martedì 19 maggio 2020

Cronache dall’anno senza Carnevale/72: alla fine di questa frase, comincerà la pioggia


Nei giorni nuvolosi l’aria è pensosa, invita a rinchiudersi nelle case, a scrutare il cielo in cerca di una schiarita.

Poi di nuovo si sente in cortile il canto degli uccellini e le rondini ricominciano la danza infinita con nuvole e vento.

Le giornate scorrono uguali una dietro l’altra, lavoro a casa chi ce l’ha, problemi per la riapertura, timore che i contagi ricomincino a salire dopo questi giorni dove si sta tornando a una sorta di normalità. Eppure è viva in tutti la sensazione che le settimane di lockdown siano lo spartiacque tra la vita di prima e quella di dopo, la nuova normalità come la chiamano ormai soprattutto i giornalisti. Ma andare in giro con mascherine e guanti monouso non è una cosa “normale”, come non è normale che non ci siano protocolli condivisi per la rilevazione di contagiati e di guariti. L’impressione complessiva che ne ho è che la riapertura sia una scelta obbligata per motivi economici e che si procederà per tentavi, errori e nuove chiusure.

Intanto, nel mio angolino di mondo, qui a Milano, ieri le strade e i bar aperti erano pieni di gente giovane che beveva spritz e chiacchierava a meno di metro di distanza uno dall'altro e con le mascherine appese al collo o sulla fronte. Le persone più anziane erano più che altro in coda per il supermercato o dal panettiere. Molti ristoranti, bar e pizzerie erano comunque chiusi e non davano l’idea di stare per riaprire. Per inciso: andare in giro con la mascherina non è una bella esperienza, oltre al respiro più difficile, si somma anche la difficoltà nel riconoscere le persone, anche quelle che incrociamo magari da decenni come i vicini e i negozianti di quartiere, per riconoscersi e salutarsi ci vuole quella manciata in più di secondi che fa rallentare il passo. Le ambulanze continuano a passare a sirene spiegate anche se molte meno che in marzo, nel pieno dell’emergenza.

Questo angolo di mondo non può certo esaurire le esperienze e le riflessioni, né tanto meno il desiderio feroce di poesia che mi attanaglia sempre, per questo oscillo tra la mia casa e la Casa delle Parole che sta ai piedi delle Montagne della Nebbia.

Per questo motivo chiedo sempre agli altri poeti parole che siano un segno e oggi a rispondermi è stato Derek Walcott:


Amore dopo amore

Tempo verrà
in cui, con esultanza,
saluterai te stesso arrivato
alla tua porta, nel tuo proprio specchio,
e ognuno sorriderà al benvenuto dell’altro,
e dirà: Siedi qui. Mangia.
Amerai di nuovo lo straniero che era il tuo Io.
Offri vino. Offri pane. Rendi il cuore
a se stesso, allo straniero che ti ha amato
per tutta la tua vita, che hai ignorato
per un altro che ti sa a memoria.
Dallo scaffale tira giù le lettere d’amore,
le fotografie, le note disperate,
sbuccia via dallo specchio la tua immagine.
Siediti. È festa: la tua vita è in tavola.

Love after love

The time will come
when, with elation
you will greet yourself arriving
at your own door, in your own mirror
and each will smile at the other's welcome,

and say, sit here. Eat.
You will love again the stranger who was your self.
Give wine. Give bread. Give back your heart
to itself, to the stranger who has loved you

all your life, whom you ignored
for another, who knows you by heart.
Take down the love letters from the bookshelf,

the photographs, the desperate notes,
peel your own image from the mirror.
Sit. Feast on your life.



La tripla vita che conduco, tra Milano, le poesie e l’Altipiano della Luna, mi offre squarci di verità e di amore che una sola dimensione non potrebbe offrirmi.

Vedo due giovani al loro primo amore che la pandemia ha bloccato, posso immaginare l’emozione del primo bacio dopo oltre due mesi, la gioia dei corpi che si avvicinano di nuovo.

Vedo un uomo che ha lasciato il suo tavolo di studio e lavoro e in giardino sta trapiantando cespugli di ribes nero e intanto continua a scrivere nel suo cuore una nuova aubade per la donna che ama.

