Nei
giorni nuvolosi l’aria è pensosa, invita a rinchiudersi nelle case, a scrutare
il cielo in cerca di una schiarita.
Poi di
nuovo si sente in cortile il canto degli uccellini e le rondini ricominciano la
danza infinita con nuvole e vento.
Le
giornate scorrono uguali una dietro l’altra, lavoro a casa chi ce l’ha,
problemi per la riapertura, timore che i contagi ricomincino a salire dopo
questi giorni dove si sta tornando a una sorta di normalità. Eppure è viva in
tutti la sensazione che le settimane di lockdown
siano lo spartiacque tra la vita di prima e quella di dopo, la nuova normalità
come la chiamano ormai soprattutto i giornalisti. Ma andare in giro con
mascherine e guanti monouso non è una cosa “normale”, come non è normale che
non ci siano protocolli condivisi per la rilevazione di contagiati e di
guariti. L’impressione complessiva che ne ho è che la riapertura sia una scelta
obbligata per motivi economici e che si procederà per tentavi, errori e nuove
chiusure.
Intanto,
nel mio angolino di mondo, qui a Milano, ieri le strade e i bar aperti erano
pieni di gente giovane che beveva spritz e chiacchierava a meno di metro di
distanza uno dall'altro e con le mascherine appese al collo o sulla fronte. Le persone
più anziane erano più che altro in coda per il supermercato o dal panettiere. Molti
ristoranti, bar e pizzerie erano comunque chiusi e non davano l’idea di stare
per riaprire. Per inciso: andare in giro con la mascherina non è una bella
esperienza, oltre al respiro più difficile, si somma anche la difficoltà nel
riconoscere le persone, anche quelle che incrociamo magari da decenni come i
vicini e i negozianti di quartiere, per riconoscersi e salutarsi ci vuole
quella manciata in più di secondi che fa rallentare il passo. Le ambulanze
continuano a passare a sirene spiegate anche se molte meno che in marzo, nel
pieno dell’emergenza.
Questo angolo
di mondo non può certo esaurire le esperienze e le riflessioni, né tanto meno
il desiderio feroce di poesia che mi attanaglia sempre, per questo oscillo tra
la mia casa e la Casa delle Parole che sta ai piedi delle Montagne della
Nebbia.
Per questo
motivo chiedo sempre agli altri poeti parole che siano un segno e oggi a rispondermi
è stato Derek Walcott:
Amore dopo amore
Tempo
verrà
in cui,
con esultanza,
saluterai
te stesso arrivato
alla
tua porta, nel tuo proprio specchio,
e
ognuno sorriderà al benvenuto dell’altro,
e dirà:
Siedi qui. Mangia.
Amerai
di nuovo lo straniero che era il tuo Io.
Offri
vino. Offri pane. Rendi il cuore
a se
stesso, allo straniero che ti ha amato
per
tutta la tua vita, che hai ignorato
per un
altro che ti sa a memoria.
Dallo
scaffale tira giù le lettere d’amore,
le
fotografie, le note disperate,
sbuccia
via dallo specchio la tua immagine.
Siediti.
È festa: la tua vita è in tavola.
Love
after love
The time will come
when, with elation
you will greet yourself arriving
at your own door, in your own mirror
and each will smile at the other's welcome,
and say, sit here. Eat.
You will love again the stranger who was your self.
Give wine. Give bread. Give back your heart
to itself, to the stranger who has loved you
all your life, whom you ignored
for another, who knows you by heart.
Take down the love letters from the bookshelf,
the photographs, the desperate notes,
peel your own image from the mirror.
Sit. Feast on your life.
La tripla
vita che conduco, tra Milano, le poesie e l’Altipiano della Luna, mi offre
squarci di verità e di amore che una sola dimensione non potrebbe offrirmi.
Vedo due
giovani al loro primo amore che la pandemia ha bloccato, posso immaginare l’emozione
del primo bacio dopo oltre due mesi, la gioia dei corpi che si avvicinano di
nuovo.
Vedo un
uomo che ha lasciato il suo tavolo di studio e lavoro e in giardino sta trapiantando
cespugli di ribes nero e intanto continua a scrivere nel suo cuore una nuova aubade per la donna che ama.
