Chiedete a una donna di
raccontarvi una storia d’amore e vi parlerà di fughe, cadute e redenzioni.
Chiedete a un uomo di
parlarvi di una storia d’amore e vi parlerà di inseguimenti, fame e conquista.
Non sono luoghi comuni,
o forse lo sono, ma affondano le radici in una storia condivisa dove le parti
sembrano più occupate a recitare ruoli consolidati, noti e stanchi che
avventurarsi nell’oceano sconosciuto di un amore nuovo.
Ne parlo con i lupi e il
loro amore non ha bisogno di essere detto, le pellicce sono intessute di fiori
e profumi, gli occhi scintillano e a ogni passo uno dei due intreccia una zampa
con la zampa dell’altro, tocca il muso con il suo muso e si stringe al fianco perché
due lupi innamorati sono una forza che nessun inverno può scalfire, solo la
primavera sa attirarli fuori dalla loro tana e spingerli a giocare nella
brughiera.
I lupi sono animali
felici.
Il poeta è sempre seduto
al tavolino, scrive, cancella, corregge e poi ricomincia da capo.
Scegliere l’amore come
soggetto di una poesia è sin troppo facile – mi dice –, preferisco scavare nell’ombra
ignota e cercare dove si è nascosta la musa che io amo. Niente è più pericoloso
di una musa recalcitrante – mi dice –, meglio cercare una collaborazione e
continuare a scrivere e cancellare, sino a quando non mi verrà la nausea per le
mie stesse parole e allora, solo allora, quando sentirò che la matita è
esausta, che il foglio non sopporterebbe un’ultima cancellatura, allora saprò
che la poesia è finita e potrò lasciarla andare come una foglia nel vento. Della
sua musa non mi dice il nome, dice invece che ormai dovrei saperlo e dovrei
averlo imparato a memoria insieme all’ultima aubade che le ha dedicato. O almeno leggi – mi dice – il maestro
indiscusso di tutte le aubade mai
scritte:
Il
sorgere del sole
Vecchio stolto
faccendiere, sole dissennato,
perché così,
attraverso vetri e tende
vieni a visitarci?
Le stagioni degli amanti
devono volgere
ai tuoi movimenti?
Sfacciato dannatissimo
pedante, va a strapazzare
gli scolari in ritardo,
i garzoni inveleniti,
va a dire ai cacciatori:
il Re vuole cavalcare,
chiama le formiche dei
campi alle fatiche del raccolto,
immutabile l'amore non
conosce climi e stagioni,
non giorni, mesi, e ore,
del tempo solo i brandelli.
Perché pensi che i tuoi
raggi
siano tanto potenti e
venerandi?
Con un battito di ciglia
potrei eclissarli,
obnubilarli, se non che
non vorrei
non vedere lei tanto a
lungo.
Se i suoi occhi non
hanno accecato i tuoi,
guarda, e domani quando
è tardi dimmi
se le Indie delle spezie
e delle miniere
sono dove le lasciasti,
o sono qui da me.
Chiedi dei Re che hai
visto ieri,
ti sarà detto, che
giacciono tutti qui in un letto.
Lei è tutti gli stati,
io sono tutti i principi,
nient'altro esiste.
A paragone i principi
non recitano che la nostra parte,
ogni onore è mimica,
ogni ricchezza è alchimia.
Tu sei felice, oh sole,
molto meno di noi,
in cui il mondo si è
così contratto;
la tua età richiede agi,
il tuo compito
è di scaldare il mondo -
scaldaci, ed è fatto.
Splendi su noi e sarai
dovunque,
questo letto è il tuo
centro, queste pareti la tua sfera.
Il re è malinconico,
sospira a sentire questa aubade perché
la sua regina non è ancora arrivata. Si alza dal sofà, dove ormai vive, e va a
buttare nel camino gli ultimi fogli che ha scritto. Non posso presentarle quest’ultima
poesia – mi dice –, degno o non degno del suo amore io devo scintillare sulla
tolda della mia nave e anche grazie alle mie parole di poesia e amore so che la
regina mi riconoscerà.
La sacerdotessa è sempre
la più tranquilla, lascia che la tempesta le scivoli accanto e, di nascosto,
forse, scrive ancor di più del poeta e del re.
Tutti con una penna in
mano in questa casa e quaderni intonsi, matite ben temperate.
So cosa stai pensando –
mi dice –, la maggior parte delle persone è impegnata a vivere non certo a
scrivere come si fa qui nella casa affollata. A proposito, smetti di chiamarla
la casa affollata, questa dimora è degna di un nome che la contraddistingua e
io ti propongo la Casa delle Parole.
