Le Montagne
della Nebbia non hanno un inizio né una fine, ancora oggi sfuggono a qualsiasi
rilevamento, anche dallo spazio sono invisibili perché sono protette non solo
dalla Nebbia ma anche dalle Nuvole.
Di certo si
sa che bisogna lasciarsi alle spalle le ultime case della periferia infinita,
quella sempre uguale a se stessa e che circonda ormai tutte le città.
Un campo
inaridito, lattine che rotolano nel vento insieme a cespugli che arrivano da
non si sa dove, latrati dei cani, asterischi sui pali della luce, segnalibri
nella corsa dell’aria, il silenzio.
Le Montagne
non amano i visitatori, per questo si confondono sia con la luce del lago che
con quella delle stelle, con la pianura abbandonata e con il fiume che scende
dai suoi fianchi fragoroso.
Chi decide di
intraprendere la salita deve prepararsi con una lunga sosta in una casa dove
non c’è nulla se non l’eco di giorni che mai saranno stati.
Nessuno conosce
l’esatta distanza tra il mare e la luna perché le Montagne si ergono proprio
nel centro di questa distanza e dato che noi non sappiamo dove esse abbiano
inizio e abbiano fine, non possiamo conoscere quanti sospiri ci porteranno
verso il nostro pianeta minore, quello dove forse un giorno abiteremo.
Neanche
venire dalla rosa ci avrebbe dato maggiori privilegi, solo avremmo sentito,
prima di chiunque altro, che le Montagne ci invitavano al cammino.
Arrivati ai
piedi dell’altopiano siamo stati accolti dai lupi.
All'inizio
erano un branco, poi in molti si sono allontanati e sono rimasti solo un grande
lupo nero e la sua compagna candida come un narciso, più piccola di lui certo,
ma così maestosa da dare l’impressione di avvolgerlo in un mantello di nuvole e
l’effetto era pensare che lui fosse l’inchiostro e lei la pagina bianca.
Non siamo
stati guidati dai lupi, ci hanno camminato accanto, senza mai nemmeno
controllare perché di tanto in tanto fossimo costretti a rallentare il passo.
Arrivati
sull'altopiano, abbiamo visto la vegetazione tipica delle montagne alpine cui
eravamo abituati, mutarsi in una foresta tropicale intessuta a piantagioni di
caffè che nessuno coltivava perché i frutti non arrivavano mai a maturazione.
Così era il
tempo lì sull'altopiano, le Montagne della Nebbia non smentivano il loro nome,
altissime si ergevano dinanzi a noi che volevamo proseguire anche se non
sapevamo perché.
Una casa di
frontiera, costruita con pietra e legno accolse i nostri corpi piegati dal
vento.
Sì, i nostri
corpi e quelli soltanto, perché gli spiriti stavano fuori a combattere contro
il vento, a giocare con il vento, inconsapevoli di essere separati da noi
stessi.
Quando il
gioco finiva anche i lupi entravano nella casa, i due lupi nero e bianca che
non lasciavano mai il nostro fianco, i lupi custodivano la fragile unità tra
questo corpo e quelli che stanno in altre dimensioni, i lupi sanno che il
nostro spirito è il tramite tra le dimensioni e che il mondo non è mai stato
uno, che la mente è solo una porta aperta, che l’anima è un passeggero.
Solo i lupi
sanno che “l’amore è quello che resta dopo l’incendio” anche se l’alito del
fuoco è ciò che ci dona la forza di iniziare questa salita.
Che siano
benedetti i lupi che ci hanno accompagnato in questo luogo dove nascono i
poeti.
Non solo
sulle isole feconde del mare Mediterraneo, non solo nei deserti dell’Africa
Settentrionale, non solo nella lontana Mongolia.
I poeti
nascono nel cuore di città immaginate agli albori del secolo XX° che è ormai
davvero finito.
I poeti
nascono qui, al confine tra l’altipiano e il cielo, dove le nuvole si
confondono con la nebbia e i lupi hanno dimora.
Cambiano colore
alla luce della luna, la lupa diventa color argento e lui così nero da sfidare
la notte più oscura e solo il chiarore degli occhi di fiamma ne lascia intuire
il mantello folto e scuro.
