domenica 26 aprile 2020

Cronache dall'anno senza Carnevale/49: Un alito come di fuoco era attorno a te – Venivi dalla rosa


Le Montagne della Nebbia non hanno un inizio né una fine, ancora oggi sfuggono a qualsiasi rilevamento, anche dallo spazio sono invisibili perché sono protette non solo dalla Nebbia ma anche dalle Nuvole.

Di certo si sa che bisogna lasciarsi alle spalle le ultime case della periferia infinita, quella sempre uguale a se stessa e che circonda ormai tutte le città.

Un campo inaridito, lattine che rotolano nel vento insieme a cespugli che arrivano da non si sa dove, latrati dei cani, asterischi sui pali della luce, segnalibri nella corsa dell’aria, il silenzio.

Le Montagne non amano i visitatori, per questo si confondono sia con la luce del lago che con quella delle stelle, con la pianura abbandonata e con il fiume che scende dai suoi fianchi fragoroso.

Chi decide di intraprendere la salita deve prepararsi con una lunga sosta in una casa dove non c’è nulla se non l’eco di giorni che mai saranno stati.

Nessuno conosce l’esatta distanza tra il mare e la luna perché le Montagne si ergono proprio nel centro di questa distanza e dato che noi non sappiamo dove esse abbiano inizio e abbiano fine, non possiamo conoscere quanti sospiri ci porteranno verso il nostro pianeta minore, quello dove forse un giorno abiteremo.

Neanche venire dalla rosa ci avrebbe dato maggiori privilegi, solo avremmo sentito, prima di chiunque altro, che le Montagne ci invitavano al cammino.
Arrivati ai piedi dell’altopiano siamo stati accolti dai lupi.

All'inizio erano un branco, poi in molti si sono allontanati e sono rimasti solo un grande lupo nero e la sua compagna candida come un narciso, più piccola di lui certo, ma così maestosa da dare l’impressione di avvolgerlo in un mantello di nuvole e l’effetto era pensare che lui fosse l’inchiostro e lei la pagina bianca.
Non siamo stati guidati dai lupi, ci hanno camminato accanto, senza mai nemmeno controllare perché di tanto in tanto fossimo costretti a rallentare il passo.

Arrivati sull'altopiano, abbiamo visto la vegetazione tipica delle montagne alpine cui eravamo abituati, mutarsi in una foresta tropicale intessuta a piantagioni di caffè che nessuno coltivava perché i frutti non arrivavano mai a maturazione.

Così era il tempo lì sull'altopiano, le Montagne della Nebbia non smentivano il loro nome, altissime si ergevano dinanzi a noi che volevamo proseguire anche se non sapevamo perché.

Una casa di frontiera, costruita con pietra e legno accolse i nostri corpi piegati dal vento.

Sì, i nostri corpi e quelli soltanto, perché gli spiriti stavano fuori a combattere contro il vento, a giocare con il vento, inconsapevoli di essere separati da noi stessi.

Quando il gioco finiva anche i lupi entravano nella casa, i due lupi nero e bianca che non lasciavano mai il nostro fianco, i lupi custodivano la fragile unità tra questo corpo e quelli che stanno in altre dimensioni, i lupi sanno che il nostro spirito è il tramite tra le dimensioni e che il mondo non è mai stato uno, che la mente è solo una porta aperta, che l’anima è un passeggero.

Solo i lupi sanno che “l’amore è quello che resta dopo l’incendio” anche se l’alito del fuoco è ciò che ci dona la forza di iniziare questa salita.

Che siano benedetti i lupi che ci hanno accompagnato in questo luogo dove nascono i poeti.

Non solo sulle isole feconde del mare Mediterraneo, non solo nei deserti dell’Africa Settentrionale, non solo nella lontana Mongolia.

I poeti nascono nel cuore di città immaginate agli albori del secolo XX° che è ormai davvero finito.

I poeti nascono qui, al confine tra l’altipiano e il cielo, dove le nuvole si 
confondono con la nebbia e i lupi hanno dimora.

