lunedì 20 aprile 2020

Cronache dall'anno senza Carnevale/43: una specie di devozione tra santi e scrittori


D’estate è facile alzarsi molto presto al mattino, la luce solare, il canto degli uccellini, il suono dell’acqua che scorre.

Una mattina in particolare ci si alzava molto prima dell’ora in cui iniziavano di solito i preparativi per andare al mare.

Era la mattina del pellegrinaggio alla Madonna del Pettoruto, il cui nome pare derivi da petruto, cioè pietroso.

Partivamo in gruppi abbastanza numerosi, due o tre auto alla volta, si arrivava ai piedi del monte Montea e si poteva scegliere se proseguire in auto, arrivando abbastanza vicino al santuario, o parcheggiare subito e fare la salita piedi.

Noi salivamo a piedi, capeggiati da mia nonna paterna che, scalza e con il solito fazzoletto legato in testa u’ maccaturi, si appoggiava a un bastone. Non ricordo esattamente la durata del cammino, so che mi sembrava lunghissimo, di sicuro non meno di un’ora, un’ora e mezza. Arrivati in cima ci si poteva rifocillare con l’acqua freschissima che sgorgava dal monte, con il cibo arrostito venduto alle bancarelle, carne e peperoni arrosto, pomodori freschi, larghe fette di pane cotto nel forno a legna.

Io stavo tutto il tempo appiccicata a mia nonna, l’unica cosa che facevo da sola era andare a vedere la Madonna con il Bambino, riccamente vestiti e, nei giorni della festa in settembre, anche ricoperti dei gioielli ex-voto dei fedeli. Qualcuno mi aveva raccontato che l’apparizione della Signora non era avvenuta proprio nel punto dove venne eretta la basilica, ma sulla montagna di fronte, il monte Mula, dove non era possibile allargare i sentieri che solo i pastori con capre e pecore riuscivano a percorrere.

Si mangiava, ci si rifocillava, ci si riposava a volte anche in una delle stanze a disposizione dei pellegrini e, prima di partire, ci si fotografava. Ogni anno le stesse fotografie, le stesse pose, lo stesso sfondo. Di due fotografie ho ricordi vividi che mi fanno ritornare esattamente in quei luoghi e in quei momenti.

Soprattutto dell’estate dei miei otto anni, dove indosso un abitino delizioso, cucito da mia madre, a righe bianche e rosse. Ho i capelli legati in una coda di cavallo altissima e una frangetta che mi copre tutta la fronte.

L’aria era caldissima, la frescura della chiesa una delizia e un sollievo. Non lascio mai la nonna e la guardo pregare sottovoce. Lei mi aveva promesso che mi avrebbe insegnato tutte le sue preghiere e, in particolare, anche quelle che bisognava recitare quando qualcuno era caduto preda dell’affascino, che poteva manifestarsi soprattutto con un lancinante mal di testa. Per insegnarmi quelle preghiere e quelle formule, però, dovevamo trascorrere insieme la notte di Natale e andare alla Messa solenne, perché solo durante quella notte si poteva tramandare alle fanciulle quell'antica sapienza popolare che toglieva il male.

Non ci furono mai le condizioni perché potessimo andare insieme alla Messa di Natale e il vuoto di quel suo insegnamento è rimasto. È a mia nonna paterna, nonna Carmela che io chiamavo nonna Mela, che devo l’iconografia cristiana e i rituali che hanno accompagnato la mia infanzia.

Dopo un ultimo saluto alla Madonna si scendeva a piedi sino al parcheggio, lei non ne voleva sapere di salire in auto e mettersi le scarpe. Quello era il gesto che sanciva la fine del pellegrinaggio, ma solo dopo che ciascuno di noi pellegrini aveva raccolto un bel sasso e lo aveva lanciato nel fiume Rosa, un gesto beneaugurante che siglava il patto del ritorno, saremmo ritornati anche l’anno successivo e la Madonna avrebbe vegliato su di noi perché ciò potesse accadere.

Oltre alle immagini della Madonna del Pettoruto, a casa della nonna c’erano immaginette e una statua di Sant'Antonio da Padova e di San Sebastiano trafitto dalle frecce, un’immagine che ricordava molto il dipinto del Mantegna ma che era opera di qualche pittore devoto e sconosciuto dell’Ottocento calabrese, di Sant'Antonio sapevo ancora meno, però la nonna mi aveva raccontato di essere andata in pellegrinaggio pure alla sua Basilica.

Non mi faceva paura l’immagine del martirio, quello che mi interessava era scoprire la storia che c’era dietro.

La storia che c’era dietro, è questa la frase chiave, o almeno una delle più importanti, della mia vita.

Negli anni si sono accumulati Santi e Madonne, immaginette, visite a Chiese meravigliose e non solo in Italia, la fede è cresciuta, si è affievolita, si è fatta dubbiosa, è fuggita lontano da me, è ritornata con tutta la sua iconografia intatta.

Quello che ho capito solo di recente è che cercare la storia che c’era dietro non ho mai smesso di farlo.

Nei viaggi visito le chiese e le case degli scrittori dove compro sempre almeno un’immagine del luogo e di chi ci ha vissuto. Ho pianto quando mi sono affacciata alla finestra di Leopardi a Recanati e quando ho visto un manoscritto della Woolf alla British Library a Londra.

Vado anche a visitare i cimiteri, e non solo quelli attigui alle chiese.
Al Père Lachaise a Parigi ci sono andata da sola, sono andata a cercare la tomba di Colette che è abbastanza vicina all’ingresso e poi dovevo scegliere tra Marcel Proust e Jim Morrison e sono andata da Proust.

Al cimitero di Montparnasse ho visitato le tombe di Baudelaire, Man Ray, Beckett e Ionesco, Duras, Sontag, Cortazar e sono andata a piangere sulla tomba, condivisa con Sartre, di Simone De Beauvoir.

Perché ci emoziona così tanto, a noi lettori, visitare le case e le tombe degli scrittori che amiamo?

In qualche modo sento che è una forma di devozione che ha a che fare con quella per i Santi, perché a entrambi facciamo domande, chiediamo risposte, un’indicazione, una traccia, una via da seguire.

Non ci sono altari né profani, né laici nella mia casa, solo molte immagini, molte fotografie in bianco e nero, la maggior parte delle volte i soggetti ritratti non stanno guardando l’obiettivo, mi fanno compagnia, quando li guardo so perché quelle donne e quegli uomini se ne stanno appesi nella mia cucina.

Mi hanno dato delle risposte, mi hanno incoraggiato a farmi altre domande.

I loro libri sono le preghiere laiche che arricchiscono il senso della mia vita.

Purtroppo, non sono riuscita a recuperare nessuna delle immaginette di nonna Mela, ma proprio per la loro natura il loro ricordo se ne sta nella mia bottega delle immagini, nella mia immaginazione, appunto.

E così sia.

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