dei secoli, la voce di chi le ha pronunciate e
di chi le ha scritte.
Ogni parola è un neurone di un cervello vasto
quanto tutti gli universi che riusciamo a immaginare. Quanti dendriti, assoni e
sinapsi per ogni parola?
Ogni parola è circondata da una ragnatela di
legami e senso che la congiunge a ogni altra parola che sconfina da qui alla
Biblioteca di Borges.
Come fare per non perdere anche la più piccola
sfumatura?
Mi affido come sempre alla poesia e alla
sapienza intrinseca che la sostiene.
Il re ha capito, si alza dal suo sofà accanto
al fuoco e prendo dal leggio un libro monumentale che sembra crescere mano a
mano che si avvicina al mio tavolo ricoperto di carte e appunti.
Leggi, mi chiede, leggi a voce bassa solo per
me, perché non ci sia questa sera altro mondo fuori dalle tue parole.
La rosa sapiente e
profumata
Quella rosa, quella
non un’altra
perfetta sull'orlo
della sparizione
dove l’ultimo petalo
esita a
proclamare la propria
fioritura.
È quella la rosa che
ha scolpito
il fondo della
pupilla, immagine
pietrosa incisa in un
occhio
che non sa il fondo
perché
dentro l’abisso vive.
Quello
è l’occhio scolpito,
quella
vi dico, proprio
quella rosa
aulentissima e
perfetta, oh
mia mistica visione
che a ogni
cosa doni il profilo
di una
rosa. Quella rosa,
quella
non un’altra.
Dolorosa,
sapiente e profumata,
mai
nata nel maggio
odoroso.
Elena Petrassi
Figure del silenzio
Atì Editore 2010
Elena Petrassi
Figure del silenzio
Atì Editore 2010
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