sabato 16 maggio 2020

Cronache dall’anno senza Carnevale/69: bestiario della vita felice


La coscienza di sé, la parola e il pollice opponibile ci hanno resi quello che siamo, animali convinti di essere padroni del mondo, animali al momento sotto scacco a causa della pandemia da Covid-19, un virus, una creatura invisibile che l’epidemiologo Èmile Roux aveva definito nel 1903 “come “êtres de raison” o esseri teoretici: organismi la cui esistenza può essere desunta dai loro effetti, nonostante non siano mai stati rilevati direttamente”.

Dagli organismi infinitamente piccoli e invisibili, alle enormi balenottere azzurre, gli animali più grandi del mondo, tutti gli organismi animali stanno intorno alla scimmia pensante come una corte. Ma noi siamo solo una specie tra molte altre e forse sono proprio intelligenza, coscienza e parola che ci offuscano la ragione quando ci occupiamo delle altre creature viventi. Non voglio toccare qui il rapporto con le creature di cui ci nutriamo perché servirebbe una trattazione approfondita per cui non credo di avere le competenze e gli strumenti culturali idonei. Qui voglio invece parlare di due ordini di creature con le quali ci relazioniamo e che rendono la nostra vita degna di essere vissuta. Sto parlando degli animali immaginari, inventati e sognati che occupano il primo ordine di questo bestiario della vita felice e poi degli animali con cui viviamo, nel secondo ordine.

In questa lunga narrazione che sono diventate le cronache, ci sono ormai da qualche settimana due lupi felici che accompagnano la narratrice nelle sue passeggiate, ma per la maggior parte del tempo scorrazzano tra prati e brughiere, sonnecchiano davanti al focolare o stanno al riparo nella loro tana dove scambiano effusioni al riparo da sguardi indiscreti. Il lupo è l’animale che più mi ha affascinata sin da quando ero bambina e non ne ho mai avuto paura. Mio padre ci raccontava la storia del lupo Lobo e solo di recente ho scoperto che non si trattava di una favola, ma di una storia realmente accaduta nella regione di Currumpaw nel Nuovo Messico nel 1898. Lobo guidava un branco di 5 lupi che facevano i lupi, cioè assalivano il bestiame, i bovini in particolare, non sempre per mangiarli. Nel branco c’era anche Blanca, una lupa bianca che era la sua compagna, gli allevatori fecero di tutto per catturarlo e uno tra loro Ernest Thompson Seton, che diventò poi un naturalista e scrisse un libro sulla storia del grosso lupo grigio e della sua compagna, ci riuscì. Per farlo catturò e uccise prima la lupa che ormai in trappola, ululava a squarciagola per attirare il suo lupo. Quando Lobo si lasciò catturare, probabilmente perché aveva capito che Blanca era morta, Seton decise di non ucciderlo e di tenerlo in cattività. Ma Lobo si lasciò morire di fame. Come non amare i lupi che sfidano gli uomini per intelligenza e astuzia?

Ai due lupi felici si aggiungono oggi due aquile, altrettanto felici e altrettanto in coppia. Vivono in cima alle Montagne della Nebbia e rispondono al richiamo della sacerdotessa. Come i lupi anche le aquile si scelgono per la vita e una volta designato un territorio vi si fermano per molti anni costruendo ogni stagione un nido nuovo. Una leggenda indiana, ripresa dal poeta brasiliano Affonso Romano de Sant’Anna, racconta che a 40 anni l’aquila deve scegliere se lasciarsi morire o ritirarsi per abbandonare becco, artigli e penne in cima alla montagna strappandoseli di dosso. Le aquile che non hanno paura di affrontare questo dolore fisico e morale riescono poi a quasi raddoppiare gli anni della loro vita.

Le aquile della sacerdotessa avranno qualcosa da raccontarci, ma per oggi le salutiamo da lontano e diamo loro il benvenuto.

Oltre al bestiario immaginario introduco anche altri due animali che si sono manifestati in sogno in queste settimane di clausura. Nel sogno camminavo lungo una spiaggia in una giornata tiepida, il mare era appena mosso dal vento e in un istmo di terra dove mi avventuravo, incrociavo una giovane volpe e un puledro dal manto dorato che si fermavano a studiarsi, si annusavano e poi proseguivano insieme il cammino senza neanche accorgersi di me. Non ho riflettuto sul significato di questo sogno, i sogni hanno sempre un significato, ma lo farò e nel frattempo presenterò anche queste due creature all’affollata tribù che vive nella Casa delle Parole.

