Ecco è domenica
mattina, se non ho contato male la dodicesima da che ho iniziato la clausura,
ma la mente ancora non si è abituata al nuovo moto della vita ai tempi del
Covid-19, quindi, come ogni domenica mattina che l’ha preceduta, scalpita tra
due tensioni opposte che vogliono prevalere entrambe.
Il primo dettato della
mente è “usciamo, usciamo subito, andiamo, camminiamo, osserviamo, respiriamo.
Come puoi pretendere di scrivere qualcosa di nuovo se non lasci che il mondo ti
raggiunga? Su, vai, esci, metti le scarpe, lascia a casa l’ombrello che tanto
non piove, vedrai quanto è bello camminare per la città a quest’ora! Certo sarebbe
meglio camminare in un bosco o in riva al mare a Mondello, o in Val Zebrù o
sulle Dolomiti, ma basterebbe una passeggiata sui Navigli. Ma devi uscire,
esci! Perché io (la mente scalpitante) devo uscire per poter scrivere”.
La mente scalpitante
sa di mentire, sa che la risposta alla sua domanda “come pretendi di scrivere
se non cammini?” è molto semplice: “scriverò a memoria”.
Questa prima tendenza
della mente la chiamerò “la passeggiata del sognatore solitario” evocando
Jean-Jacques Rousseau e le sue dieci passeggiate filosofiche, il suo ultimo
scritto prima di morire. In italiano c’è una bella versione dello scrittore
Beppe Sebaste che custodisco insieme a quasi tutti i suoi libri.
Ma non tutta la mente scalpita
per uscire, c’è una parte di me, che in queste settimane si è fortificata, che
considera la domenica mattina il momento della più profonda riflessione e
solitudine.
Sono passate da molto,
molto tempo, le domeniche mattina dove andare a Messa era un atto di
ribellione, le mattine in cui si puliva casa e si cucinava il miglior sugo del
mondo e un arrosto nel forno riempiva di aromi invitanti tutta l’aria intorno. Sono
finiti i pranzi domenicali con i genitori, il fratello, poi via via fidanzati e
fidanzate, e sempre i parenti, le nonne, gli zii e le zie, i cugini. Da bambina
detestavo quelle occasioni tanto quanto amavo i pranzi del sabato, dove ci si
trovava dopo la scuola e il lavoro del mattino, a mangiare piatti semplici,
quasi sempre una bistecca fritta in un padellino d’alluminio con una grande insalata,
a parlare e raccontarsi le cose che erano accadute in un’armonia, con un
piacere che nessun altro pasto della settimana concedeva con quella stessa
grazia.
Sono passate anche le
domeniche delle fughe al lago, al mare o in montagna. Qualunque luogo pur di
non stare in questa città assediata dal traffico e dal rumore. Le fughe
appartengono alla tendenza “passeggiata del sognatore solitario”, mentre le
soste nella quiete di un mondo che si riposava, soprattutto quando i negozi
restavano chiusi e non esistevano i centri commerciali, questa dimensione,
alimentata di sicuro da un temperamento solitario, appartiene alla tendenza “le
mele di Cézanne”, proprio lui il pittore, che quando non aveva l’ispirazione
per arrampicarsi a dipingere per la millesima volta la Sainte-Victoire, si
chiudeva nel suo capanno, disponeva sul tavolo qualche mela e dipingeva quel
che vedeva e anche quello che non aveva mai visto. Creare, scrivere, dipingere
o scolpire, è sempre frutto di un’armonia particolare che oscilla tra la
visione e il ricordo, non sempre serve avere modelli davanti a sé, basta averli
nel proprio teatro interiore.
Una poesia di Charles
Tomlinson si fa strada tra le mie parole:
Cézanne a Aix
E la montagna:
immobile,
Ogni giorno, come
frutta. E diversa, anche,
- Perché irriducibile,
perché
Non partecipe del
delizioso,
E quindi discutibile,
Né distratta (come chi
posa)
Dalla propria posa, e
quindi
Due volte discutibile:
non è
In posa. È. Spontanea
Inalterabile, una testa
di ponte di pietra
A ciò che tangibile
Perché prima d’ora
inavvertito. Lì,
Nella gravità
sgretolata
Il suo silenzio
silenzia, una presenza
Che non si presenta.
