giovedì 7 maggio 2020

Cronache dall’anno senza Carnevale/60: nessuno, neanche la pioggia ha cosi piccole mani


Desidero la pioggia nelle giornate di sole, anelo la luce quando sulla terra è ombra, le nuvole mi chiamano con la mia stessa voce, come se della medesima materia fossimo impastate.

Vago tra le stanze della casa affollata, sono sola questo pomeriggio perché tutti gli altri avevano da fare in altri luoghi.

I lupi come sempre a correre nella brughiera, a giocare, a rotolarsi tra i fiori.
Il poeta ha trovato un bar aperto nella città silenziosa e si è seduto a scrivere all'unico tavolino, con il sole in faccia e un taccuino nuovo che chiama poesie.

Il re sta cercando la sua regina ai piedi delle Montagne della Nebbia, anche se sa che sarà lei a trovarlo e solo lei potrà tessere quel legame che li ha resi ciò che sono.

La sacerdotessa si occupa dell’anima del mondo, ferito come un animale antico che non ha più la forza di rialzarsi e proseguire.

Stamane mi diceva che ha l’impressione che parte della stampa sia delusa dalla disciplinata paura che le persone mostrano, soprattutto nelle città.

Chi non è obbligato non esce, ma tra quelli che escono e sono costretti a farlo per motivi economici, alcuni aggrediscono altri lavoratori e disprezzano, sputano, strattonano. Come fare per calmarli?

Ci sono altre questioni che gridano scandalo, spietati pluriomicidi scarcerati, i contagi e i morti che non scendono. Perché nemmeno ora, dopo 2 mesi di chiusure e distanziamento sociale sappiamo dove le persone si ammalano, il lavoro che facevano, quanto tempo ci hanno messo a morire? Perché ancora non si riescono a fare tamponi e test per sapere se siamo stati contagiati e non lo sappiamo?

A parte la paura per la nostra stessa morte, che resta sempre un pensiero remoto perché in fondo non ci crediamo che questa realtà sia solo una stanza di passaggio nel Grand Hotel Universo, abbiamo paura per quelli che amiamo.

Si resta orbati e schiantati dal dolore, soprattutto se neanche una semplice cerimonia ci ha permesso un saluto.

La mente ha bisogno di ritmo e forme chiuse, non solo della possibilità di vagare come un dente di leone, ma il nome inglese dandelion è più evocativo perché evoca l’oscillazione del seme prima che il vento lo distacchi dalla pianta madre, una forma chiusa è un saluto in un tempo che ha un inizio e una fine. Quando perdiamo qualcuno che amiamo, parte della nostra anima se ne va insieme a lui o a lei.

In questa infinita clausura possiamo piangere anche persone che non abbiamo mai incontrato, come mi accade per la gentile dottoressa piemontese Riccarda Miriam Giraudi che più volte al giorno postava bellissime poesie tradotte accanto ai testi originali, fotografie di fiori, gatti e mare della Grecia. Se il diabolico algoritmo di Facebook non mi proponeva i suoi post era diventata un’abitudine andare a cercarli sulla sua pagina. E poi, lunedì nello sgomento di chi le voleva bene, lei è mancata all’improvviso. In centinaia abbiamo scritto qualche parola di dolore e rimpianto nei commenti e sempre il diabolico algoritmo adesso mi propone post che non avevo “mipiacciato”.

Così continuo il mio vagabondaggio e le mie litanie interiori, le mie preghiere che prendono forma di poesie e vorrei che qualche piccola ferita dell’anima del mondo piano piano cominciasse a guarire.

Non posso dire a nessuno vieni, non temere andrà tutto bene, non lo so proprio come andrà, ma il bene ha bisogno dell’impegno di ciascuno, non può accadere così come accade il male, per malvagità o disattenzione.

