giovedì 30 aprile 2020

Cronache dall'anno senza Carnevale/53: l'aria del poema è l'inaspettato


C’era un tempo in cui i poeti davano parola a se stessi, in altri tempi i poeti davano parola al mondo e in altri ancora davano parola all'umanità, alle stelle o al silenzio.

La parola poetica è la parola detta, quella che resta incisa nella lingua e nella gola, che non abbandona più chi l’ha scritta prima e chi l’ha pronunciata dopo.

La solida permanenza della parola pronunciata si disperde però nelle parole di Osip Mandel'štam quando scrive che “l'aria del poema è l'inaspettato”.

Aria e inaspettato sono le due parole chiave di questa enunciazione il cui ponte è costituito dalla parola “poema”.

Mandel'štam è poeta - dei poeti e della poesia bisogna parlare al presente, perché a ogni lettura avviene la resurrezione di chi scrive e l’incarnazione di una parola che resta – dalle metafore ardite, come scrive Angelo Maria Ripellino:

accostando in misture inattese opposti campi semantici, rendendo tangibili con virtuosistici intarsi di abbaglianti similitudini e suoni, gli odori, le «meraviglie» dei versi altrui, dei paesaggi, di eventi lontani e dell’ambiente giudaico della sua infanzia. Per cogliere l’identità delle cose distanti, egli tende la vista «come un guanto di pelle di daino» (e riesce così a percepire e ad immettere nella densissima sigla d’una metafora tutto quello che sta fuori campo, attorno al punto focale, il contiguo), quasi il suo sguardo, asimmetrico come gli occhi di certi pesci, potesse simultaneamente imbricare differenti assi ottici”.

Padroneggiare le metafore è il primo segno distintivo dei poeti-lupo, quelli che attraversano la tempesta e il bosco, la bufera di neve e la notte più scura.

Fabio Pusterla scrive di Mandel'štam nel libro Il nervo di Arnold:

“Lo stlanik- cioè il pino siberiano – (…) può rappresentare laforza e la fragilità, la pacificacaparbietà dellaparola poetica? Meloauguro.
Tantopiùche, inmezzo ai boschi dove crescelostlanik, è passato davvero,molti annifa,ungrandepoeta, OsipMandel'štam,sulla via delladeportazioneche lavrebbecondottoallamorte; e allora quandopenso allo stlanika me viene subito inmente la figuradiun altropoeta,Philippe Jaccottet,cheuna voltaaFrancoforte,leggendo appuntolesuetraduzionifrancesidi alcunepoesie di Mandel'štam,si è alzato in piedi (lui, di solito così timido eriservato), e con voce piùaltadel normaleha detto che iversidi Mandel'štam sembrano dirci, ancora oggi: «In piedi,alziamoci inpiedi!Ancheneimomentipeggiori,anchenellepeggioricondizioni: su, inpiedi,camminiamo!»

Camminano, dunque, i poeti-lupo e scrivono e le loro poesie fioriscono anche in mezzo alle intemperie e alle avversità, forse se ne nutrono e fanno risplendere l’universo di metafore.

Lo stesso Mandel'štam scrive nelle sue Conversazioni su Dante:

“Quando pronunciamo, ad esempio, la parola “sole, non liberiamo un significato bell'e pronto, ma passiamo attraverso un ciclo tutto particolare. Ogni parola è un fascio di significati, e un significato affiora da esso per irradiarsi in varie direzioni, senza mai convergere in un solo punto ufficiale. Pronunciando "sole", noi compiamo una sorta di enorme tragitto a cui siamo talmente abituati che viaggiamo immersi nel sonno. La poesia si distingue dal linguaggio automatico proprio in quanto ci sveglia e ci riscuote nel bel mezzo della parola.
Questa risulta allora molto più lunga di quanto pensassimo, e ci rammentiamo che parlare significa essere sempre in cammino”. 
Ma il cammino dei poeti-lupo non si dispiega solo nel fango e nella neve. Spesso devono attraversare campi di stelle e strade di sillabe.

Come collegare tutte le lettere dell’alfabeto, tutte le sillabe, tutte le metafore e similitudini in un Oceano di senso?

Come fanno le stelle a parlare tra loro se hanno solo la luce e lo spazio per comunicare?

I lupi si sono seduti accanto a me mentre rileggo queste riflessioni scritte a mano.

Sembra che capiscano, hanno capito, conoscono la parola lupo in tutte le lingue, la abbinano alla parola poeta, alla parola stella, alla parola oceano.

I fili invisibili della poesia si annodano a quelli della comprensione.

Andiamo! Li esorto, andiamo a camminare in questo tramonto di nuvole e pensiero.

Conteremo la nuova notte ferita di nostalgie, declineremo una poesia nella lingua dei lupi, li lasceremo ululare e poi, a bassa voce, renderemo omaggio al nostro poeta.






La stessa rosa

Come acqua oscura bevo la torbida aria,
il vomere ha arato il tempo e la rosa
fu già terra.
Osìp Mandel’stam

Se la rosa fu già terra
e dall’aria torbida, dal sole
rinato alla terra ritornerà,
da quale inchiostro, da quale
carta nacquero quelle parole
così amate?
Come il legno genera fumo e
cenere dopo la fiamma,
così questa attesa divampa
nel nuovo inverno che batte
alla mia porta: imita il tuo
passo e scioglie il gelo che
assedia la mia fiamma e
la stessa rosa.

Elena Petrassi

Figure del silenzio
Atì editore 2010


1 commento:

Camilla Miglio ha detto...

Anche io sto rileggendo Mandel'stam, e proprio quei passaggi che hai citato. Grazie, vanno al centro di una poesia possibile, oggi di nuovo.
Lo dice anche la tua, di poesia. Buon primo maggio