lunedì 18 maggio 2020

Cronache dall’anno senza Carnevale/71: più vasto degli imperi e più lento il nostro amore


Il mistero del tempo è uno dei molti misteri che mi attrae da sempre. Qualche anno fa avevo sognato di incrociare un ragazzo sui pattini che mi roteava intorno sempre più veloce e intanto mi svelava il segreto che il tempo custodisce. Al risveglio avevo capito e ricordavo, un istante dopo quella gioia, tutto era stato dimenticato.

A volte ho pensato al tempo come a un tappeto mobile, uno di quelli che ci sono nelle stazioni e negli aeroporti, a un certo punto saliamo (nasciamo), ci guardiamo intorno, cerchiamo di mantenere l’equilibrio, ma poi, la stessa forza oscura che ci aveva fatto salire, ci scaraventa nello spazio intorno, mentre il tappeto continua a scivolare in avanti. Come fare per poter risalire e magari farlo andare all'indietro?

I viaggi nel tempo sono un altro tema che mi affascina, leggo fantascienza da quando ero ragazzina, cerco di non perdermi neanche un film e una serie tv. Fantastico che i viaggi nel tempo siano possibili perché la teoria dei multiversi è vera e reale, come se il viaggio nel tempo non fosse che tornare in uno spazio parallelo, senza andare a modificare quello che sappiamo essere stato. I fisici teorici se ne occupano dagli anni Cinquanta almeno e vorrei citarne alcuni che ho letto. Tra i sostenitori di almeno uno dei modelli del multiverso, spesso non essendo d’accordo, ci sono Stephen Hawking, Steven Weinberg, Brian Greene, Roger Penrose, li leggo anche se la mia preparazione scientifica si ferma ai due anni di fisica studiata alle scuole superiori, ma insisto nel voler capire perché è più interessante accanirsi sulle cose difficili che accontentarsi di quelle facili.

Tra gli studiosi che mi hanno aperto la mente devo citare soprattutto Carlo Rovelli a partire dalle Sette brevi lezioni di fisica e L’ordine del tempo, una citazione di Anassimandro:


Le cose si trasformano l'una nell'altra secondo
necessità e si rendono giustizia
secondo l'ordine del tempo


Il tempo è dunque inesorabile trasformazione, nascita, crescita, maturità, morte. Il pensiero lineare del tempo ci impedisce di cogliere la bellezza di questa ciclicità, della rinascita, della primavera che ritorna, dell’essere che si rinnova proprio grazie allo scorrere del tempo.

Come sempre la poesia mi aiuta a sentire che la paura del tempo che passa non ha senso, questa poesia - che non so di chi realmente sia perché su Internet è attribuita a Gibran, Ibsen e Osho – ci fa scoprire che la fine di uno stato dell’essere può sfociare in qualcosa di più grande:

Dicono che prima di entrare in mare
Il fiume tremi di paura.
A guardare indietro
tutto il cammino che ha percorso,
i vertici, le montagne,
il lungo e tortuoso cammino
che ha aperto attraverso giungle e villaggi.
E vede di fronte a sé un oceano così grande
che a entrare in lui può solo
sparire per sempre.
Ma non c’è altro modo.
Il fiume non può tornare indietro.
Nessuno può tornare indietro.
Tornare indietro è impossibile nell'esistenza.
Il fiume deve accettare la sua natura
e entrare nell'oceano.
Solo entrando nell'oceano
la paura diminuirà,
perché solo allora il fiume saprà
che non si tratta di scomparire nell'oceano
ma di diventare oceano.


Il tempo per i poeti non è solo l’evocatore di quel sentimento oceanico di appartenenza a qualcosa di più grande, qualcosa che trascende la nostra singola individualità, i poeti spesso usano la chiave del tempo per convincere l’amata che il tempo è poco e che non bisogna sprecarlo, pena la perdita di qualcosa di meraviglioso che non potrà essere mai più. In questa direzione vanno due poeti e due loro poesie che ho sempre amato molto. Il primo è Ronsard con uno dei Sonetti a Elena che ho già citato nella Cronaca 25 del 2 aprile 2020; il secondo è Andrew Marwell, ancor più immaginifico di Ronsard e da cui ho spigolato il titolo di questa Cronaca 71:


Ode all’amante ritrosa

Avessimo abbastanza Mondo e tempo,
non sarebbe un delitto, Signora, la vostra ritrosia.
Penseremmo seduti a quali strade prendere,
a come trascorrere il nostro lungo giorno d'amore.
Voi sulla riva del Gange trovereste rubini: io presso
l'onda del fiume Humber mi lamenterei. Vi amerei fino
a dieci anni prima del diluvio,
e voi, se vi piacesse, potreste rifiutarmi
fino alla conversione degli Ebrei.
Il mio amore vegetale avrebbe il tempo
di crescere più vasto di tutti gli Imperi
e anche più lento.
Cent'anni se ne andrebbero a lodare
i vostri occhi e a contemplare il vostro volto.
Duecento per adorare uno dei vostri seni
e trentamila almeno per adorare tutto il resto.
Un Evo intero per ciascuna parte, e l'ultimo
alfine mostrerebbe il vostro cuore.
Perché senza alcun dubbio, Signora,
questo cerimoniale voi meritate, e io non vorrei
amarvi a minor prezzo.
Ma alle mie spalle odo continuamente
l'alato carro del tempo che si avvicina veloce:
e laggiù da ogni parte, davanti a noi,
si stendono deserti di vasta eternità.
La vostra bellezza non sarà più ritrovata;
e non si potrà più udire nel vostro sepolcro di marmo
echeggiare il mio canto; solo i vermi tenteranno
quella verginità a lungo preservata;
e il vostro strano onore sarà mutato in cenere.
Tutta la mia lussuria trasformata in polvere.
Certo la tomba? un luogo intimo e bello,
ma dubito che qualcuno vi voglia fare all'amore.
Ora, dunque, mentre il colore della giovinezza
si posa sulla vostra pelle come rugiada al mattino,
ora mentre l'anima consenziente
brucia con fiamme importune,
ora finché possiamo godiamoci il piacere,
subito come uccelli da preda amorosi
divoriamo il nostro tempo,
piuttosto che languire nelle sue lente mascelle.
Tutta la nostra energia, tutta la nostra dolcezza
cerchiamo di addensarla in una sola sfera:
gettiamo i nostri piaceri con rude violenza
oltre i cancelli di ferro della vita.
Così, sebbene non si possa obbligare il nostro sole
a fermarsi, possiamo tuttavia obbligarlo a correre.


A questo punto non posso non aggiungere Villon e le sue nevi e dame del tempo che fu:


Ballata delle dame di un tempo che fu

Ditemi dove, in quale terra
è il più bel fiore di Roma, Flora?
Dove Archipiada,
dove, beltà gemella, Taide?
Dove colei che mormora,
sovrumana apparenza,
Eco, quando una voce trascorre
sopra un rivo o su un lago?
E dove sono le nevi d’un tempo?

Dov’è la saggia, previdente Eloisa?
Per lei si ritirò a Saint-Denis;
perse la sua virilità Pietro Abelardo.
Per amore, sì, quale atroce destino…
e dov’è ora Sua Maestà la Regina,
che ordinò di gettare Buridano
avvinto nei gorghi della Senna?
E dove sono più le nevi d’un tempo?

La Regina bianca
come un giglio,
dal canto di sirena,
Beatrice, Alice, Berta
piede grande, Eremburgis
che regnò sul Maine;
Giovanna, fiore di Lorena,
arsa sul rogo inglese a Rouen,
dov’è più? Dove sono tutte loro,
Sovrana Vergine? Dove?
Dove sono più le nevi d’un tempo?

Mio Signore, per tutti i giorni che saranno
non chiedete inutilmente dove.
Non avreste altro in cambio
che l’abuso di questo ritornello.
Ma dove sono più le nevi d’un tempo?


E con un salto di qualche secolo, cercando un senso anche scrivendo poesia, ecco che arrivo al mio quarto libro e una diretta citazione da Villon.
Ma non finirà qui, con queste poche parole, con queste citazioni, con queste poesie.
Sto imparando in questi giorni strani che il tempo è solo il nome che noi umani diamo all’eternità. Ce lo insegna l’amore che rende visibile il mistero di una gioia condivisa che inizia in un punto dello spazio e poi prosegue con l’allegria di un cuore che ha un altro cuore con cui battere all’unisono.


Il tempo viene nella sua danza di stella impazzita 


Dove sono le nevi del tempo passato? 
Dove le belle dame? 
Se gioco con un ricordo sto 
tenendo tra le mani qualcosa 
che ho o qualcosa che 
ho perduto? Se fugge 
l’istante che non so scrivere 
mi resta lo scrivere di 
questa fuga bislacca. 
Però vorrei sapere, una cosa 
davvero vorrei sapere, quanto 
è grande il magazzino che 
tiene a riposo tutto il tempo 
perduto. Non so se cercare 
da un letto in una stanza 
chiusa sia più efficace del 
contemplare il mare in un 
pomeriggio di bonaccia. 
Ma il tempo non torna, 
il tempo viene nella sua danza di 
stella impazzita, nella 
sua danza di rosa smemorata, 
il mio patto è questo, 
io lascio che passi, purché 
in cambio la pagina sia 
colma delle parole, non 
solo le mie che tu stai 
leggendo, ma più di tutto 
le tue che io non vedo 
ma che la tua voce mi 
porterà all'orecchio roca 
di fumo e di dolore.