Poi ci sono loro, gli animali più o meno domestici con cui ho interagito nel corso della mia vita. Passerotti e merli caduti dai nidi, anguille tenute in vita nella vasca da bagno, tartarughe di terra e lumache, un numero imprecisato di pesci rossi tra cui il patriarca chiamato lo Squalo che morì alla venerabile età, per la sua specie, di quasi dieci anni dopo aver perso tutto il colore dalle squame ed essere diventato grossicello come una piccola trota. Poi, un pulcino tutto nero che è diventato la chioccia più longeva, dodici anni, del pollaio di mia nonna, un gattone tigrato grigio che avevo chiamato Tigre e che amava le cipolle rosse di Tropea in insalata. Alcuni cagnolini tra cui Black, spinone nero, e Diana bastardina dal mantello dorato che si riproducevano con regolarità teutonica; e ancora Ketty la cockerina color ginger del dottore che abitava al piano terra nel palazzo dei miei genitori e il barboncino nero Charlie che fuggivano insieme tutte le volte che lei andava in calore; negli ultimi anni il bassotto fulvo Beppe detto Beppino con cui duettavo tutti i giorni e il border collie nano Filippo detto Filippetto che si inventava giochi mettendosi seduto, incrociando le zampe o nascondendo il muso sotto la coperta per essere cercato. Li ho amati tutti, ma io sono una gattara, ho sempre avuto rapporti eccellenti con tutti i gatti delle mie amiche e amici, trovo meravigliosa la Micia di Grazia e Danilo, nera con pettorina e parte inferiore del muso bianche e le più lunghe e incredibili vibrisse mai viste; ho adorato la Spillo, gattona tigrata dodicenne e selvatica, e Nina, detta the Bloody perché non faceva altro che portare in casa animaletti morti in dono e si divertiva a tendermi i più feroci e improvvisati agguati, soprattutto quando eravamo in giardino e lei era convinta che io dormissi all’ombra della palma. E poi la Gattina, apparsa dal nulla in giardino, infangata e affamata. A detta della veterinaria dottoressa Titti, soprannominata “la natura è meravigliosa”, la gattina era destina a morte precoce e imminente, era una femmina di almeno nove anni e di piccola taglia, con una malattia polmonare incurabile e sterilizzata. Infatti, sei mesi dopo la Gattina, perché questo era diventato il suo nome, ci aveva mostrato quanto la natura fosse davvero meravigliosa e sorprendente, quando aveva messo alla luce tre gattini: il primogenito Tiger perché aveva un testone tigrato come la mamma e il resto del manto bianco come il papà, Lina così chiamata per via del pelo bianco e beige intorno agli occhi che davano l’idea che indossasse degli occhialoni stile Lina Wermuller e il più piccolo Spotty, con una grande macchia di pelo beige in cima alla testolina che però è sopravvissuto pochi giorni. Ho fatto da levatrice ai gattini, accarezzando un po’ la mamma quando capivo che gradiva le mie carezze. Ho assistito a tutte le fasi del parto e il cuore mi batte ancora forte quando penso a loro. Che non vivono soltanto in quel giardino perduto ma anche nelle mie poesie. Questa è dedicata alla Gattina che ho tenuto in braccio mentre scrivevo le ultime poesie del mio nuovo libro Un’estate invincibile. (Atì editore 2019)



Il cielo vuoto di nuvole e vento

Non cade, non sale, non crolla, non
ombreggia, non ripara. Ora c’è solo
un tronco senza foglie, la metafora
perfetta per la memoria scarna che
abita questo giardino.
Basta poco per sentire la gioia
allargarmi il respiro. C’è la gatta che
ronza appoggiata al mio petto, l’odore
dei fichi dietro di noi e il cielo vuoto
di nuvole e vento.
E qui sento solo il tuo cuore
battere sul mio.


Nel mio amore per i gatti, per quei gatti, c’è una dimensione che li lega direttamente alla poesia e al silenzio, al mistero della scrittura ed è con queste immagini che mi congedo questa sera.

Attraversata dal silenzio

Solo il passo del gatto è
amico del silenzio, ha
un alfabeto segreto fatto
di cenni nell’aria e poche
distrazioni.

Si alza, si abbassa, seguito
dal movimento della coda
e benché tutto sembri uguale,
una nuova melodia attraversa
gli spazi bianchi tra note e
sillabe.

Così vorrei scrivere, leggera
e pensierosa, attraversata dal
silenzio e da poche parole.

1 commento:

Anonimo ha detto...

Gli animali meritano innanzitutto rispetto e non devono sopportare sofferenze gratuite. Adoro gatti soprattutto quelli che mantengono un grado di selvatitudine pur condividendo la loro esistenza con l'umano. Sono difficili da gestire ma quando riesci a "sfondare" la diffidenza vieni compensata da un affetto che passa attraverso lo sguardo.