Vedo
una donna che fa fatica a infilare i giorni, si preoccupa per un figlio e una
madre tristi, si arrende alla propria tristezza di cui è stanca e decide di
chiedere aiuto.
Vedo un
poeta devoto che ogni giorno compie la sua passeggiata solitaria e cerca un
tavolino vuoto dove fermarsi a scrivere e quando lo trova è l’intero universo a
concentrarsi in un quell'angolo proprio sotto ai suoi occhi.
Vedo persone
che hanno ricominciato a vivere su Instagram e postano fotografie della loro
vita esclusiva e meravigliosa.
Vedo persone
che su Facebook si denudano, anima e corpo, come mai potrebbero fare nella vita
reale. Ma in quel teatro artificiale il pubblico è invisibile ed è più facile
pensare che un corpo nudo dica la verità, ancor più che una poesia o una
dichiarazione d’amore.
Vedo i
miei animali totemici affaccendati nella loro sacra animalità, i lupi corrono
nella brughiera, le aquile scendono in picchiata incontro alla sacerdotessa, il
puledro e la giovane volpe chiacchierano all'ombra di una quercia.
Vedo persone
che cercano forza nella poesia e nello studio, alcuni hanno amato il silenzio e
la concentrazione dei giorni di isolamento forzato. Io sono tra questi, alcune
delle giornate più intense della mia vita le ho trascorse chiusa in casa a
lavorare, leggere e scrivere, avendo come unici contatti con il mondo un po’ di
Facebook e il telefono. Ma ricordate quante cose passano attraverso la voce? Spesso
è la voce senza il volto, che magari pure conosciamo, a farci cogliere l’essenza
della persona con cui parliamo. Arriviamo a cogliere ogni minima sfumatura e
variazione e intuire lo stato d’animo, la tristezza o l’allegria anche senza
risate improvvise che aprono il cuore.
Tutte le
storie, d’amore e di vita, nascono, crescono e si diffondono da un unico punto.
Prima la
vita nel suo nudo manifestarsi, poi un racconto che la diffonde, un altro
racconto ancora, qualcun altro che ripete, qualcuno che inizia a scrivere, poi
quelli che leggono e raccontano ancora. Così gli amori diventano immortali e
alcune vite sono leggende che le generazioni si passano come un’eredità forte
tanto quella dei geni e del DNA. Perché noi siamo fatti di storie, non solo di
materia cieca che sa pensarsi. E quasi tutte le storie narrano l’amore,
ricordato, perduto, vissuto, nascente, sperato. Un amore che non è solo quello
tra due persone che si sono riconosciute all'improvviso, è amore per questa
terra ferita, per questa vita che sfugge, per i sogni che restano tali, per i
desideri che assillano la carne, per i baci che non abbiamo ancora dato, per
quelli che ci sono stati negati.
Oscillo
tra i miei tre mondi che in realtà non sono solo tre, ma molti di più. La memoria e l’immaginazione sono le mie guide, le
stelle mi accompagnano di notte, i poeti mi accompagnano sempre.
Arcipelaghi
Alla
fine di questa frase, comincerà la pioggia.
All'orlo
della pioggia una vela.
Lenta
la vela perderà di vista le isole;
in una
foschia se ne andrà la fede nei porti
di
un'intera razza.
La
guerra dei dieci anni è finita.
La
chioma di Elena, una nuvola grigia.
Troia,
un bianco accumulo di cenere
vicino
al gocciolar del mare.
Il
gocciolio si tende come le corde di un'arpa.
Un uomo
con occhi annuvolati raccoglie la pioggia
e
pizzica il primo verso dell'Odissea.
Archipelagoes
At the end of this sentence, rain will begin.
At the rain’s edge, a sail.
Slowly the sail will lose sight of islands;
into a mist will go the belief in harbours
of an entire race.
The ten-years war is finished.
Helen’s hair, a grey cloud.
Troy, a white ashpit
by the drizzling sea
The drizzle tighten like the strings of a harp.
A man with clouded eyes picks up the rain
and plucks the first line of the Odyssey.
Entrambe
le poesie sono di Derek Walcott
Mappa
del Nuovo Mondo
Traduzione
di Barbara Bianchi, Gilberto Forti, Roberto Mussapi
Adelphi
1992
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