Annuisco senza proferire
parola, la sacerdotessa sa molto più di quanto non mi abbia raccontato e io le
sono grata per la sua discreta presenza, per le preghiere e i canti che mi sta
insegnando, per lo sguardo vuoto che sa riempirsi di futuro.
Le persone vivono l’amore,
qualcuno lo racconta, qualcuno lo canta. È a noi assediati dai versi che i
nostri simili chiedono le parole d’amore per cantare l’essere amato, la sua
assenza o la lontananza. È una grande responsabilità – mi dice –, non possiamo
accontentarci di parole comuni, certo le possiamo usare, ma le dobbiamo riporre
nel nido della forma e soffiare quell’alito di vento che dia loro il giusto
ritmo. Sei d’accordo con me – mi dice –, o frequenti altre impostazioni
poetiche che non hanno seguito nel mondo delle sillabe?
La lascio a vaticinare
il volo delle rondini e delle nuvole, il guerriero, o mago o viandante che
aspetta prima o poi arriverà, come la regina.
Resto solo io, io da
sola, la narratrice e scrivo contro il tempo, combatto l’oblio e trasformo
questi istanti in parole che torneranno in vita a ogni vostra lettura. Non ho
scelto di appartenere a questa schiera di insoliti scrivani, è capitato e io ho
accettato la chiamata.
Per questo posso vagare nella
città silenziosa allo stesso tempo che nella Casa delle Parole, e non sentire
il distacco, non avere rimpianti, non cullare le disillusioni e scoprire ogni
giorno nella poesia che la vita è tenace, che l’amore lo è ancora di più e sa
aspettare, tessere e disfare. La poesia vive anche senza le parole dolenti e dolci
degli innamorati, la città si popola anche senza desideri, la notte scende e
noi viviamo in attesa di una nuova aubade,
come il poeta che sa trasformare il tempo lineare e vuoto in un gorgo d’amore
che illumina il giorno nuovo. La donna resta il solo mistero e il poeta se ne
ammanta e si lascia bruciare.
La donna al sole
È solo che questo calore e movimento sono come
Il calore e il movimento di una donna.
Non è che ci sia un’immagine nell’aria
Né l’inizio o la fine di una forma:
C’è il vuoto. Ma una donna d’oro compatto
Ci brucia col tocco della veste.
E un’abbondanza dissociata d’essere,
Più definita per ciò che è lei -
Perché lei è disincarnata,
E porta l’odore dei campi estivi,
E confessa il taciturno e insieme indifferente,
Invisibile ma chiaro, il solo amore.
The sun rise by John Donne
Busy old fool, unruly sun,
Why dost thou thus,
Through windows, and through curtains call on us?
Must to thy motions lovers' seasons run?
Saucy pedantic wretch, go chide
Late school boys and sour prentices,
Go tell court huntsmen that the king will ride,
Call country ants to harvest offices,
Love, all alike, no season knows nor clime,
Nor hours, days, months, which are the rags of time.
Thy beams, so reverend and strong
Why shouldst thou think?
I could eclipse and cloud them with a wink,
But that I would not lose her sight so long;
If her eyes have not blinded thine,
Look, and tomorrow late, tell me,
Whether both th' Indias of spice and mine
Be where thou leftst them, or lie here with me.
Ask for those kings whom thou saw'st yesterday,
And thou shalt hear, All here in one bed lay.
She's all states, and all princes, I,
Nothing else is.
Princes do but play us; compared to this,
All honor's mimic, all wealth alchemy.
Thou, sun, art half as happy as we,
In that the world's contracted thus.
Thine age asks ease, and since thy duties be
To warm the world, that's done in warming us.
Shine here to us, and thou art everywhere;
This bed thy center is, these walls, thy sphere.
“The Woman in Sunshine” by Wallace Stevens
It is only that this warmth and movement are like
The warmth and movement of a woman.
It is not that there is any image in the air
Nor the beginning nor end of a form:
It is empty. But a woman in threadless gold
Burns us with brushings of her dress
And a dissociated abundance of being,
More definite for what she is—
Because she is disembodied,
Bearing the odors of the summer fields,
Confessing the taciturn and yet indifferent,
Invisibly clear, the only love.
The Woman in Sunshine by Wallace Stevens è tradotta da Nadia Fusini per il volume Aurore d’autunno. Adelphi 2014
It is only that this warmth and movement are like
The warmth and movement of a woman.
It is not that there is any image in the air
Nor the beginning nor end of a form:
It is empty. But a woman in threadless gold
Burns us with brushings of her dress
And a dissociated abundance of being,
More definite for what she is—
Because she is disembodied,
Bearing the odors of the summer fields,
Confessing the taciturn and yet indifferent,
Invisibly clear, the only love.
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