domenica 12 aprile 2020

Cronache dall'anno senza Carnevale/35: attraversare la notte con gli occhi pieni di stelle


Attraversiamo la notte in silenzio come guerrieri dopo la disfatta che seguono il corso del fiume per ritornare a casa.

Attraversiamo la notte con gli occhi puntati verso il cielo, cercando di superare la coltre di nubi che ci impedisce di riconoscere la nostra costellazione guida.

La notte che attraversiamo non ha le stesse regole del giorno, il tempo scorre con un’altra velocità, ci mozza il fiato quando va veloce, ci rende indolenti ogni volta che rallenta.

La notte stanno svegli gli insonni e i gatti, i bambini e i pazzi, ultimi i poeti. Che umanità variegata e imprevedibile che sono, che siamo.

I bambini stanno svegli perché la notte rende visibili i fantasmi che la luce del giorno oscura, hanno storie eccezionali da raccontare quei fantasmi e i bambini restano incantati.

Anche i gatti stanno svegli per lo stesso motivo, sentono i fantasmi e vogliono ricevere anche le loro attenzioni, non si accontentano mai i gatti delle solite crocchette e grattini, ai gatti interessano soprattutto le storie che non riusciamo a dire ad alta voce e che poi solo a loro sussurriamo nelle orecchie.

Insonni e pazzi si fanno una grande compagnia di notte. Solcano la casa con passi decisi, scoprono arcipelaghi e nuove rotte, sostano sul divano come se fosse l’ultima spiaggia. Spesso incontrano Ulisse nel loro vagabondare, chiedono consigli, non per ritornare, ma per imparare a stare nell’incertezza più profonda, profonda quanto il vasto mare del giorno che di notte diventa un oceano sconfinato.

Chi è più saggio tra questi eroi?

È il poeta che se lo chiede, il sempre scompagnato che di volta in volta si fa bambino, insonne, gatto e pazzo. Non fa molta fatica il poeta a ritrovare Ulisse tra le onde, a portarlo a riva, a fargli confessare che per vent’anni aveva cercato di fuggire, di raggiungere i compagni nelle profondità marine, ma che poi si era arreso al proprio destino, e a capo chino aveva ripreso la rotta e si era fidato del vento per ritornare a casa.

Il poeta è spesso insonne, non ha dimenticato com’è essere bambino, ha l’anima di un gatto ma non è pazzo. La pazzia dei poeti è l’ultimo residuo romantico di un’epoca ormai svanita. La pazzia blocca la poesia perché si nutre nelle stesse oscure profondità. Anne Sexton diceva di riuscire a scrivere solo tra una crisi di follia e l’altra. I pazzi implorano i poeti perché hanno perso le chiavi della lingua, perché con loro sono impazzite tutte le metafore e il mondo langue senza più speranza.

Hanno in comune la notte tutti quanti e non sempre sanno come attraversarla.

Le stelle tacciono e poi lasciano lo splendore all’alba che viene.

I gatti si addormentano tra le gambe o sulle spalla dei loro umani.

I fantasmi tornano nei muri, i pazzi si addormentano come bambini.

Ai poeti il compito di dire ciò che è stato ma ancora di più ciò che sarà, perché a volte la poesia è una profezia, è una verità scritta solo qualche anno prima del tempo dovuto.

Il congedo di questa sera è una poesia che ho scritto nel 2016 e che non è mai uscita in volume.


Con gli occhi pieni di stelle

Il tempo della pazienza è finito e
il buio lentamente arretra e si
ferma ai confini del campo dove
l’aratro ha inciso le parole
dell’inverno nella terra scura.

Sui confini restano le ombre
delle giornate invernali coi
loro tavolini da tè e i camini accesi
con i libri iniziati e non ancora
finiti perché gli occhi erano troppo
pieni di stelle per potersi chinare
sulle pagine ruvide e sulle tue
mani leggere.

Ora il camino è spento, il fuoco
non crepita più e la cenere tiene in
sé tutto l’amaro dei giorni di questo
inverno del nostro scontento
falciati dal gelo come l’ultima
foglia testarda che ancora non è
caduta e resta per dire il tempo
che è stato.

Oggi siamo fermi nello spazio
incerto tra le stagioni, dove
la mano di ghiaccio dell’inverno
sconfitto, sfiora le tiepide dita
della signora primavera che
si ritrae dal suo abbraccio appassito
e volge lo sguardo verso il nostro
cielo vuoto di parole.

Ancora le rondini non sono tornate
e le nuvole sono fogli bianchi
per le nuove poesie e quanto
è vasto lo spazio che ci sovrasta
e quanto calda la luce che attraversa
il vetro verde di quella bottiglia
e tutte le nostre parole.

Presto sarà il tempo delle rose
e il fiume canterà alla nostra
porta in una lingua straniera
presto sarà il giorno dove leggeremo
le stesse rondini e lo stesso frammento
di cielo.

Elena Petrassi

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