lunedì 25 maggio 2020

Cronache dall’anno senza Carnevale/78: lingua innamorata che ci fai innamorare

L’esperienza del buio e l’esperienza della notte non sono la stessa cosa. 

Possiamo creare il buio anche nel pieno di una giornata estiva, anche solo per qualche istante quando entriamo in una stanza in penombra dopo avere corso nel sole. Com'è fresca la stanza, com'è buona l’acqua che ci aspettava nell'orcio di terracotta. Il buio si imprime nell'occhio, da questi ricordi e da questa nuova esperienza nasce una poesia, metà fuoco, metà brace. 

L’esperienza della notte non è solo la mancanza della luce, quel che fa della notte una notte è la mancanza di suoni, soprattutto umani.

Quando mancano i suoni umani che giungono dall'esterno è la casa che parla con noi. Lo scricchiolio del pavimento in legno, il vento che si insinua nelle fessure tra il muro e la finestra, i libri si sussurrano l’un l’altro le loro storie anche se spesso conversano in lingue diverse.

Mentre nella casa tutti dormono, le lingue diverse mi colpiscono con un’improvvisa rivelazione.

Qui parliamo ciascuno nella propria lingua madre e ci capiamo, una Babele all'incontrario rende superflui traduttori e traduzioni. Ma quando guardo la sacerdotessa e il guerriero, il poeta e il re, quando guardo  il mio stesso volto allo specchio io so esattamente da dove provengono. E ho capito che il nostro riconoscere i volti e dirci è italiano, è francese, è americano o britannico, svizzero o tedesco dipende da una cosa cui prima di oggi non avevo mai pensato. 

Sono le lingue a costruire il nostro viso, i muscoli facciali si piegano alle esigenze di ogni lingua, ai vocalizzi, si piegano alle sillabe, alle nasali, alle dentali, alle labiali, alle gutturali, alle aspirate. 

Così la lingua ci scolpisce giorno dopo giorno, anno dopo anno, secolo dopo secolo. 

La sapienza di una lingua si scolpisce in un volto umano in pochissimi anni. 

La lingua della madre è respirata dalla figlia e dal figlio, le future rughe d’espressione prenotano i loro spazi su questi visi intatti.

Lingua nata dal paesaggio, dal cibo dal sole, dal mare e della pioggia, dagli alberi e dai fiori, lingua innamorata che ci fai innamorare, tutte le storie riposano nelle tue sillabe, noi ti sveliamo e riveliamo noi stessi con le tue parole, con il nostro viso.



Non esiste innocenza in questa lingua
ascolta come si spezzano i discorsi
come anche qui sia guerra
diversa guerra 
ma guerra – in un tempo assetato.
 
Per questo scrivo con riluttanza
con pochi sterpi di frase
stretti a una lingua usuale
quella di cui dispongo per chiamare
laggiù perfino il buio
che scuote le campane.

                          ***

C’è una finestra nella notte
con due sagome scure addormentate
brune come gli uccelli
il cui corpo indietreggia contro il cielo.
 
Scrivo con pazienza
all'eternità non credo
la lentezza mi viene dal silenzio
e da una libertà – invisibile -
che il Continente non conosce
l’isola di un pensiero che mi spinge
a restringere il tempo
a dargli spazio
inventando per quella lingua il suo deserto.

La parola si spacca come legno
come un legno crepita di lato
per metà fuoco
per metà abbandono.


Antonella Anedda
Notti di pace occidentale
Donzelli editore 2001 

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