martedì 5 maggio 2020

Cronache dall’anno senza Carnevale/58: lo spazio chiede silenzio mentre la luce ama le carenze

Il viaggio tra la casa affollata e la casa nella città silenziosa è molto breve. 

Mi basta uscire dalla porta che si affaccia sulle Nebbie e con pochi passi ritorno nella casa del mio hortus conclusus

Qui posso vedere se il gelsomino è entrato nella piena fioritura, se l’albero bellissimo si è riempito di foglie, se i libri si sono moltiplicati nei loro modi singolari di riprodursi e in effetti ne trovo sul tavolo della cucina più di quanti non ricordassi di averne lasciati.

La città è ancora molto silenziosa, tranne che per il suono delle sirene che fende l’aria fresca cui si appendono le nuvole.

Esco a passeggiare in compagnia di Siri Hustvedt:

“Le radici della quercia sporgevano dalla ripida scarpata alle spalle della nostra casa, e si attorcigliavano creando un seggio regale, dove una sovrana poteva sedersi e contemplare il suo regno e perdersi in fantasticherie lasciando che i suoi pensieri veleggiassero verso l’inesprimibile e il sacro, e a quel punto io non ero più «io» ma un essere disseminato nel fruscio delle fronde che si muovevano in alto e nell'umido odore del letto del torrente e nei rami fradici che si andavano disfacendo e nei punti in cui la luce del sole saltava fra le foglie di equiseto. Quell'essere trascendente aveva la testa leggera come un palloncino pieno d’elio e saliva su, su, su, fra nuvole costellate di scintille. Ma gli strani viaggi che facevo fuori di me erano un segreto. Li conservavo in una tasca speciale sotto le costole, una tasca che solo Dio e gli angeli potevano vedere”.

Non ho la quercia della mia infanzia da circumnavigare ma il mio albero bellissimo mi aspetta.

Lo accarezzo, appoggio la mano sulla mia impronta come faccio da più di trenta anni, non ho scavato io quella forma nella corteccia, era già lì e io ho solo dovuto appoggiare la mano e sentire l’energia vitale dell’albero che mi attraversava e scambiare con lui quelle mute riflessioni che negli anni ci hanno legato. Anche questo è un segreto che ho tenuto per me per così tanto tempo.

Chiedo all’albero se vuole venire con me sull'Altipiano della Luna, proprio a ridosso delle Montagne della Nebbia.

Ma l’albero scuote le fronde verdeggianti e mi dice che gli piace stare dov’è, a conversare con i gelsomini e con le rondini, a solleticare le nuvole più basse e a fare fronte contro il vento anziché assecondarlo. Le sue radici sono ormai arrivate alle due piazze su cui sbucano le vie ad angolo dove si erge la casa, sotto la superficie ha conosciuto molte creature e non si annoia mai. Così è la vita di un albero, sembra immobile ma è tutto un fervere di vita sopra e sotto e tutto intorno.

Anche le due antiche querce che si erigevano davanti al palazzo di uffici dove ho lavorato tantissimi anni avevano questa vita sotterranea:

Dall’occaso

Ho visto le due querce
dopo sedici anni, erano
lì anche allora, mattina
dopo mattina. Ma ieri
le ho viste la prima volta
mentre la nebbia mista a
buio calava su noi. Due
tronchi forti, lontani, più
scuri della notte, con i rami
tutti intrecciati. Sotto la terra
sentivo le radici stringersi
nell’abbraccio immortale di
chi ama senza essere visto.
Sopra il cielo le tue foglie
accarezzavano le mie.


Saluto l’acero riccio con un’altra carezza e mi incammino verso il giardino dove adesso si può entrare. I lupi mi hanno raggiunta e vogliono venire con me, accarezzo il lupo sul muso e subito la lupa mi sfiora con una zampa perché anche lei vuole sentire il tocco della mia mano e io l’accontento.

Il giardino è vuoto, niente bambini che corrono, niente anziani che prendono il sole a occhi chiusi. Ci fermiamo alla fontanella dove l’acqua scorre senza sosta. Qui a Milano le chiamano “vedovelle”, forse perché il flusso dell’acqua ricorda il pianto inconsolabile delle vedove, o “draghi verdi” perché l’acqua esce da una testa di drago.

La città è talmente vuota e frastornata per la lunga clausura che nessuno bada a me e ai lupi, forse i passanti credono che si tratti di cani e quindi neanche si fermano a guardare.

Torniamo a casa e i lupi mi aspettano in cortile, raccolgo qualche libro che ho promesso al poeta e alla sacerdotessa e poi ritorniamo nel giardino della casa affollata, il passaggio è semplice, bisogna attraversare il giardino della città silenziosa all'incrocio delle strade dove passavano gli operai.

I lupi se ne vanno di corsa a rotolarsi nei prati pieni di fiori, io guardo le montagne che sono verdi e blu di solito a quest’ora, mentre oggi a causa delle nuvole sono grigie e argento, così una poesia si presenta alla porta:


Cime grigie

A mano a mano che il giorno cala il paesaggio si
semplifica. Cancella alberi, scava ombre elementari, è
una terra più concisa.
La concisione è un grande pregio; ma dire meno,
meno ancora…
Lo spazio chiede silenzio. Tramonta. Guarda le
cime grigie, guarda le nubi che si disfano, gli strappi
scuri nella trama delle nuvole. Guarda la luce come li
riempie, come penetra nei vuoti…
La luce ama le carenze, i buchi neri che la attirano
nel buio.


È ora di rientrare, non so ancora chi troverò nella casa, anche se il messaggero ha annunciato che Giovanna d’Arco arriverà con il suo esercito e le visioni. Cosa ne penseranno, il re che aspetta la sua regina, il poeta e la sacerdotessa che parlano fitto fitto davanti al fuoco?

Nessuno si gira a salutarmi, non ce n’è bisogno, tutti conosciamo i respiri e i pensieri degli altri.

La casa siamo noi in questo tempo sospeso tra un mondo scomparso e l’altro non ancora nato.

Le poesie di oggi sono:
Dall’occaso
Elena Petrassi
Sillabario della Luce
Moretti&Vitali editore 2007


Cime grigie

Danilo Bramati
Il fiore dell'assenza
Atì editore 2016


Il brano di Siri Hustvedt è tratto da
Ricordi dal futuro
traduzione di Laura Noulian
Einaudi 2019

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