Attraversiamo
la notte in silenzio come guerrieri dopo la disfatta che seguono il corso del
fiume per ritornare a casa.
Attraversiamo
la notte con gli occhi puntati verso il cielo, cercando di superare la coltre
di nubi che ci impedisce di riconoscere la nostra costellazione guida.
La notte che
attraversiamo non ha le stesse regole del giorno, il tempo scorre con un’altra
velocità, ci mozza il fiato quando va veloce, ci rende indolenti ogni volta che
rallenta.
La notte
stanno svegli gli insonni e i gatti, i bambini e i pazzi, ultimi i poeti. Che
umanità variegata e imprevedibile che sono, che siamo.
I bambini
stanno svegli perché la notte rende visibili i fantasmi che la luce del giorno
oscura, hanno storie eccezionali da raccontare quei fantasmi e i bambini restano
incantati.
Anche i gatti
stanno svegli per lo stesso motivo, sentono i fantasmi e vogliono ricevere
anche le loro attenzioni, non si accontentano mai i gatti delle solite
crocchette e grattini, ai gatti interessano soprattutto le storie che non riusciamo
a dire ad alta voce e che poi solo a loro sussurriamo nelle orecchie.
Insonni e
pazzi si fanno una grande compagnia di notte. Solcano la casa con passi decisi,
scoprono arcipelaghi e nuove rotte, sostano sul divano come se fosse l’ultima
spiaggia. Spesso incontrano Ulisse nel loro vagabondare, chiedono consigli, non
per ritornare, ma per imparare a stare nell’incertezza più profonda, profonda
quanto il vasto mare del giorno che di notte diventa un oceano sconfinato.
Chi è più
saggio tra questi eroi?
È il poeta
che se lo chiede, il sempre scompagnato che di volta in volta si fa bambino,
insonne, gatto e pazzo. Non fa molta fatica il poeta a ritrovare Ulisse tra le
onde, a portarlo a riva, a fargli confessare che per vent’anni aveva cercato di
fuggire, di raggiungere i compagni nelle profondità marine, ma che poi si era
arreso al proprio destino, e a capo chino aveva ripreso la rotta e si era
fidato del vento per ritornare a casa.
Il poeta è
spesso insonne, non ha dimenticato com’è essere bambino, ha l’anima di un gatto
ma non è pazzo. La pazzia dei poeti è l’ultimo residuo romantico di un’epoca
ormai svanita. La pazzia blocca la poesia perché si nutre nelle stesse oscure profondità.
Anne Sexton diceva di riuscire a scrivere solo tra una crisi di follia e l’altra.
I pazzi implorano i poeti perché hanno perso le chiavi della lingua, perché con
loro sono impazzite tutte le metafore e il mondo langue senza più speranza.
Hanno in
comune la notte tutti quanti e non sempre sanno come attraversarla.
Le stelle
tacciono e poi lasciano lo splendore all’alba che viene.
I gatti si
addormentano tra le gambe o sulle spalla dei loro umani.
I fantasmi
tornano nei muri, i pazzi si addormentano come bambini.
Ai poeti il
compito di dire ciò che è stato ma ancora di più ciò che sarà, perché a volte
la poesia è una profezia, è una verità scritta solo qualche anno prima del
tempo dovuto.
Il congedo di
questa sera è una poesia che ho scritto nel 2016 e che non è mai uscita in
volume.
Con gli occhi pieni di stelle
Il tempo
della pazienza è finito e
il buio
lentamente arretra e si
ferma ai
confini del campo dove
l’aratro ha
inciso le parole
dell’inverno
nella terra scura.
Sui confini
restano le ombre
delle
giornate invernali coi
loro tavolini
da tè e i camini accesi
con i libri
iniziati e non ancora
finiti perché
gli occhi erano troppo
pieni di
stelle per potersi chinare
sulle pagine
ruvide e sulle tue
mani leggere.
Ora il camino
è spento, il fuoco
non crepita
più e la cenere tiene in
sé tutto
l’amaro dei giorni di questo
inverno del
nostro scontento
falciati dal
gelo come l’ultima
foglia
testarda che ancora non è
caduta e
resta per dire il tempo
che è stato.
Oggi siamo
fermi nello spazio
incerto tra
le stagioni, dove
la mano di
ghiaccio dell’inverno
sconfitto,
sfiora le tiepide dita
della signora
primavera che
si ritrae dal
suo abbraccio appassito
e volge lo
sguardo verso il nostro
cielo vuoto
di parole.
Ancora le
rondini non sono tornate
e le nuvole
sono fogli bianchi
per le nuove
poesie e quanto
è vasto lo
spazio che ci sovrasta
e quanto
calda la luce che attraversa
il vetro
verde di quella bottiglia
e tutte le
nostre parole.
Presto sarà
il tempo delle rose
e il fiume
canterà alla nostra
porta in una
lingua straniera
presto sarà
il giorno dove leggeremo
le stesse
rondini e lo stesso frammento
di cielo.
Elena
Petrassi
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