L’introduzione del teatro
interiore come spazio della creazione placa la mente divisa e oscillante,
sprofonda in questo silenzio, e mi concede proprio quella pace silenziosa che
apre in me una vastità di universi ancora sconosciuti. Da questi universi, che
conosciamo non perché li abbiamo visti, ma perché i loro effetti in questo
mondo che chiamiamo realtà, sono esperiti e ben visibili. “Una presenza che non
si presenta” mi evoca lo studioso Emile Roux che scriveva di virus e batteri come
degli “êtres de raison, esseri di
ragione o esseri teoretici, organismi la cui esistenza può essere desunta dai
loro effetti nonostante non siano mai stati rilevati direttamente”.
Da questi universi
ignoti arrivano messaggi per gli innamorati, una storia non ancora iniziata è
preceduta dal suo racconto e da una benedizione, perché il tempo è circolare e
gli amanti che si cercano millennio dopo millennio, finiranno sempre col
trovarsi in questa o in un’altra dimensione e il loro incontro annuncerà l’alba
con versi amorosi e il loro abbraccio sarà come quello del fiume che ha
finalmente raggiunto l’oceano.
Anche il giorno si
apre come una vasta acqua silenziosa, gli amanti dormono abbracciati, forse il
segreto della domenica mattina è proprio questo sonno che è un’altra dimensione
dell’esistenza. Niente Rousseau e niente Cézanne, forse domenica prossima, ma
oggi abbiamo dormito a lungo, abbracciati come i lupi nella loro tana.
Il cantore del mattino
domenicale per eccellenza resta Wallace Stevens, mi congedo molto presto oggi,
all'inizio del pomeriggio, con una traduzione che ho rimaneggiato perché quella
nel volume non mi soddisfaceva del tutto.
Lusinghe
di vestaglia, ad ora tarda
Caffè e
arance su una sedia al sole,
la
verde libertà di un pappagallo,
Su un
tappeto si fondono a disperdere
Silenzi
di un arcaico sacrificio.
Lei
sogna un po’ e sente l’oscurità
dell’antica
catastrofe, come una calma
Che si
oscura tra le luci dell'acqua.
Le
arance aspre e le luminose ali verdi
Sembrano
cose in un corteo funebre,
che avvolge
con le vaste acque, senza suono.
Il
giorno è quella vasta acqua, senza suono,
Quieto
al passaggio dei suoi passi sognanti
Oltre i
mari, verso la silenziosa Palestina,
Regno
del sangue e sepolcro.
Abbiamo
rubato le arance al sole e il silenzio all’acqua. Al risveglio dovremo
incamminarci verso una terra sacra che non ha dimora in questa dimensione. Mute
preghiere si levano verso il cielo, abbiamo tutti paura e l’unica risposta alle
nostre implorazioni è l’amore che possiamo donarci quaggiù.
Sunday Morning è nel volume Mattino domenicale e altre poesie a cura di Renato Poggioli; Einaudi
1988
Complacencies of the peignoir, and late
Coffee and oranges in a sunny chair,
And the green freedom of a cockatoo
Upon a rug mingle to dissipate
The holy hush of ancient sacrifice.
She dreams a little, and she feels the dark
Encroachment of that old catastrophe,
As a calm darkens among water-lights.
The pungent oranges and bright, green wings
Seem things in some procession of the dead,
Winding across wide water, without sound.
The day is like wide water, without sound,
Stilled for the passing of her dreaming feet
Over the seas, to silent Palestine,
Dominion of the blood and sepulchre.
Cézanne at Aix di Charles Tomlinson è nel volume Nella pienezza del tempo; a cura di
Silvano Sabbadini, Garzanti 1987
And the mountain: each day
Immobile like fruit. Unlike, also
- Because irreducible, because
Neither a component of the delicious
And therefore questionable,
Nor distracted (as the sitter)
By his own pose and, therefore,
Doubly to be questioned: it is not
Posed. It is. Untaught
Unalterable, a stone bridgehead
To that which is tangible
Because unfelt before. There
In its weathered weight
Its silence silences, a presence
Which does not present itself.
La
citazione di Emile Roux è tratta dal libro della giornalista scientifica Laura
Spinney 1918. L’influenza spagnola; traduzione
di Anita Taroni e Stefano Travagli, Marsilio e Feltrinelli editori 2019
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