Sto nella
casa ai piedi delle Montagne della Nebbia, sto e attizzo il fuoco.
Dall'altro
lato del camino i lupi sonnecchiano, la luna è invisibile, forse la notte non
ha ancora abbastanza richiami per loro.
Ma la notte è
piena di richiami per me, lo era prima ancora dell’inizio di questa clausura o quarantena.
Ho sempre scritto e studiato di notte, anche quando da ragazzina avevo il
pomeriggio libero da impegni scolastici. Soprattutto leggevo e poi dopo le 17 iniziavo
a studiare. Ma il vero impegno iniziava dopo cena, in qualunque stagione.
La notte è
sempre stata la dimensione dello studio e poi della scrittura.
Inizio questa
tessitura della nuova Cronaca con una citazione dalla lettera di Franz Kafka a
Felice del 14-15 gennaio 1913:
«Perciò
quando si scrive non si può mai essere abbastanza soli, quando si scrive non si
può avere mai abbastanza silenzio intorno, la notte è ancora troppo poco
notte».
Non si è mai
abbastanza soli, non c’è mai abbastanza silenzio intorno, queste sono verità
che chiunque scriva conosce molto bene, e sono condizioni di vita che creano distanza
tra chi scrive e chi gli vive accanto anche se è a sua volta uno scrittore.
La notte
arriva silenziosa e le ore precedenti alla silenziosa pratica della scrittura somigliano
sempre a quelle descritte da Virginia Woolf:
«Vorrei che
tu vedessi la mia stanza in questo istante, una cupa sera invernale: i miei
amati libri col dorso di pelle, così belli, ritti sugli scaffali, un bel fuoco,
la luce elettrica, un'enorme massa di manoscritti, lettere, bozze, penne e inchiostri
sul pavimento e un po' dappertutto. Fra una settimana ci sarà abbastanza
disordine per uno sgombero generale, poi ricomincerò da capo, e poco alla volta
ritornerò a una gioiosa frenesia di carta».
Si scrive
sempre per un “tu”, per un “altro” reale o immaginario, anche per l’”altro” di Rimbaud,
“Je est un autre”, un “altro” che è in noi, che siamo noi, ma non soltanto.
Questa
esperienza dell’altro per cui scriviamo, dell’altro che si svela, ha molte attinenze
con la scoperta dell’altro nelle fasi iniziali dell’amore.
Così come scopriamo
la notte e ci riveliamo attraverso la scrittura, così l’amore si svela in un
silenzio che si riempie solo della voce di chi amiamo, di una notte che sarà
felice perché già immaginiamo come sarà trascorrerla con la creatura su cui
amore e desiderio si concentrano.
Anche se non
tutta l’umanità si dedica alla scrittura, la maggior parte di noi si rivolge ai
poeti quando sente l’amore sgorgare da una profondità dell’essere che prima non
ci era dato conoscere.
Questo hanno
in comune la scrittura e l’amato o amata: ci consentono di svelarci, di
rivelarci, di scoprire il mondo, di costruire un mondo dove poter vivere
insieme a chi amiamo.
Nell'amore e
nella scrittura cerchiamo una pienezza dell’essere che possa trascendere la
dimensione materiale e quotidiana della vita.
Amare e
scrivere ci portano in un altrove dove dimentichiamo da dove siamo partiti e
spesso anche dove stiamo andando.
La sillaba di
una parola d’amore, di una poesia, possono arrivare alla creatura amata con la
stessa potenza di un bacio o di una carezza.
È singolare
questa dimensione della scrittura e dell’amore che, almeno in una fase iniziale,
sembra possano fare a meno del corpo. Ma si può fare a meno del corpo? No, come
è ovvio, il mondo e la sua esperienza sono un tutt'uno con il nostro corpo, con
il nostro vissuto, con i nostri desideri.
Scriviamo per
afferrare la bellezza del mondo, per trattenerla e poi lasciarla andare perché,
come l’amore, non possiamo farla prigioniera.
L’amore è la
prima esperienza di libertà che facciamo.
Quando impariamo
a camminare ci sono mani amorevoli che ci sorreggono e poi ci lasciano andare
se barcolliamo, così come accade quando impariamo ad andare in bicicletta, una
mano ci sostiene, ci spinge, ci lascia andare. Se cadiamo saranno le mani amorevoli
della madre o del padre a raccoglierci.
Nelle relazioni
d’amore la libertà si manifesta nell'essersi scelti, nell'avere sentito quelle
affinità elettive che ci guidano verso una persona e verso di lei soltanto.
Così avviene
nella scrittura, perché si scrive sempre per qualcuno, noto, immaginato o
sconosciuto.
Tu lettore, "Hypocrite
lecteur, mon semblable, mon frère!" sei l’oggetto del mio amore e del mio
desiderio.
Per questo
scrivo di notte e ti cerco a ogni alba, perché gli amanti sanno, come lo sanno
i lupi, che l’amore necessita di devozione e pazienza, non solo della furia del
desiderio che sa soltanto invocare le stelle sue compagne e si placa solo
quando i corpi si intrecciano.
Ma l’anima e
il cuore, lo spirito e la memoria, il desiderio e l’immaginazione, tutto quello
di cui siamo intessuti, tutto quello che l’argilla primordiale è diventata,
sono i pazienti scriba, sono Penelope che disfa ogni notte ciò che il giorno ha
imposto al telaio, sono i contadini che arano il campo e aspettano il tempo
della semina. Il raccolto crescerà nel suo tempo dovuto e la pioggia avrà impregnato
la terra e il sole l’avrà asciugata.
Così una
nuova poesia ti avrà raggiunto nel cuore della luce, nel cuore delle ombre, nel
chiarore rosato di un’alba nuova, nella violenza del sole che evoca i demoni
meridiani e poi cerca la propria pace in quei pomeriggi azzurri dove soffia
sempre questa brezza leggera.
Come un
soffio è l’amore, come un soffio ogni poesia.
Il congedo di
questa sera è una poesia breve e diretta che Carmen Yáñez scrisse per Luis
Sepúlveda negli anni Novanta del Novecento. La traduzione di Roberta Bovaia fa
parte del volume Paesaggio di luna fredda.
A volte la poesia
e l’amore, la scrittura e il desiderio percorrono lo stesso cammino, sono un’unica
cosa.
A tu per tu
I nostri
universi
si potrebbero
toccare.
Invece scelgo
la tua bocca
come punto di
riferimento
per
incendiare il mio mondo
a poco a
poco.
Altrimenti
esploderemmo.
Frente a frente
Nuestros
universos
se podrían
tocar.
En cambio
elijo tu boca
como punto de
referencia
para encender
mi mundo
poco a poco.
de otro modo
estallaríamos.
1 commento:
Il testo poetico che hai "postato"oggi avvolge e conforta. Grazie Elena
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