Qualcuno
si lamenta perché qui non accade mai nulla – mi dice la sacerdotessa.
La raggiungo
sul muretto e mi siedo accanto a lei.
Penso,
in silenzio.
Qui è
tutto un movimento di scarti minimi, le cose accadono come devono accadere.
Ieri dicevo
che le persone silenziose dialogano con l’invisibile, credo che il principio
sia lo stesso.
Sembra non
accadere nulla ma tutto accade nell'immensa opera del mondo. Pensieri, parole,
opere, azioni, sono solo frammenti che entrano in una tessitura, non in un
mosaico ma in una tessitura, perché trama e ordito sono imprescindibili. L’ordito
è formato dai nostri corpi e dal mondo, la trama è l’insieme di pensieri, azioni
e parole.
Nessuno
vede le mani del tessitore o della tessitrice, ma entrambi lavorano senza mai
fermarsi, e solo noi riusciamo a cogliere un senso a questo arazzo perché la
memoria lo rende possibile.
Cos'è
la memoria, dunque? Mi affliggo da sempre cercando risposte, so che senza la
memoria smettiamo di essere chi siamo e chi siamo stati.
La memoria
è fatta, prima ancora che di parole e di silenzi, di immagini, di profumi, di
frammenti di mondo. Poi arrivano le parole e ai poeti questo serve per iniziare
a scrivere.
Ma non
solo, poi servono le voci, le avete mai sentite quelle voci che arrivano da
altri tempi e da altri luoghi? Vi hanno mai chiamato?
Non c’è
più solo la sacerdotessa che mi ascolta, sono arrivate le aquile che, docili,
sono atterrate al suo fianco, mentre ai miei piedi si sono accucciati i lupi.
Io ho
sentito le voci in numerose occasioni. Da bambina non sapevo chi fossero, ma le
aspettavo – mi dice la sacerdotessa – è così che sono stata chiamata alla mia
vocazione e così che ho imparato la lingua delle aquile, dei lupi e degli
alberi. Non tutte le creature vogliono farsi capire da noi umani, ma qui, ai
piedi delle Montagne della Nebbia è più facile che accettino di lasciarsi
avvicinare.
Lo so –
le rispondo – ho imparato anch'io che qui nascono relazioni impossibile nell'altro
mondo della città silenziosa, non più silenziosa. Mi hanno chiesto perché continui
a scrivere queste cronache, visto che la quarantena è finita. Ma non è finita
davvero, lo sanno tutti e tutti stanno cercando di fare finta di niente. Scrivo
perché non voglio che questo esile legame tra i mondi che il silenzio ha creato,
possa venire meno. Scrivo perché voglio continuare a parlare con i lupi e le aquile
come fai tu. E a decifrare le conversazioni degli alberi che muovono le foglie
con il vento, ma più ancora comunicano attraverso le radici e io ho iniziato a
sentire quei sussurri, non solo di notte, e a comprenderli.
I poeti
forse sono come setacci – mi dice la sacerdotessa – non pensi? il mondo vi passa attraverso e qualcosa resta sempre, per sempre con voi. Ora devo andare
a cercare il mio sapiente guerriero, mancano ormai poche ore al suo arrivo e
devo andargli incontro. Dimmi perché continui a scrivere poesie?
Perché non
posso farne a meno, come la rosa che fiorisce in novembre o il gelsomino che
resiste alla pioggia più fitta. Ecco l’ho scritto qualche anno fa, ma è come se
lo avessi scritto oggi.
L’opera del vento
Dovevo
uscire dal gesto usuale
cambiare
la foglia con l’acqua
piovana,
non cercare presagi
sull’asfalto
arroventato. Poco
molto
poco, il calice non riempie
la
brocca, il miele non addolcisce
l’ape,
semmai ne fortifica il pungiglione.
Questo
è il mio scrivere, ti confesso
mescolare
polline e parole, il resto
è opera
del vento.
Elena
Petrassi
Sillabario
della Luce
Moretti&Vitali
editori 2007
L’opera
del mondo è un frammento di un verso di Mario Luzi che citerò per intero in una
futura cronaca.
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