mercoledì 6 maggio 2020

Cronache dall’anno senza Carnevale/59: una parola è notte, l’altra solo sogno


Nessun giorno è uguale a un altro, nessun mattino annuncia le stesse ore.

Il bello dell’infanzia e della gioventù è che non bisogna impegnarsi per scoprire tutte le cose nuove che ogni giorno offre.

Poi inizia il tempo della ripetizione, il tempo del disincanto, il tempo della disillusione.

Il mondo sembra un’eterna ripetizione, la noia è in agguato all’angolo di ogni ora.

Ma poi, poi accade che guardandoli meglio quegli angoli sono uno diverso dall’altro e scavano giù verso il centro della terra, e si elevano verso il cielo e oltrepassano le nuvole.

Come può avvenire questo cambio di prospettiva in questo tempo blindato, in quest’aria respirata attraverso un tessuto, in queste notti che si chiamano insonnia e in questi giorni che si chiamano lontananza?

Passeggio nella brughiera verso le Montagne della Nebbia e rifletto sulle mie parole, ma cosa sono le mie parole in questo mondo innaturale, in questa terra di nessuno che sta aspettando solo che qualcuno inizi a dargli forma e colore?

Come sempre le domande si moltiplicano e le risposte arrivano intessute di poesia:


Ora canta di nuovo il mio fiume interiore,
e un limpido vento spira da fresche terre notturne,
in cui vette azzurre di sogno si rispecchiano
in altri mari.

Ma cosa sono le mie parole?
Un bosco piegato dalla tempesta
verso il nord,
barriere di montagne
contro il devastante
fuoco del giorno.


Le mie barriere sono queste montagne di nebbia, qui sull'altipiano riesco a sopportare le maschere e il tempo blindato e il fuoco del giorno che vorrebbe bruciare ogni cosa perché stenta a trovare un senso e un significato.

Ognuno si ingegna come può, i lupi sono guidati dalla loro indole lupesca, giocano, corrono, cacciano, si rifugiano nella loro tana piena dei fiori che sono rimasti intrappolati nelle loro pellicce.

La sacerdotessa vaga tra il bosco e la brughiera cercando erbe e levando al cielo implorazioni e preghiere per quelli che sono e per quelli che verranno.

Il re è sempre in attesa della sua regina e le scrive lettere d’amore infuocate che poi affida al vento, perché lei è ancora al di là delle Montagne della Nebbia e nessuno sa quando sarà il giorno in cui la vedremo arrivare.

Il poeta esce di rado e si arrabbia spesso per questo mondo di poche sillabe e troppe buone intenzioni che si disperdono nel pulviscolo animato dalla luce.

Poi ci sono io, la narratrice, a volta poetessa, a volte invisibile testimone dei tempi nuovi che arrivano. Annoto i minimi cambiamenti, conto le nuvole e le rondini, accarezzo gli alberi e i lupi, rassicuro i piangenti e gli insonni.

C’è sempre un modo per non darsi in pasto alla disperazione, se le risorse che abbiamo in noi scarseggiano ci sono la poesia e la musica, la notte e l’amore, i lupi che giocano e nuovi libri da studiare.

Bisogna cercare ogni mattina il bello del mondo.

A volte basta andare molto indietro nel tempo e in compagnia di un poeta del Novecento, il mio secolo, il secolo che è davvero morto con questa clausura e rivolgersi a chi, tra i primi ha colto la natura delle cose:


Lucrezio lo sapeva:
Apri il baule,
vedrai, è colmo di neve
che turbina
e a volte due fiocchi
s’incontrano, unendosi
oppure uno si volta, graziosamente
nella sua poca morte.
Di dove quel chiarore
in alcune parole
quando l’una non è che notte,
l’altra, solo sogno?
Di queste due ombre
che, ridendo, vanno
e l’una raggomitolata
in una lana rossa?


Lucrèce le savait:
Ouvre le coffre,
Tu verras, il est plein de neige
Qui tourbillonne.
Et parfois deux flocons
Se rencontrent, s’unissent,
Ou bien l’un se détourne, gracieusement
Dans son peu de mort.
D’où vient qu’il fasse clair
Dans quelques mots
Quand l’un n’est que la nuit,
L’autre, qu’un rêve?
D’où viennent ces deux ombres
Qui vont, riant,
Et l’une emmitouflée
D’une laine rouge?


Se una parola è notte e l’altra solo sogno, insieme come diranno la nostra inquietudine?

A quali parole intessute di luce daranno vita quando lasceranno che l’oscurità si ritiri oltre le montagne?

Una parola sarà giorno e l’altra solo attesa.

Una parola sarà luce e l’altra la nostra pazienza.

Una parola sarà amore e l’altra il tuo nome.


La prima poesia Ma cosa sono le mie parole è di Olav H. Hauge, tratta da
La terra azzurra
traduzione di Fulvio Ferrari
Crocetti editore 2008

La seconda poesia è De natura rerum di Yves Bonnefoy, tratta da
Quel che fu senza luce. Inizio e fine della neve 

traduzione di Davide Bracaglia
Einaudi 2001

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