Continuiamo a
camminare nella notte, non possiamo fare altro, non dobbiamo fare altro.
L’alba ci
sorprende ancora ai piedi delle Montagne della Nebbia, ci guardiamo indietro ed
è come se non avessimo fatto neanche un passo.
È così
infatti, non ne avevamo bisogno, quelle montagne sono in noi proprio come i
lupi.
Le abbiamo
erette solo per poter camminare e cercare i poeti, accarezzare i lupi e poi
sdraiarci accanto al fuoco e con loro, con i lupi, sognare lo stesso sogno di
fiamma e argento, un sogno di temporale e primavera che sta sempre per
arrivare.
L’Oriente e l’Occidente
si scambiano spesso di posto e ogni giorno non sappiamo da quale parte sorgerà
il sole.
Solo le
Montagne della Nebbia risplendono, rosate se il sole sorge a Oriente, colore
delle prugne mature quando è l’Occidente a offrire questo dono di luce.
Restano le
dita di ogni alba a segnare il nostro volto ancora addormentato, quando il
sapore di terra e di vento del giorno prima ancora non è mutato.
Come invece
muta il fuoco, così come Eraclito ci insegna:
“Mutazioni
del fuoco: da prima mare, e dal mare una metà terra e una metà fiamma in cielo”.
Tutto ciò che
è selvaggio muta in domestico, tutto ciò che è domestico ritorna selvaggio.
È questa la
regola dell’altipiano, è questa la regola dei lupi.
Che sono metà
fiamma del cielo e metà terra feconda e metà mare calmo di vento.
La somma non
farà mai uno, inutile contare, dovremmo moltiplicare ogni parte per due, quanti
sono i lupi, e per quattro per non dimenticare corpo, mente, anima e cuore e di
nuovo moltiplicare per quanti siamo noi, chiusi nelle case i corpi, liberi nel
vento i nostri i cuori.
“L’amore è
quello che resta dopo l’incendio” è una citazione dal romanzo Una storia quasi perfetta di Mariapia
Veladiano.
La poesia che
dà il titolo a questa cronaca è dell’immenso Paul Celan.
Un alito come
di fuoco era attorno a te – Venivi dalla rosa
Dove è
ghiaccio, li è frescura per due.
Per due: così
ti feci venire.
Un alito come
di fuoco era attorno a te –
Venivi dalla
rosa.
Io domandai:
com'eri chiamata laggiù?
Tu me lo
dicesti, quel nome:
era cosparso
d’un chiarore come di cenere –
Dalla rosa,
venivi.
Dove è
ghiaccio, lì è frescura per due:
io ti diedi
il doppio nome.
Sotto,
spalancasti allora il tuo occhio –
Dove il
ghiaccio s’apriva ristava alto un bagliore.
Ed ora,
dissi, io chiudo il mio –:
Prendi questa
parola – il mio occhio la declama al tuo!
Prendila,
ripetila con me,
ripetila con
me, lentamente,
ripetila con
me, tu la devi trattenere
e, il tuo
occhio, tenerlo aperto finché ciò dura!
Paul Celan
Di soglia in soglia
a cura di
Giuseppe Bevilacqua
Einaudi 1996
Wo Eis ist, ist Kühle für zwei.
Für zwei: so ließ ich dich kommen.
Ein Hauch wie von Feuer war um dich ?
Du kamst von der Rose her.
Ich fragte: Wie hieß man dich dort?
Du nanntest ihn mir, jenen Namen:
ein Schein wie von Asche lag drauf ?
Von der Rose her kamst du.
Wo Eis ist, ist Kühle für zwei:
ich gab dir den Doppelnamen.
Du schlugst dein Aug auf darunter ?
Ein Glanz lag über der Wuhne.
Nun schließ ich, so sprach ich, das meine ?:
Nimm dieses Wort ? mein Auge redet's dem deinen!
Nimm es, sprich es mir nach,
sprich es mir nach, sprich es langsam,
sprich's langsam, zögr es hinaus,
und dein Aug ? halt es offen so lang noch!
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