Vedo una donna che fa fatica a infilare i giorni, si preoccupa per un figlio e una madre tristi, si arrende alla propria tristezza di cui è stanca e decide di chiedere aiuto.

Vedo un poeta devoto che ogni giorno compie la sua passeggiata solitaria e cerca un tavolino vuoto dove fermarsi a scrivere e quando lo trova è l’intero universo a concentrarsi in un quell'angolo proprio sotto ai suoi occhi.

Vedo persone che hanno ricominciato a vivere su Instagram e postano fotografie della loro vita esclusiva e meravigliosa.

Vedo persone che su Facebook si denudano, anima e corpo, come mai potrebbero fare nella vita reale. Ma in quel teatro artificiale il pubblico è invisibile ed è più facile pensare che un corpo nudo dica la verità, ancor più che una poesia o una dichiarazione d’amore.

Vedo i miei animali totemici affaccendati nella loro sacra animalità, i lupi corrono nella brughiera, le aquile scendono in picchiata incontro alla sacerdotessa, il puledro e la giovane volpe chiacchierano all'ombra di una quercia.

Vedo persone che cercano forza nella poesia e nello studio, alcuni hanno amato il silenzio e la concentrazione dei giorni di isolamento forzato. Io sono tra questi, alcune delle giornate più intense della mia vita le ho trascorse chiusa in casa a lavorare, leggere e scrivere, avendo come unici contatti con il mondo un po’ di Facebook e il telefono. Ma ricordate quante cose passano attraverso la voce? Spesso è la voce senza il volto, che magari pure conosciamo, a farci cogliere l’essenza della persona con cui parliamo. Arriviamo a cogliere ogni minima sfumatura e variazione e intuire lo stato d’animo, la tristezza o l’allegria anche senza risate improvvise che aprono il cuore.

Tutte le storie, d’amore e di vita, nascono, crescono e si diffondono da un unico punto.

Prima la vita nel suo nudo manifestarsi, poi un racconto che la diffonde, un altro racconto ancora, qualcun altro che ripete, qualcuno che inizia a scrivere, poi quelli che leggono e raccontano ancora. Così gli amori diventano immortali e alcune vite sono leggende che le generazioni si passano come un’eredità forte tanto quella dei geni e del DNA. Perché noi siamo fatti di storie, non solo di materia cieca che sa pensarsi. E quasi tutte le storie narrano l’amore, ricordato, perduto, vissuto, nascente, sperato. Un amore che non è solo quello tra due persone che si sono riconosciute all'improvviso, è amore per questa terra ferita, per questa vita che sfugge, per i sogni che restano tali, per i desideri che assillano la carne, per i baci che non abbiamo ancora dato, per quelli che ci sono stati negati.

Oscillo tra i miei tre mondi che in realtà non sono solo tre, ma molti di più. La memoria  e l’immaginazione sono le mie guide, le stelle mi accompagnano di notte, i poeti mi accompagnano sempre.



Arcipelaghi

Alla fine di questa frase, comincerà la pioggia.
All'orlo della pioggia una vela.

Lenta la vela perderà di vista le isole;
in una foschia se ne andrà la fede nei porti
di un'intera razza.

La guerra dei dieci anni è finita.
La chioma di Elena, una nuvola grigia.
Troia, un bianco accumulo di cenere
vicino al gocciolar del mare.

Il gocciolio si tende come le corde di un'arpa.
Un uomo con occhi annuvolati raccoglie la pioggia

e pizzica il primo verso dell'Odissea.


Archipelagoes

At the end of this sentence, rain will begin.
At the rain’s edge, a sail.

Slowly the sail will lose sight of islands;
into a mist will go the belief in harbours
of an entire race.

The ten-years war is finished.
Helen’s hair, a grey cloud.
Troy, a white ashpit
by the drizzling sea

The drizzle tighten like the strings of a harp.
A man with clouded eyes picks up the rain
and plucks the first line of the Odyssey.



Entrambe le poesie sono di Derek Walcott
Mappa del Nuovo Mondo
Traduzione di Barbara Bianchi, Gilberto Forti, Roberto Mussapi
Adelphi 1992


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