giovedì 28 maggio 2020

Cronache dall’anno senza Carnevale/81: sei tu che stringi il silenzio, tu che tieni sillabe e parole

Tutti aspettavano di vederla arrivare in sella a un destriero focoso, bianco o nero non aveva importanza, tutti aspettavano di contare il numero dei suoi cortigiani, di vedere quanto belle fossero le dame e arditi i cavalieri.

Ma questo accade nelle favole, non nella città silenziosa, non ai piedi delle Montagne della Nebbia.

È arrivata! È arrivata la regina! È arrivata a piedi e scalza, con i lunghi capelli sciolti sulle spalle, un abito cremisi e uno scialle di veli intrecciati che smuoveva il vento e la faceva apparire e sparire alla nostra vista, perché i veli prendono il colore dello sfondo e la regina sembrava sbucare prima dalle nuvole, poi dal bosco, poi dal giardino, poi dal muro della casa e infine dai cespugli della brughiera. Prima che il re riuscisse ad avvicinarsi, i lupi e le aquile si sono disposti a semicerchio intorno a lei. Le tigri dal mantello cangiante quanto il suo scialle si sono sdraiate accanto ai lupi e tutto è diventato silenzio e tutto era attesa.

La narratrice, cioè io, e il poeta abbiamo smesso di scrivere e abbiamo iniziato ad aspettare. La sacerdotessa e il guerriero sapiente sono usciti dalla Casa delle Parole, in processione per introdurre il re. Il guerriero è andato a prenderla e gentilmente l’ha accompagnata dal suo sposo.

Dai racconti della sacerdotessa ho appreso che sono sposati da millenni e che da millenni si inseguono perché un incantesimo li tiene lontani. Doveva capitare che il tempo si fermasse in tutti i mondi e le aquile rispondessero al richiamo della sacerdotessa e alle implorazioni della mia voce. Il guerriero ha aperto la strada per il suo ritorno, non ha neanche dovuto combattere i draghi della notte che il silenzio estremo delle settimane passate ha fatto cadere in un sonno profondo. Ora la nostra misteriosa amica cercherà di spezzare quell'incantesimo e per farlo avrà bisogno di ciascuno di noi, della narratrice con il poeta, di se stessa con il guerriero, del re e della regina, delle coppie gioiose di lupi, aquile e tigri. Anche del puledro e della volpe che parlano la mia stessa lingua.

Felici siamo felici quassù, sull'Altipiano della Luna, perché i mondi si sono avvicinati, perché memoria e immaginazione creano insieme, perché le mie parole si intrecciano con quelle del poeta, perché la sacerdotessa studia con il suo sapiente guerriero, perché il re finalmente si è avvicinato alla sua regina seguito dalla corte delle lettere che ha scritto per lei senza poterle spedire, le serenate e le aubade che le ha scritto nei secoli e che ci ha letto sera dopo sera durante la sua attesa infinita.

Mi chiedo cosa accadrà adesso che sono finalmente insieme. Li guardo mentre si avvicinano, si abbracciano guardandosi negli occhi, si baciano mentre i veli della regina avvolgono entrambi ed entrambi spariscono dietro le folate di vento e le nebbie che scendono verso l’Altipiano.

Forse è vero, davvero, che l’amore è più forte di ogni cosa, che l’amore vince il tempo e le distanze. Per discrezione mi allontano dalla brughiera, mentre ciascuno riprende le attività prevalenti: i lupi strofinano i musi e corrono, le tigri vanno a fare il bagno, le aquile tornano nel loro nido, la sacerdotessa e il guerriero sapiente sono già chini sui loro libri. Solo il poeta se ne torna con me nella città che era silenziosa.

Vorrei scrivere la storia del re e della regina – gli dico.

E io una poesia – mi risponde.

Mi siedo dall'altro lato del tavolino e apro il mio quaderno, lui fa altrettanto con uno dei suoi taccuini intonsi.

Come passa veloce il tempo quando si scrive, com'è bello avere una prima versione compiuta per poterla correggere, come mi piace ricominciare e vedere cosa succede.

Il poeta sorride, sa di cosa sto parlando.


Parlo di te, anche quando non
pronuncio il tuo nome, sei tu
che leghi ogni lettera dell’alfabeto
a creare sillaba dopo sillaba, è
la tua mano che traccia i segni
sulla carta e i segni sono poesia
anche nelle lingue che non
conosciamo. Sei tu l’alba gioiosa
che mi viene incontro e sei tu
la notte profumata dai gelsomini.
Scrivo di te senza che il tuo nome
risuoni, mi piace ascoltare il suono
della tua voce che legge le poesie
per me e il vento. Sei tu che crei
il silenzio tra le parole e io ne
bevo come a una fonte e le mie
parole pure con quest’acqua
mistica trovano ristoro.
Taccio, non parlo e non scrivo.
Ti guardo, mi sorridi. L’ultima
parola è sempre quella: sono
arrivata, amore.


Ma questa poesia non è per il re e la regina – mi dici.

No, è una poesia per tutti coloro che amano e scrivono, per tutti coloro che soffrono la lontananza e hanno paura del futuro. Ma attraversano il fuoco e alimentano la fiamma del silenzio. I poeti possono custodire le parole e lasciarle andare allo stesso tempo, possono stringere il silenzio contro il petto e sentirlo palpitare e, poi, vederlo scappare via con i lupi nel buio della notte che viene.


La poesia dà il titolo a questa Cronaca 81: sei tu che stringi il silenzio, tu che tieni sillabe e parole e l’ho scritta appositamente oggi 28 maggio dell'anno 2020, nel tardo pomeriggio.

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