Mi fermo a
prendere fiato, il sentiero è ancora in salita, il bosco di conifere è ancora
fitto intorno a noi. I lupi mi aspettano poco più avanti, non sono stanchi, non
hanno paura, nemmeno io ho paura quando siamo insieme.
Riprendiamo il
cammino, il bosco finisce, si apre un prato immenso davanti a noi, vedo un
ruscello i lupi corrono a bere, li seguo con il mio passo che non sente più la
fatica.
Sono sullo
stesso sentiero ma è inverno, la pelliccia dei lupi è quasi bianca, sempre mi
precedono e mi aspettano se rallento. La cascata è una fontana di ghiaccio che
scintilla al sole come tutta la neve intorno. Sono accecata da tutto quel
biancore, mi proteggo gli occhi, respiro, la luce entra in me e si ferma, mi
pulisce i polmoni, com'è fredda quest’aria, com'è scintillante la vita che
dorme sotto la coltre di neve.
I prati
estivi verdi e assolati si confondono con quelli invernali, i colori prevalenti
sono due, i lupi corrono e giocano, saltano dall'estate all'inverno a loro
piacimento, mutano il mantello come se bastasse solo il desiderio a rendere
reale il loro gioco amoroso. Questa valle, la Val Zebrù, è un luogo incantato
che vive in me in tutte le stagioni dell’anno anche se adesso non posso
ritornare, non posso vederla e camminare.
Cammino, di
nuovo, con i lupi poco davanti a me. Il bosco è ancora più fitto, i passi si
confondono con passi che ancora non sono stati. Cammino nella Foresta Umbra, la
foresta cupa, ombrosa nel parco nazionale del Gargano, c’è con me mia cugina
Silvana, ci siamo allontanate dalle famiglie che stanno allestendo i tavoli per
la scampagnata, non mi interessa tornare indietro, a ogni svolta del sentiero
la incito a continuare, non torneremo che dopo diverse ore, dopo che tutti ci
stavano cercando. I lupi non mi hanno mai abbandonata, quel sentiero nel bosco
è ritornato anni dopo in una poesia
Il poeta seduto
Erano due le
bambine,
imboccarono
il sentiero
non vollero
fermarsi
non si
girarono a
nessuna
svolta.
Dopo tanti
anni
la maggiore
ancora
cammina
attraverso
la notte,
incontro al
poeta seduto
dall'altro
lato del
tavolo.
Non sto ferma
cammino, il sentiero è tutto in salita, ma il Cirque de Gavarnie abbraccia
questo angolo di mondo, questo cielo di Francia, tutto per noi. I lupi sono tornati a casa, fiutano l’aria,
giocano e si rotolano nei prati. Io arrivo fino al rifugio di pietra grigia,
non c’è nessuno, solo io e i lupi. Mi sdraio tra l’erba, guardo il cielo, un cielo
fatto di cieli, tesso insieme questo cielo che guardo e i cieli della Lombardia
e della Puglia, come si assomigliano i cieli se li guardi con occhio distratto.
Qui l’aria è più fine, respiro, l’aria è verde, mi tonifica, cuce insieme i
ritagli di tempo, sono i lupi a dirmi che bisogna tornare.
Cammino tra
abeti altissimi siamo sulla montagna di Fagnano Castello in Calabria, Fagnano che forse
deriva dall’ebraico hanan, nebbia,
nube. Non si capisce infatti se siano nuvole basse o una nebbiolina leggera ad
avvolgere il nostro cammino. Arriviamo alla nostra meta, una radura chiamata Occhi di lupo. E i lupi lo sanno di
essere a casa, ho diciotto anni da poco, in quella radura li avrò per sempre, i
ciclamini selvatici sono rossi come le fragoline di bosco, li vedo quando la
nebbia si dirada dispersa dal sole che cerca di farsi strada tra i rami.
La montagna
appartiene alla famiglia Antonucci, dei cugini di non so più quale grado, in
qualche modo si è tutti imparentati in questo scorcio di mondo, mi sembra
impossibile che la montagna o il cielo possano appartenere a qualcuno, loro
sono allegri, gentili e cordiali, il cibo e il vino vengono disposti su larghe
tovaglie nel prato, è una festa, una festa grande per tutti noi che siamo
arrivati lassù. Il profumo della resina
è inebriante, sono stanca, mi sdraio a contare le lame di luce che attraversano
i rami fitti degli abeti, tesso anche questi fili di cielo nel mio cielo fatto
di cieli.
Capisco solo
ora, all'improvviso, cosa hanno in comune questi cieli che mi assediano gli
occhi, in nessuno, nessuno di loro, c’è la minima traccia di una nuvola.
Io che amo le
nuvole, amo anche la loro assenza.
Il cielo non
è mai vuoto, è attraversato dal ricordo di ogni volo, dalle nuvole scanzonate,
dal vento che gioca, dal vento che scherza con una nuvola o con la sua assenza.
Ora mi fermo
davvero, resto, ferma, in silenzio e scrivo.
Scrivo nel vento, scrivo il vento.
A chi porterò il silenzio?
Il giardino
chiama il mare attraverso
il vento e
risponde il mare anche
nelle
giornate più lunghe e chiare
della nostra
primavera. A chi porterò
il silenzio?
Si chiede il giardino.
A chi
risponderò? Portami le onde,
lascia che l’acqua
sfiori le mie rive
e non bruci
le più tenere foglie che
il sole mi
contende.
Il mare
ascolta e un po’ sorride,
come solo la
spuma sa fare, un po’
beffarda, un
po’ nostalgica: scegli
ti dice,
scegli e non guardare
indietro.
Il tempo
della scelta è davvero arrivato, lo sanno i lupi che sono tornati nel loro
rifugio, io scelgo, ti scelgo e non mi guardo indietro.
* le poesie
sono mie: la prima è tratta da Il
calvario della rosa, Moretti&Vitali 2004; la seconda da Scrivere il vento, Atì editore 2016
Nessun commento:
Posta un commento