Cambiano colore alla luce della luna, la lupa diventa color argento e lui così nero da sfidare la notte più oscura e solo il chiarore degli occhi di fiamma ne lascia intuire il mantello folto e scuro.

Continuiamo a camminare nella notte, non possiamo fare altro, non dobbiamo fare altro.

L’alba ci sorprende ancora ai piedi delle Montagne della Nebbia, ci guardiamo indietro ed è come se non avessimo fatto neanche un passo.

È così infatti, non ne avevamo bisogno, quelle montagne sono in noi proprio come i lupi.

Le abbiamo erette solo per poter camminare e cercare i poeti, accarezzare i lupi e poi sdraiarci accanto al fuoco e con loro, con i lupi, sognare lo stesso sogno di fiamma e argento, un sogno di temporale e primavera che sta sempre per arrivare.

L’Oriente e l’Occidente si scambiano spesso di posto e ogni giorno non sappiamo da quale parte sorgerà il sole.

Solo le Montagne della Nebbia risplendono, rosate se il sole sorge a Oriente, colore delle prugne mature quando è l’Occidente a offrire questo dono di luce.
Restano le dita di ogni alba a segnare il nostro volto ancora addormentato, quando il sapore di terra e di vento del giorno prima ancora non è mutato.

Come invece muta il fuoco, così come Eraclito ci insegna:

“Mutazioni del fuoco: da prima mare, e dal mare una metà terra e una metà fiamma in cielo”.

Tutto ciò che è selvaggio muta in domestico, tutto ciò che è domestico ritorna selvaggio.

È questa la regola dell’altipiano, è questa la regola dei lupi.

Che sono metà fiamma del cielo e metà terra feconda e metà mare calmo di vento.

La somma non farà mai uno, inutile contare, dovremmo moltiplicare ogni parte per due, quanti sono i lupi, e per quattro per non dimenticare corpo, mente, anima e cuore e di nuovo moltiplicare per quanti siamo noi, chiusi nelle case i corpi, liberi nel vento i nostri i cuori.

“L’amore è quello che resta dopo l’incendio” è una citazione dal romanzo Una storia quasi perfetta di Mariapia Veladiano.

La poesia che dà il titolo a questa cronaca è dell’immenso Paul Celan.

Un alito come di fuoco era attorno a te – Venivi dalla rosa
Dove è ghiaccio, li è frescura per due.
Per due: così ti feci venire.
Un alito come di fuoco era attorno a te –
Venivi dalla rosa.

Io domandai: com'eri chiamata laggiù?
Tu me lo dicesti, quel nome:
era cosparso d’un chiarore come di cenere –
Dalla rosa, venivi.

Dove è ghiaccio, lì è frescura per due:
io ti diedi il doppio nome.
Sotto, spalancasti allora il tuo occhio –
Dove il ghiaccio s’apriva ristava alto un bagliore.

Ed ora, dissi, io chiudo il mio –:
Prendi questa parola – il mio occhio la declama al tuo!
Prendila, ripetila con me,
ripetila con me, lentamente,
ripetila con me, tu la devi trattenere
e, il tuo occhio, tenerlo aperto finché ciò dura!

Paul Celan
Di soglia in soglia
a cura di Giuseppe Bevilacqua
Einaudi 1996



Wo Eis ist, ist Kühle für zwei.
Für zwei: so ließ ich dich kommen.
Ein Hauch wie von Feuer war um dich ?
Du kamst von der Rose her.

Ich fragte: Wie hieß man dich dort?
Du nanntest ihn mir, jenen Namen:
ein Schein wie von Asche lag drauf ?
Von der Rose her kamst du.

Wo Eis ist, ist Kühle für zwei:
ich gab dir den Doppelnamen.
Du schlugst dein Aug auf darunter ?
Ein Glanz lag über der Wuhne.

Nun schließ ich, so sprach ich, das meine ?:
Nimm dieses Wort ? mein Auge redet's dem deinen!
Nimm es, sprich es mir nach,
sprich es mir nach, sprich es langsam,
sprich's langsam, zögr es hinaus,
und dein Aug ? halt es offen so lang noch!

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