Il bene ha bisogno della grazia e dell’attenzione così come scrive, dopo averlo detto in una bellissima conferenza, l’amico poeta Lorenzo Gobbi:

“Grazia: mistero di benevolenza, sorriso del mondo nella concretezza dei giorni, gratuità immeritata di cui essere grati, cortesia dell’essere, mondo che non usa con noi il potere (che conserva intatto) ma la gentilezza. Il poeta che si trova ad essere letto e amato, ad esempio, sa perfettamente, se è attento, di essere bravo e di avere molto lavorato e sacrificato, di avere molto pagato per ogni parola che ha scritto; ma sa anche, sempre se è attento, che nulla gli era dovuto, e che la stima e l’amore non si possono conquistare ma solo ricevere in dono, perché dipendono dalla libera volontà - e che non c’è forza alcuna che li possa carpire, neanche quando nulla sarebbe più giusto di quella stima e di quell'amore, che sempre possono essere
negati. Ne nasce una libertà interiore inestimabile: nessun rancore per chi non ama e non stima; nessuna smania di essere stimato e amato; stupore e gratitudine per il fatto di esserlo; gioia pienamente assaporata”.

Grazia, gioia, attenzione, gentilezza sono parole che fanno parte dell’Alfabeto della Cura.

Lunga o breve che sia la strada che ci è stata destinata, possiamo scegliere di essere parte del bene del mondo, di essere un’anima ferita che dal proprio dolore può curare altri dolori.

Ascolto ancora un po’ la sacerdotessa che canta in una lingua che non conosco.

Pare che nessuno abbia voglia di rientrare in casa, la giornata è troppo bella per non respirare ogni aroma e ogni alito di vento.

Così posso rientrare, godere del silenzio, della solitudine, aspettare con trepidazione che gli ospiti rientrino e scegliere una poesia d’amore per congedarmi.

L’amore ha sempre tante domande per gli esseri amati.

Ma l’amore sa di essere l’unica risposta.


Il tuo più tenue sguardo
Il tuo più tenue sguardo
facilmente
mi aprirà
benché abbia chiuso me stesso
come dita sempre mi apri
petalo per petalo
come la primavera fa
toccando accortamente
misteriosamente
la sua prima rosa
e io non so
quello che c’è in te
che chiude e apre
solo qualcosa in me
comprende
che è più profonda
la voce dei tuoi occhi
di tutte le rose
nessuno
neanche la pioggia
ha così piccole mani.


Questa traduzione ridotta è tratta dal film di Woody Allen Hannah e le sue sorelle, che è il mio preferito in assoluto.

Di seguito la traduzione completa e la versione originale.


Là dove non sono mai stato, piacevolmente oltre

là dove non sono mai stato, piacevolmente oltre
ogni esperienza, i tuoi occhi hanno il loro silenzio:
nel tuo gesto più delicato ci sono cose che m’imprigionano,
o che non posso toccare perché mi sono troppo vicine
il tuo sguardo più insignificante facilmente mi schiude
sebbene io mi sia chiuso come le dita di una mano,
tu mi apri sempre facilmente petalo per petalo come la Primavera apre
(sfiorando abilmente, misteriosamente) la sua prima rosa
o se il tuo desiderio sia chiudermi, io e
la mia vita ci chiuderemo di scatto meravigliosamente, improvvisamente,
come quando il cuore di questo fiore s’immagina
la neve scendere con cautela ovunque;
niente di tutto ciò che sperimenteremo in questo mondo è pari
alla forza della tua intensa delicatezza: la cui trama
mi costringe nel colore delle sue terre,
rendendo omaggio alla morte e al per sempre ad ogni fiato
(non so cosa sia di te che chiude
e apre; solo qualcosa mi dice
che la voce dei tuoi occhi è più profonda di tutte le rose)
nessuno, nemmeno la pioggia, ha mani tanto piccole
(trad. L. D’Incà)

Somewhere I have never travelled, gladly beyond
somewhere I have never travelled, gladly beyond
any experience, your eyes have their silence:
in your most frail gesture are things which enclose me,
or which I cannot touch because they are too near
your slightest look will easily unclose me
though I have closed myself as fingers,
you open always petal by petal myself as Spring opens
(touching skilfully, mysteriously) her first rose
or if your wish be to close me, I and
my life will shut very beautifully, suddenly,
as when the heart of this flower imagines
the snow carefully everywhere descending;
nothing which we are to perceive in this world equals
the power of your intense fragility: whose texture
compels me with the color of its countries,
rendering death and forever with each breathing
(I do not know what it is about you that closes
and opens; only something in me understands
the voice of your eyes is deeper than all roses)
nobody, not even the rain, has such small hands
Edward Estlin Cummings
From Complete Poems: 1904-1962, edited by George J. Firmage



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