Elena Petrassi

Scrivere il vento
Atì editore 2016


To his coy mistress Andrew Marvell (1621-1678)

Had we but world enough and time,
This coyness, Lady, were no crime.
We would sit down, and think which way
To walk, and pass our long love’s day.
Thou, by the Indian Ganges side
Should’st rubies find :I, by the tide
Of Humber would complain.I would
Love you ten years before the Flood ;
And You should if you please refuse
Till the Conversion of the Jews.
My vegetable love should grow
Vaster than empires and more slow.
An hundred years should go to praise
Thine eyes, and on thy forehead gaze.
Two hundred to adore each breast ;
But thirty thousand to the rest.
An age at least to every part
And the last age should show your heart.
For, Lady, you deserve this state ;
Nor would I love at lower rate.
But at my back I always hear
Time’s winged chariot hurrying near ;
And yonder all before us lie
Deserts of vast eternity.
Thy beauty shall no more be found,
Nor, in thy marble vault shall sound
My echoing song :then worms shall try
That long preserved virginity ;
And your quaint honour turn to dust ;
And into ashes all my lust.
The grave’s a fine and private place
But none I think do there embrace.
Now therefore, while the youthful hue
Sits on thy skin like morning dew,
And while thy willing soul transpires
At every pore with instant fires,
Now let us sport us while we may ;
And now, like amorous birds of prey,
Rather at once our time devour
Than languish in his slow-chapt power.
Let us roll all our strength, and all
Our sweetness, up into none ball,
And tear our pleasures with rough strife,
Thorough the iron gates of life ;
Thus, though we cannot make our sun
Stand still, yet we will make him run.



À sa trop prude maîtresse

Si le monde et le temps étaient à nous,
Cette pruderie, Madame, ne serait point un crime ;
Tous deux assis, nous songerions où aller
Pour passer notre long jour d’amour.
Tu trouverais des rubis au bord du Gange indien,
Moi, je me lamenterais aux rives de l’Humber.
Je t’aimerais dix ans avant le Déluge
Et toi par plaisir, tu refuserais
Jusqu’à la Conversion des Juifs.
Mon amour végétal irait croissant
Plus lent et plus vaste que les empires.
Je passerais cent ans à louanger tes yeux
Et puis à contempler ton front ;
Deux cents pour adorer chacun de tes seins,
Mais trente mille pour tout le reste ;
Il me faudrait un siècle pour chaque partie,
Et le dernier siècle me montrerait ton cœur.
Car c’est, Madame, l’honneur que tu mérites
Et je ne saurais t’aimer à moindres frais.
Mais, dans mon dos, constamment, j’entends
Le char ailé du temps se hâter vers moi ;
Et tout là-bas devant nos yeux s’étendent
Les déserts d’une immense éternité.
Ta beauté ne s’y retrouvera plus
Et dans ton arche de marbre l’écho de mon chant
Ne résonnera plus : les vers alors goûteront
Cette virginité si longtemps préservée :
Et ton honneur jaloux tombera en poussière,
Et mon brûlant désir ne sera plus que cendres.
La tombe est un lieu charmant et très discret,
Mais nul, que je sache, ne vient s’y embrasser.
Lors, maintenant que le teint de jeunesse
Colore ta peau comme la rosée du matin,
Tant que ton âme consentante exhale
A chaque pore le feu pressant de tes désirs,
Maintenant qu’il est encore temps, ébattons-nous
Et, comme d’amoureux oiseaux de proie,
Dévorons notre temps sur-le-champ
Plutôt que de languir en ses lentes mâchoires.
Roulons toute notre vigueur, toute notre douceur
En une seule et unique sphère :
Et dans une violente lutte, forçons
Par nos plaisirs les portes d’acier de la vie.
Ainsi, faute de pouvoir arrêter notre soleil,
Nous pourrons au moins le forcer à courir.


Traduction de J. Briat.


Ballade des Dames du temps jadis  (François Villon)


Dites-moi où, n’en quel pays,
Est Flora la belle Romaine,
Archipiades, ne Thaïs,
Qui fut sa cousine germaine,
Echo, parlant quant bruit on mène
Dessus rivière ou sur étang,
Qui beauté eut trop plus qu’humaine?
Mais où sont les neiges d’antan?

Où est la très sage Héloïs,
Pour qui fut châtré et puis moine
Pierre Esbaillart à Saint-Denis?
Pour son amour eut cette essoine.
Semblablement, où est la roine
Qui commanda que Buridan
Fût jeté en un sac en Seine?
Mais où sont les neiges d’antan?

La roine Blanche comme un lis
Qui chantait à voix de sirène,
Berthe au grand pied, Bietrix, Aliz,
Haramburgis qui tint le Maine,
Et Jeanne, la bonne Lorraine
Qu’Anglais brûlèrent à Rouen;
Où sont-ils, où, Vierge souvraine?
Mais où sont les neiges d’antan?


Prince, n’enquerrez de semaine
Où elles sont, ni de cet an,
Que ce refrain ne vous remaine:
Mais où sont les neiges d’antan?



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